Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 gennaio 2017, n. 856

Lavoro -Medico - Turno - Mancata risposta al cercapersone - Presunto abbandono del posto di lavoro - Licenziamento - Impugnazione

Svolgimento del processo

 

Con la sentenza n. 224 del 2014, la Corte d'appello di Milano rigettava il reclamo proposto ex art. 1 comma 58 della L. n. 92 del 2012, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che, confermando l'ordinanza resa all'esito della fase sommaria, aveva accolto l'impugnativa proposta da F. G., medico presso il Centro cardiologico Monzino IRCCS, avverso il licenziamento intimatogli per aver abbandonato il posto di lavoro durante il turno nella notte tra il 1 e il 2 settembre 2012.

La Corte territoriale riteneva in primo luogo tempestivo il reclamo proposto nel rispetto del termine di sei mesi dalla pubblicazione previsto in via generale dall'art. 327 c.p.c.., sul rilievo che il termine di decadenza di 30 giorni previsto dall'art. 1 comma 58 della legge numero 92 del 2012 cit. non poteva nel caso decorrere dalla comunicazione della sentenza del Tribunale, effettuata mediante il biglietto di cancelleria di cui all'art. 136 c.p.c., in quanto esso era privo del testo integrale della sentenza. Confermava inoltre la sentenza del primo giudice laddove aveva ritenuto che la condotta addebitata al medico, di non avere risposto al cercapersone ove era stato interpellato durante il turno, non configurasse il contestato abbandono del posto di lavoro, previsto dalla lettera f) dell'articolo 11 del C.C.N.L., ma al più la sospensione del lavoro senza giustificato motivo, sanzionabile ai sensi dell'art. 11 lettera b) con la sospensione. Ciò in quanto per "abbandono" si dovrebbe intendere il fatto del sanitario che abbandona la struttura recandosi all'esterno e diventando irreperibile nell'ambito del turno assegnato, ciò che non era avvenuto in quanto la mattina del 2 settembre il dr. G. aveva passato le consegne al medico del turno diurno, e durante la notte precedente non era stato cercato presso il locale messo a disposizione dei medici di turno, ove in altra occasione era stato reperito.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Centro cardiologico Monzino, affidato a sei motivi, cui ha resistito con controricorso F. G., che ha proposto altresì ricorso incidentale affidato a un solo motivo, cui ha resistito con controricorso il Centro cardiologico Monzino. Le parti hanno depositato anche memorie ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti ex articolo 335 c.p.c. in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

1. I motivi del ricorso principale possono essere così riassunti:

1.1. Con il primo, il Centro cardiologico Monzino IRCCS deduce violazione degli articoli 158 e 161 c.p.c. e nullità della sentenza di prime cure e lamenta che la Corte d'appello non abbia rilevato il difetto di capacità del giudice del Tribunale che aveva emesso la sentenza impugnata, che era la stessa persona fisica che aveva pronunciato l'ordinanza all'esito della fase sommaria.

1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione dell'articolo 2729 c.c. in relazione all'articolo 116 c.p.c. ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Rileva che la circostanza che il dott. G. sia rimasto nella notte tra l'1 e il 2 settembre nella stanza che il centro adibisce a riposo dei medici è rimasta del tutto sfornita di prova, né sarebbe sufficiente a provarlo il ragionamento presuntivo operato dalla Corte territoriale.

1.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 11 del C.C.N.L. per il personale non medico ed errata interpretazione della nozione di abbandono del posto di lavoro. Sostiene che il concetto di abbandono del posto di lavoro non andrebbe messo in correlazione con l'ubicazione fisica del lavoratore durante il turno notturno (che, nel caso dei medici di guardia, è l'intera struttura) bensì con il pieno assolvimento dell'obbligo di immediata reperibilità e con la risposta al cercapersone in qualunque momento.

1.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio. Lamenta che la Corte territoriale non abbia tenuto in alcuna considerazione il documento n. 4 contenuto nel proprio fascicolo della fase sommaria, né le dichiarazioni rese in sede testimoniale, che avevano confermato che la procedura in atto presso la struttura per il reperimento del medico di guardia non era quella di cercarlo presso il reparto o nella stanza del medico, ma quello di contattarlo sul cercapersone. Inoltre, l'evento si era verificato in una notte tra il sabato e la domenica, quando non erano presenti in reparto i medici specializzandi, i quali di conseguenza non avrebbero neanche potuto avvisare il dott. G. delle emergenze.

1.5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio e lamenta che la Corte territoriale non abbia valutato l'ammissione di colpevolezza dichiarata dal dott. G. alla prima udienza del 27 novembre 2012, poi confermata dal teste Generali, quando aveva dichiarato che non era la prima volta che gli capitava di non sentire lo squillo del cercapersone e che pertanto nei casi precedenti qualcuno era andato a cercarlo in altri locali della struttura.

