Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 novembre 2017, n. 27070

Imposte indirette - IVA - Istanza di rimborso - Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Confederazione svizzera - Stabile organizzazione - "Centro di attività stabile"

 

Rilevato

 

- che, in controversia concernente l'impugnazione del provvedimento di sospensione del rimborso IVA su fatture passive relative all'anno di imposta 2006, richiesto dalla E.S.L. E.S. (società di diritto elvetico), che l'Agenzia delle Entrate aveva fondato sulla rilevata presenza di una stabile organizzazione della predetta società nel territorio nazionale, in cui la predetta società aveva un ufficio con personale dipendente ed aveva effettuato operazioni soggette ad IVA, la Commissione tributaria regionale, ritenendo insussistente nella specie il "centro di attività stabile" previsto dall'art. 5 della Convenzione italo-svizzera, confermava la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla società svizzera e, quindi, rigettava l'appello proposto dall'amministrazione finanziaria;

- che avverso tale statuizione l'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replicano con unico controricorso la società contribuente nonché N.S., nella sua qualità di rappresentante fiscale di quest'ultima, entrambe intimate;

 

Considerato

 

- che va preliminarmente rilevato che la società intimata, E.S.L. E.S., non è mai stata parte dei giudizi di merito con la conseguenza che va dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei confronti della medesima ed il controricorso di quest'ultima;

- che, difatti, l'originario ricorso avverso il provvedimento di sospensione del rimborso IVA venne proposto da «N.S. [...] quale rappresentante fiscale della società estera E.S.L. E.S., l'atto di appello dell'Agenzia delle entrate venne notificato a «S.N., quale Rappr. Fiscale della ESL E. S.» e soltanto nelle controdeduzioni depositate in grado di appello si legge che «si costituisce [...] la E. E.S. [...] rappresentata dal Rappresentante Fiscale Dr.ssa N.S.»; da tali risultanze processuali emerge in modo assolutamente chiaro che a proporre il giudizio non fu la società estera ma il suo rappresentante fiscale, che è l'unico soggetto di cui consta la partecipazione in tutti i gradi di giudizio, con quella continuità che non sussista per la società :

- che con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle Entrate deduce la falsa applicazione dell'art. 5 della Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Confederazione svizzera «per evitare le doppie imposizioni e per regolare talune altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio», promulgata con legge n. 943 del 1978, sostenendo che i giudici di appello avevano erroneamente fatto applicazione al caso di specie, in cui viene in rilievo l'imposta sul valore aggiunto, della predetta convenzione, il cui ambito di applicabilità è espressamente limitato, ai sensi dell'art. 2, alle imposte sul reddito e sul patrimonio (comma 1), che sono «le imposte prelevate sul reddito complessivo, sul patrimonio compléssivo, o su elementi del reddito o del patrimonio, comprese le imposte sugli utili derivanti dall'alienazione di beni mobili o immobili, le imposte sull'ammontare complessivo degli stipendi e dei salari corrisposti dalle imprese, nonché le imposte sui plusvalori» (comma 2), specificandosi al comma 3 che «le imposte attuali cui si applica la Convenzione sono in particolare: a) per quanto concerne l'Italia: (1) l'imposta sul reddito delle persone fisiche; (2) l'imposta sul reddito delle persone giuridiche; e (3) l'imposta locale sui redditi; ancorché riscosse mediante ritenuta alla fonte»;

- che, stante la conformità della statuizione censurata ai principi attualmente ricavabili dalla giurisprudenza di questa Corte, dalla commissione di appello correttamente applicati, in accoglimento dell'eccezione all'uopo formulata dalla controricorrente, il motivo va dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 360-bis cod. proc. civ., il cui scrutinio va svolto «relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione» (Cass., Sez. U., n. 7155 del 2017);

