Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 maggio 2017, n. 11195

Imposte dirette - IRPEF - Accertamento - Riscossione - Raddoppio dei termini di decadenza

Fatti di causa

Nella controversia concernente l'impugnazione da parte della P. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, dell'avviso di accertamento relativo ad omesso versamento di ritenute Irpef relativo all'anno di imposta 2003, la Commissione tributaria regionale, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava la decisione di primo grado di rigetto del ricorso introduttivo. In particolare, il Giudice di appello riteneva legittimo l'accertamento impugnato, in quanto l'Amministrazione finanziaria non era decaduta dal relativo potere, trovando applicazione l'istituto previsto dall'art. 43 d.p.r. 600/1973.

In ordine alle sanzioni, la C.T.R. rilevava che i giudici di primo grado avevano correttamente considerato la gravità del meccanismo fraudolento posto in essere dalla Società e dai suoi soci.

Avverso la sentenza ricorre la Società affidandosi a due motivi.

L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

A seguito di proposta ex art. 380 bis c.p.c. e di fissazione dell'adunanza della Corte in camera di consiglio, ritualmente comunicate, il ricorrente ha depositato memoria.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell'art. 43 d.p.r. n. 600/73 laddove la C.T.R. aveva confermato la ripresa a tassazione malgrado la stessa fosse intervenuta ben oltre lo spirare degli ordinari termini decadenziali, non essendo operante l'istituto del "raddoppio dei termini" per più ordini di ragioni, prime fra tutte la prescrizione del reato ipotizzato.

1.1.La censura è infondata. Ai fini del raddoppio dei termini in questione, per come disposto dall'art. 37, comma 24, del dl. n. 223/2006, convertito nella legge n. 248/2006, che ha modificato l'art. 43, comma 3, del d.p.r. n. 600/1973 e l'art. 57, comma 2 bis del d.p.r. n. 633/1972 (nei testi applicabili ratione temporis), non è necessaria l'effettiva presentazione della denuncia (né tanto meno la produzione di questa in giudizio).

Come, infatti, statuito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 247/2011), l'unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell'obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché " il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l'obbligo di denuncia penale" ed "il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell'obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta "prognosi postuma") circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l'amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento". Questa Corte, poi, in recente pronuncia (Cass. n. 26037/2016), ha così statuito, chiarendo come devono essere correlati tra loro i successivi interventi legislativi di cui al d.lgs. 128/2015 ed alla L. 208/2015: "In tema di termini per l'accertamento tributario stabiliti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 (per le imposte sui redditi) e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 (per l'IVA): a) il regime transitorio introdotto dal comma 3 dell'art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 (in vigore dal 2 settembre 2015) non è abrogato dal successivo regime transitorio previsto dal comma 132 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015 (in vigore dal 10 gennaio 2016); b) il primo regime transitorio (d.lgs. n. 128 del 2015) stabilisce che i commi 1 e 2 dell'art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 non si applicano né in relazione agli avvisi di accertamento, ai provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie ed agli altri atti impugnabili con i quali l'Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data del 2 settembre 2015, né in relazione agli inviti a comparire di cui all'articolo 5 del d.lgs. n. 218 del 1997, notificati alla data del 2 settembre 2015, né in relazione ai processi verbali di constatazione redatti ai sensi dell'art. 24 della legge n. 4 del 1929, dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro il 2 settembre 2015, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015; e) il secondo regime transitorio (legge n. 208 del 2015) disciplina diversamente il regime ordinario del raddoppio dei termini di accertamento previsto dai commi 1 e 2 dell'art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, disponendo che i commi 130 e 131 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015 non si applicano agli avvisi relativi ai periodi d'imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016 e introducendo per tali periodi d'imposta anteriori una specifica normativa transitoria per le sole ipotesi in cui a detti periodi non sia applicabile il precedente regime transitorio dettato dal d.lgs. n. 128 del 2015".

In riferimento, poi, alla specifica questione relativa all'eventuale prescrizione del reato questa Corte ne ha affermato l'irrilevanza statuendo che ai fini del solo raddoppio dei termini per l'esercizio dell'azione accertatrice, rileva l'astratta configurabilità di un'ipotesi di reato e l'intervenuta prescrizione del reato non e di per se stessa d'impedimento all'applicazione del termine raddoppiato per l'accertamento, proprio perché non rileva ne l'esercizio dell'azione penale da parte del p.m., ai sensi dell'articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell'imputazione, ne la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di «doppio binario» tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (Cass. n. 20043/2015)

Alla luce di tutti i superiori principi, privo di pregio appare, allora, il rilievo, proposto in ricorso e ribadito dalla ricorrente in memoria, relativo all'inconferenza della notizia di reato tramessa dalla DP II di Milano in quanto la contestazione recata nell'Avviso, relativa all'omessa esecuzione di ritenute alla fonte, avrebbe potuto sussumersi nella fattispecie astratta di cui all'art. 10 bis del d.lgs. n. 74 del 2000, rispetto alla quale non risultavano superate le soglie di punibilità.

Ed invero, alla luce dell'accertamento in fatto compiuto dal Giudice di appello in ordine al riscontro di fatti comportanti l'obbligo di denuncia penale per il reato di cui all'art.2 del d.lgs.n.74 del 2000, la diversa qualificazione dei fatti, peraltro postuma, soggettivamente effettuata dalla ricorrente in diversa ipotesi di reato, è ininfluente.

2. Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360, 1 comma, n.4 cod.proc.civ. per avere la C.T.R. Lombarda omesso di pronunciarsi sul motivo n.2 dell'appello con il quale si era specificamente eccepito che, in ogni caso anche a volere ritenere applicabile l'istituto del raddoppio dei termini la notificazione dell'avviso di accertamento era, comunque, tardiva.

2.1. La censura è fondata non avendo il Giudice di appello pronunciato sullo specifico motivo di appello reiterativo di eccezione già ritualmente introdotta con il ricorso introduttivo.

3. Ne consegue, in accoglimento del solo secondo motivo, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla C.T.R. della Lombardia la quale provvederà anche sulle spese di questo giudizio.

 

P.Q.M.

 

In accoglimento del solo secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.