1.6. Come sesto motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 2119 c.c. e dell'art. 3 della L. n. 604 del 1966 e ribadisce l'idoneità della condotta del medico a costituire una grave negazione del rapporto fiduciario, atteso il grado di affidamento richiesto dalle mansioni affidate.

2. A fondamento del ricorso incidentale (qualificato come) subordinato, F. G. lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1, comma 58, della L. n. 92 del 2012 e rileva che il ricorso in appello, depositato il 13 novembre 2013, era inammissibile, essendo la sentenza di primo grado passata in giudicato il 19 giugno 2013, per decorso del termine di 30 giorni dalla comunicazione della sentenza ad opera della cancelleria, avvenuta in data 20 maggio 2013.

3. Il ricorso incidentale dev'essere esaminato con priorità rispetto a quello principale, ponendo una questione preliminare di rito sulla quale la Corte territoriale si è pronunciata, e ciò a prescindere dal fatto che esso sia stato qualificato dalla parte come condizionato.

E difatti, non può qui applicarsi il principio (affermato tra le altre da Cass. n. 4619 del 06/03/2015) secondo il quale il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, o preliminari di merito sulle quali sia intervenuta la decisione gravata, va esaminato dalla Corte di cassazione solo in presenza dell'attualità dell'interesse, sussistente nell'ipotesi della fondatezza del ricorso principale. Nel caso, infatti, proprio in ragione della questione processuale preliminare qui riproposta dal ricorrente incidentale, e ritenuta infondata dalla Corte d'appello, il giudice di merito ha compensato tra le parti le spese processuali nella misura della metà (ponendo l'ulteriore metà a carico del Centro medico), sicché sotto tale aspetto la parte è risultata (parzialmente) soccombente e l'accoglimento del proprio ricorso incidentale determinerebbe anche l'eliminazione del capo della sentenza gravata che ne è la conseguenza, dovendosi procedere ad una rideterminazione delle spese in ragione dell'esito complessivo della lite, indipendentemente da un' esplicita richiesta in tal senso (cfr. Cass. - ord. n. 6259 del 18/03/2014 e Sentenza n. 11423 del 01/06/2016).

3.1. Nel merito, il ricorso incidentale è infondato, alla luce dell' orientamento già espresso da questa Corte (v. Cass. n. 10017 del 2016 e Cass. n. 17251 del 2016) con riferimento alla decorrenza del termine per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza che decide il reclamo, ma che, sussistendo identità di ratio, può estendersi anche al termine breve per la proposizione del reclamo qui in scrutinio. In tali arresti, questa Corte ha ritenuto che per far decorrere il termine breve non è sufficiente il mero avviso di deposito del provvedimento giudiziale, ma è necessaria la comunicazione del testo integrale della sentenza che, analogamente a quanto avviene per la notificazione, consente alla parte di avere conoscenza delle ragioni sulle quali la pronuncia è fondata e di valutarne la correttezza. Infatti la disposizione, sebbene di carattere speciale, nulla specifica in merito alla forma della comunicazione, sicché vale al riguardo la disciplina dettata dal codice di rito che, all'art. 45, comma 2, disp. att. c.p.c., come modificato dal d.l. 18.10.2012 n. 179, stabilisce che "il biglietto contiene in ogni caso ....il testo integrale del provvedimento comunicato". La necessità della comunicazione del testo integrale è stata poi ribadita dal d.l. 24.6.2014 n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014 n. 114, che ha modificato l'art. 133 c.p.c., (inapplicabile alla fattispecie solo nella parte in cui, diversamente da quanto previsto per il rito speciale, esclude che la comunicazione possa fare decorrere il termine breve di impugnazione). Infine, poiché la comunicazione fa decorrere il medesimo termine previsto per la notificazione, sarebbe del tutto illogica una disciplina che equiparasse alla conoscenza della sentenza che la parte acquisisce con la notificazione, la conoscenza del mero deposito del provvedimento e del suo dispositivo.

4. Passando ad esaminare il ricorso principale, occorre rilevare che il primo motivo non è fondato.

Questa Corte ha chiarito (Cass. civ. Sez. lavoro, 16-04-2015, n. 7782) che la fase di opposizione di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 51, non costituisce un grado diverso rispetto alla fase che ha preceduto l'ordinanza, in quanto non si tratta di una revisio prioris instantiae, bensì della mera prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria e non più urgente. Deve pertanto escludersi che in tale fase possa determinarsi un obbligo di astensione o una facoltà della parte di chiedere la ricusazione.