- che, invero, la CTR ha interpretato l'art. 5 della Convenzione italo-svizzera in conformità al principio ripetutamente affermato da questa Corte (Cass. n. 3367, n. 3368 e n. 7682 del 2002, n. 8488 del 2010 e, da ultimo, n. 8543 del 2016), peraltro sulla scorta della giurisprudenza comunitaria, e dal quale non v'è ragione di discostarsi, secondo cui il requisito della stabile organizzazione postula la necessaria compresenza dell'elemento oggettivo previsto dal comma 2 (cd. stabile organizzazione materiale) e di quello soggettivo previsto dal comma 4 (cd. stabile organizzazione personale), soltanto per la configurazione di un "centro di attività stabile" ai fini dell'IVA, mentre tale regola non opera ai fini dell'imposizione sul reddito, per la quale i predetti requisiti sono alternativi tra loro;

- che con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 2697 cod. civ., 17 e 38-ter d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione agli artt. 4, 7, 19, 21 e 30 stesso decreto e 9 della Direttiva n. 77/388/CEE, sostenendo che la CTR era incorsa nell'erronea qualificazione giuridica del fatto accertato dalla CTR, e non contestato, dell'esistenza di un ufficio «a disposizione del non residente» in cui «prestava attività un collaboratore a progetto» il quale «si limitava ad acquistare servizi da aziende italiane per conto e in nome della società appellata», «consistiti nella pubblicizzazione dell'attività svolta in Svizzera dalla stessa società», escludendo che tali elementi fossero idonei a far ritenere costituita in Italia un centro di attività stabile della società elvetica, ponendo altresì a carico dell'amministrazione finanziaria l'onere di dimostrare che quel dipendente configurava «elemento personale di una stabile organizzazione»;

- che il motivo è infondato e va rigettato;

- che va preliminarmente ricordato che, sebbene il legislatore nazionale in materia di IVA utilizzi sempre l'espressione «stabile organizzazione» del soggetto passivo non residente (d.P.R. n. 633 del 1972, artt. 7, anche nella versione previgente alla riforma del 2010, 17, comma 3, 21, 35, 38-bis 2, 38-ter, anche nella versione ante riforma del 2010, e 40), pur non fornendone alcuna nozione, occorre riportarsi al concetto di «centro di attività stabile», cui fa riferimento la sesta direttiva, n. 77/388/CEE, art. 9, comma 1, la quale, unitamente alla sue successive modificazioni, detta la normativa comunitaria uniforme in materia di IVA (ma anche l'ottava e la tredicesima direttiva, al rispettivo art. 1), e ciò in ragione della diretta applicabilità della direttiva negli stati membri, precisandosi, altresì, al riguardo, che «la nozione di stabile organizzazione in Italia di società estera, delineata dall'art. 5 del modello O.C.S.E. di convenzione contro le doppie imposizioni, deve essere integrata alla luce della disciplina uniforme - più restrittiva - dettata in materia dalla sesta direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, art. 9, n. 1, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia» (Cass. n. 10925 del 2002), e così pure quella «contenuta nell'art. 5, par. 6, della Convenzione tra Italia e Svizzera contro le doppie imposizioni sui redditi del 9 marzo 1976, ratificata con legge 23 dicembre 1978, n. 943 - che il giudice può utilizzare, ai fini IVA, unicamente nei limiti in cui si tratti di individuare un'organizzazione materiale costituente "centro di attività stabile", ai sensi dell'art. 9 della direttiva n. 77/388/CEE » (Cass. n. 6799 del 2004);

