Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE MILANO - Ordinanza 29 luglio 2014

Contenzioso tributario - Controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall'Agenzia delle entrate - Introduzione degli istituti del reclamo e della mediazione - Art. 17-bis, del Decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

 

Osserva

 

1. Il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, conv. dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 ha introdotto il reclamo obbligatorio in relazione ad alcune controversie tributarie, disciplinando i profili sostanziali e procedurali, introducendo nel decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 l'art. 17-bis.

 Il nuovo istituto prevede che «Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall'Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso e tenuto preliminarmente a presentare reclamo secondo le disposizioni seguenti ed è esclusa la conciliazione giudiziale di cui all'art. 49 (comma 1).

La norma stabilisce, inoltre, che «la presentazione del reclamo è condizione di ammissibilità del ricorso» e che «l'inammissibilità è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio» (comma 2).

 Il reclamo deve essere «presentato alla Direzione provinciale o alla Direzione regionale che ha emanato l'atto, le quali provvedono attraverso apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l'istruttoria degli atti reclamabili (comma 5).

Qualora l'organo che ha ricevuto il reclamo non intenda accoglierlo deve formulare «d'ufficio una proposta di mediazione avuto riguardo all'eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell'azione amministrativa» (comma 8).

«Decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato raccoglimento del reclamo o senza che sia stato conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso» e i termini di cui agli articoli 22 e 23 dello steso decreto legislativo n. 546 del 1992 decorrono dalla predetta data, a meno che l'Agenzia delle entrate non respinga il reclamo in data antecedente, nel qual caso i predetti termini decorrono dal ricevimento del diniego (comma 9).

In relazione alle spese del successivo giudizio, la disposizione in esame prevede che «nelle controversie di cui al comma 1 la parte soccombente è condannata a rimborsare, in aggiunta alle spese di giudizio, una somma pari al 50 per cento delle spese di giudizio a titolo di rimborso delle spese del procedimento disciplinato dal presente articolo» (comma 10).

2. Il reclamo che deve essere proposto nella materia tributaria, così come disciplinato dal citato art. 17-bis del decreto legislativo n. 546 del 1992, ha natura amministrativa, come si evince dalla sua collocazione all'interno, del Titolo I, Capo II del decreto legislativo n. 546, dalla formulazione letterale del comma 2 che indica il reclamo quale condizione di ammissibilità dell'azione e dal comma 9 che specifica che in caso di mancata conclusione del procedimento entro 90 giorni si trasforma in atto introduttivo del giudizio.

In particolare si tratta di un ricorso amministrativo diretto alla stessa Autorità che ha emanato l'atto che deve provvedere in proposito, sia pure avvalendosi dell'attività di un ufficio diverso (comma 5).

 3. La disciplina contenuta nell'art. 17-bis del decreto legislativo n. 546 del 1992, presenta alcuni profili in relazione ai quali sussistono fondati dubbi di contrasto con le previsioni contenute negli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, in relazione agli aspetti di seguito esposti.

3.1. Con riferimento all'art. 3 della Costituzione occorre osservare che la disposizione in questione impedisce in ragione del limite di cui all'importo stabilito di ventimila euro la proposizione di azioni con riferimento ai soli tributi di competenza dell'Agenzia delle entrate. Al contrario, in relazione agli altri tributi pretesi da altre amministrazioni impositrici non esiste l'obbligo di attivare la procedura di reclamo, creando, in questo modo una situazione di disparità di trattamento fra i soggetti che devono adempiere a prescrizioni tributarie differenti.

 La decadenza prevista dal comma 2 impedisce di agire in giudizio solamente in relazione ad alcuni tributi, mentre non opera in relazione a tutti gli altri e, quindi, in relazione ai tributi di competenza dell'Agenzia delle entrate viene previsto un onere che non trova alcuna giustificazione né in relazione alla natura del tributo né alla qualificazione soggettiva dell'Agenzia delle entrate, creando in questo modo una disparità di trattamento fra situazioni sostanzialmente analoghe. 

Inoltre, la soglia dei ventimila euro discrimina, senza che sia evidenziata alcuna ragione contraria che giustifichi il diverso trattamento dei soggetti sottoposti all'imposizione tributaria, la situazione dei contribuenti a causa di un mero dato quantificativo che non trova riscontro in altri istituti del diritto tributario. 