Tale interpretazione è stata dichiarata in più occasioni dalla Corte Costituzionale compatibile con la Carta fondamentale, (V. ord. 05-04-2016, n. 72, ord. 22-12-2015, n. 275 , sent. n. 78 del 2015), rilevando come il fatto che entrambe le fasi (sommaria e di opposizione) del primo grado del giudizio de quo possano essere svolte dal medesimo magistrato non confligge con il principio di terzietà del giudice e si rivela funzionale all'attuazione del principio del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole durata.

5. Neppure il secondo motivo è fondato.

La Corte territoriale ha valutato l'addebito così come elevato al G. nella contestazione disciplinare - laddove (come riferito a pg. 9 della sentenza) si esponeva che dalle ore 2.30 egli, contattato con il cercapersone, non aveva risposto alla chiamata dell'infermiere, il quale l'aveva cercato anche in reparto, senza riuscire a trovarlo, sino alla fine del turno - ed ha ritenuto che l'addebito così come contestato non configurasse il (parimenti contestato) abbandono del posto di lavoro previsto dall'art. 11 lettera f) del CCNL. Il motivo sollecita in tal senso un'inammissibile inversione dell'onere della prova in quanto, considerato che incombe al datore di lavoro dimostrare la fondatezza dell'addebito, sarebbe stato suo onere dimostrare che il medico non solo non aveva risposto al cercapersone e non era presente in reparto, ma che si era allontanato dalla struttura, così realizzando l'"abbandono" del posto di lavoro secondo l'accezione che ne ha dato la Corte di merito (censurata con i motivi di seguito esaminati).

6. Il terzo motivo del ricorso principale è inammissibile, in quanto non indica di quale contratto collettivo si parli (solo riferendolo al "personale non medico"), né lo allega al ricorso, né ne indica la collocazione in atti, né trascrive la disposizione la cui corretta interpretazione viene invocata. Risultano in tal modo violate le prescrizioni desumibili dagli artt. 366 c. 1 n. 6 e 369 c. 2 n. 4 c.p.c. che impongono il requisito della specificità anche con riferimento alle censure che abbiano ad oggetto il contratto collettivo di diritto comune (Sez. U, n. 20075 del 23/09/2010, conf. Sez. L., n. 4350 del 04/03/2015).

6.1. Può quindi qui solo rilevarsi che questa Corte, nella sentenza n. 15441 del 26/07/2016, con riferimento all'art. 140 del c.c.n.I. Istituti di vigilanza privata del 2 maggio 2006 ha affermato che l’abbandono, secondo il suo significato letterale, individua il totale distacco dal bene da proteggere, totale distacco che non ricorre quando la persona sia fisicamente reperibile nel luogo ove la prestazione dev'essere svolta, così avvalorando indirettamente la nozione di "abbandono" del posto di lavoro adottata dalla Corte territoriale.

7. Il quarto motivo è inammissibile.

Con riferimento all' allegato 10 alle linee guida adottate dal Centro cardiologico (di cui sono trascritte solo 4 righe) ed alle deposizioni testimoniali, il ricorrente tenta di accreditare l'esistenza di una procedura aziendale di reperimento del medico di turno basato soltanto sulla chiamata telefonica con il cercapersone, ma in tal modo suggerisce una valutazione delle risultanze di causa meramente contrappositiva alla ricostruzione della Corte territoriale, sollecitando un'inammissibile rivalutazione da parte di questa Corte di legittimità delle risultanze fattuali. Il motivo peraltro non è idoneo a smentire la ratio deciderteli adottata nella sentenza gravata, considerato che anche il fatto che normalmente si proceda alla ricerca telefonica del medico di turno non sarebbe in contraddizione con la conclusione secondo la quale l’abbandono del posto di lavoro contestato al medico possa aversi soltanto quando non dia esito neppure la ricerca fisica nei luoghi destinati alla permanenza notturna.

6. Il quinto e sesto motivo sono infondati.

Il fatto che in precedenti occasioni il dr. G. fosse stato reperito presso la stanza destinata al pernottamento del personale medico non era di per sé idoneo a qualificare la condotta da ultimo contestata come abbandono del posto di lavoro. Poiché peraltro non risulta che le condotte precedenti avessero determinato alcuna conseguenza disciplinare per il medico, resta confortato l'assunto della Corte d'appello secondo il quale esse non erano di tale gravità da determinare il recesso ad nutum.

7. Entrambi i ricorsi devono quindi essere rigettati, con la compensazione tra le parti delle spese del giudizio in ragione della reciproca soccombenza.

Sussistono i presupposti previsti dal primo periodo dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dal comma 17 dell'art. 1 della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale.

 

P.Q.M.

 

Rigetta entrambi i ricorsi e compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.