- che secondo il consolidato orientamento della Corte di giustizia «per poter essere considerato un centro di attività cui si riferiscono le cessioni di beni o le prestazioni di servizi di un soggetto passivo, è necessario che tale centro di attività presenti un grado sufficiente di stabilità e una struttura idonea, sul piano del corredo umano e tecnico, a rendere possibili in modo autonomo le operazioni di cui trattasi» (Corte di giustizia, sent. 6 febbraio 2014, in causa C-323/12, E.ON Global Commodities SE, che richiama le sentenze del 17 luglio 1997, ARO Lease, C 190/95, Racc. pag. I 4383, punto 16, e del 7 maggio 1998, Lease Pian, C 390/96, Racc. pag. I 2553, punto 24; v. anche, Cass. n. 3570 del 2003), non costituendo «un centro di attività stabile un'istallazione fissa utilizzata al solo fine di effettuare, per conto dell'impresa, attività di carattere preparatorio o ausiliario quali l'assunzione del personale o l'acquisto dei mezzi tecnici necessari allo svolgimento delle attività dell'impresa» (Corte di giustizia, sent. 28 giugno 2007, in causa C-73/06, Planzer Luxembourg Sari, punto 56), o di mezzi pubblicitari, come avvenuto nel caso di specie;

- che, pertanto, incontestate le circostanze di fatto accertate dai giudici di appello - ovvero la sussistenza sub specie di un ufficio della società contribuente con la presenza di un solo «collaboratore a progetto», il quale non svolgeva attività di cessione di beni o di prestazione di servizi», ma «si limitava ad acquisire servizi» per la «pubblicizzazione dell'attività svolta in Svizzera dalla stessa società»

- ai giudici di appello non può attribuirsi alcun errore di qualificazione giuridica di tali circostanze, non essendo le stesse riconducibili alla nozione di «centro di attività stabile», così come sopra prospettata, alla luce dell'accertamento condotto dalla CTR non soltanto sul piano formale, ma anche - e soprattutto - su quello sostanziale (Cass. n. 10925 del 2002);

- che, al riguardo, deve escludersi che la CTR abbia compiuto gli errori attribuitigli dalla ricorrente (v. pag. 13 del ricorso) posto che:

a) quanto all'attività espletata dal dipendente della società contribuente, non è vero che abbia attribuito rilevanza giuridica soltanto a quella di cessione di beni o di prestazioni di servizi, ma ha escluso che tali attività venissero poste in essere da quel dipendente, che invece si limitava all'acquisto di servizi, peraltro pubblicitari; b) quanto all'elemento personale, la CTR ha ritenuto, secondo una valutazione di merito non censurata, che la presenza di un solo «collaboratore a progetto» non fosse idonea configurare una struttura idonea, sul piano del corredo umano, a costituire un centro di attività stabile; c) quanto all'oggetto dell'attività, la stessa può rilevare ai fini della qualificazione di tale "centro", ai sensi del principio unionale, sopra enunciato, secondo cui non costituisce «un centro di attività stabile un'istallazione fissa utilizzata al solo fine di effettuare, per conto dell'impresa, attività di carattere preparatorio o ausiliario quali l'assunzione del personale o l'acquisto dei mezzi tecnici necessari allo svolgimento delle attività dell'impresa» (Corte di giustizia, sent. 28 giugno 2007, in causa C-73/06, Planzer Luxembourg Sari, punto 56); in buona sostanza, può affermarsi che la CTR ha condotto l'accertamento della sussistenza di un centro di attività stabile non sul piano formale, ma anche - e soprattutto - su quello sostanziale;

- che è infondata anche la denunciata violazione dell'onere probatorio, pure prospettata nel motivo in esame, sul rilievo che la CTR aveva posto a carico dell'amministrazione finanziaria l'onere di fornire la prova dell'assenza di un "corredo umano" adeguato a costituire il centro di attività stabile; invero, nel caso in esame la CTR, sulla base di un accertamento in fatto non contestato, ha ritenuto insussistente tale requisito con la ovvia conseguenza che spettava all'amministrazione finanziaria l'onere di provare l'effettiva sussistenza di quel requisito, a norma dell'art. 2697, secondo comma, cod. civ., che è disposizione che la CTR ha, quindi, correttamente applicato;

- che, conclusivamente, il primo motivo va dichiarato inammissibile ed il secondo rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti della società ed il controricorso proposto da quest'ultima; dichiara inammissibile il primo motivo, rigetta il secondo e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente S., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, compensando le spese processuali tra la ricorrente e la società controricorrente.