Sempre in relazione all'art. 3 della Costituzione, occorre sottolineare che la sanzione dell'inammissibilità dell'azione giudiziaria conseguente al mancato esperimento del reclamo disciplinato dall'art. 17-bis provoca una ingiustificato discriminazione tra il diritto del contribuente a corrispondere il giusto tributo e la potestà impositiva dell'Agenzia delle entrate - essendo il ricorso a detto istituto previsto solo per i tributi di competenza di quest'ultima, si ripete - non risultando possibile individuare le esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia che giustifichino la necessità della proposizione di un reclamo preventivo in presenza di altri strumenti deflattivi del contenzioso (quali l'autotutela, l'obbligo del preventivo contraddittorio, l'accertamento con adesione), cosicché il reclamo oggetto di esame in questa sede appare quale atto di aggravio del procedimento, idoneo, in caso di mancata proposizione, a pregiudicare il contribuente che è privato della possibilità di agire in giudizio.

Da ultimo, la violazione dell'art. 3 risulta anche in relazione alla circostanza che solo a seguito della proposizione del ricorso giurisdizionale il contribuente può adire la tutela cautelare, creandosi un'evidente situazione di disparità di trattamento fra i contribuenti che possono agire in giudizio (debito superiore ai 20.000 euro in relazione ai tributi di competenza dell'Agenzia delle entrate e debito di qualsivoglia ammontare riferito a tributi di competenza di altri Enti impositori) e quelli che devono ricorrere alla mediazione che devono attendere la conclusione della stessa, anche in presenza di atti esecutivi.   Infatti, come noto l'art. 47 del decreto legislativo n. 546 del 1992 condiziona la possibilità di adire la tutela cautelare ad una valida instaurazione del contraddittorio giudiziale relativo al processo sul merito dell'atto del quale si invoca la sospensione dell'efficacia, poiché il comma 1 della norma appena richiamata richiede che siano osservate le disposizioni di cui all'art. 22 relative alla costituzione in giudizio del ricorrente e il comma 6 stabilisce che nei casi nei quali l'atto venga sospeso la trattazione del merito deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia.

 L'esclusione dalla possibilità di adire con immediatezza alla tutela cautelare in relazione ad una sola tipologia contenzioso (riferito a tributi di competenza dell'Agenzia dell'entrate, con debito inferiore ai 20.000 euro) è lesiva dei diritti del contribuente interessato alla limitazione poiché irrazionale, contraria al principio di uguaglianza e ingiustificato, trattandosi della tutela giurisdizionale di posizioni giuridiche soggettive che devono essere garantite nei casi nei quali l'atto sia immediatamente esecutivo (avvisi di accertamento disciplinati a seguito dell'art. 29 del decreto-legge n. 78 del 2010; cartelle esattoriali (art. 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 e 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972). 

3.2. Con riferimento all'art. 24 della Costituzione, la Sezione evidenzia che la norma richiamata sopra limita la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi sino ad escluderla del tutto qualora non venga esperita una preventiva fase amministrativa che risulta imposta a pena d'inammissibilità, violando, in questo modo, il diritto di azione in giudizio garantito dal richiamato art. 24 della Costituzione. 

In sostanza, la disciplina dell'istituto risultante dall'art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 comprime un diritto garantito a livello costituzionale ad ogni soggetto poiché subordina, in concreto, la possibilità di agire all'esperimento di un procedimento amministrativo. 

In proposito, occorre sottolineare che la sanzione dell'inammissibilità del ricorso causata dalla omessa presentazione di un reclamo o ricorso amministrativo è stata censurata in più occasioni dal Giudice delle leggi per violazione dell'art. 24 della Costituzione. In particolare, è stato rilevato che se anche in linea di principio l'accesso alla tutela giurisdizionale può essere subordinato a rimedi di tipo amministrativo, contrastano con l'art. 24 della Costituzione previsioni legislative che «comportino una compressione penetrante del diritto di azione, ostacolandone o rendendone difficoltoso l'esercizio, in particolare comminando la sanzione della decadenza», con conseguente perdita del diritto (per tutte: Corte costituzionale 11 dicembre 1989, n. 530; id, 18 gennaio 1991, n. 15: Inoltre: id, 24 febbraio 1995, n. 56).

 Risultano legittime norme che differiscano temporaneamente il ricorso all'Autorità giudiziario in presenza di necessità particolari, ma contrastano con l'art. 24 della Costituzione disposizioni che rendano impossibile l'azione in ragione di  attività di tipo amministrativo che il soggetto interessato sia tenuto ad esperire prima di adire il giudice.

 Nel caso di specie, la complessiva disposizione del citato art. 17-bis pone un serio ostacolo ad una categoria di contribuenti che possono adire la via giudiziario solo dopo l'esperimento di un ricorso amministrativo e decadono da quest'ultima possibilità se omettono la fase amministrativa. 

3.3. Con riferimento all'art. 111 della Costituzione, occorre sottolineare che il procedimento amministrativo disciplinato dall'art. 17-bis comporta un'eccessiva dilatazione dei tempi di introduzione del giudizio tributario, con conseguente violazione dell'art. 111 in relazione alla prospettiva della ragionevole durata del giudizio, al fine di soddisfare la pretesa che la parte intende azionare. 

In disparte altre considerazioni e sotto un profilo parzialmente diverso, occorre rilevare che il tempo necessario per l'esperimento del procedimento amministrativo che deve precedere il giudizio potrebbe recare nocumento alla parte istante, in considerazione della circostanza che, decorsi sessanta giorni dalla notifica, gli avvisi di accertamento e le cartelle di pagamento diventano immediatamente esecutive ed il contribuente non può proporre istanza di sospensione poiché il giudizio non è ancora instaurato (art. 47 del decreto legislativo n. 546 del 1992).

 Sempre in relazione all'art. 111 della Costituzione ed ai principi che devono informare il processo, occorre evidenziare che il procedimento in questione non è stato delineato come quello previsto in relazione al giudizio civile nel quale è garantita la terzietà del soggetto al quale è affidata l'attività di mediazione. Nel caso di specie, l'organo investito del reclamo, a pena di decadenza, è rappresentato dalla stessa Amministrazione che ha emanato il provvedimento e, conseguentemente, può ritenersi che la norma non abbia previsto un autonomo procedimento deflattivo ma, semplicemente, subordinato il diritto di agire in giudizio al previo esperimento di un ricorso amministrativo alla stessa Autorità che ha emanato il provvedimento. 

In proposito, è appena il caso di osservare che l'organo al quale deve essere affidata un'attività di mediazione deve avere natura terza e non può essere individuato in un'articolazione amministrativa di una delle parti, vale a dire, nel caso di specie, in un ufficio, sia pure diverso, della stessa Amministrazione tributaria che ha emanato l'atto oggetto di contestazione. Trattando della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili, il giudice delle leggi, con la pronuncia n. 272 del 2012, ha osservato che l'istituto della mediazione come strumento deflattivo del contenzioso trova il suo fondamento anche nel diritto comunitario (le conclusioni adottate dal Consiglio nel maggio del 2000; il libro verde, presentato dalla Commissione nell'aprile del 2002; la direttiva numero 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in data 21 maggio 2008; la risoluzione del Parlamento europeo in data 13 settembre 2011; la risoluzione del Parlamento europeo in data 25 ottobre 2011, con particolare riferimento al paragrafo 31, sesto capoverso). La Corte costituzionale ha precisato, inoltre, che dal diritto comunitario si evince, da un lato, che la finalità deflattiva dell'istituto della mediazione deve essere raggiunta in forza dell'autorevolezza e dell'utilità concreta della mediazione e non con strumenti di obbligatorietà del ricorso ad essa e, dall'altro, che la mediazione deve svolgersi in modo imparziale rispetto alle parti coinvolte (art. 4 della direttiva numero 2008/52/CE).

 

P.Q.M.

 

Sciolta la riserva assunta in data 3 giugno 2013,  visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, introdotto dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, conv. dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, in relazione agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, sospende i giudizi riuniti n. 10824/12 e n. 10825/12 e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Ordina alla Segreteria, ai sensi e per gli effetti dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la notifica della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, comunicandola, altresì, ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

 

---

Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 15 giugno 2016, n. 24.