Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 gennaio 2018, n. 3658

Reati tributari - Omesso versamento di ritenute - Responsabilità penale - Esimente - Crisi di liquidità e successivo fallimento della società - Non sussiste

 

Ritenuto in fatto

 

1. S.O. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano in data 19/01/2017 di conferma della sentenza del Tribunale di Milano in data 03/04/2014 di condanna per il reato di cui all'art. 10 bis del D. Lgs n. 74 del 2000 perché, quale legale rappresentante della società K. s.r.l., non versava, entro il termine del 20/08/2010 previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per l'anno 2009 per l'ammontare di euro 401.740,00.

2. Con un primo motivo di ricorso lamenta la violazione dell'art. 10 bis del D. Lgs. n. 74 del 2000 nonché totale mancanza di motivazione della sentenza, limitatasi ad un generico richiamo alla sentenza di primo grado, quanto alla censura svolta con l'atto di appello in punto di sussistenza dell'elemento soggettivo del reato inteso quale rimproverabilità del fatto all'imputato. Dopo avere premesso le linee di interpretazione della giurisprudenza in ordine alla rilevanza o meno della "crisi di liquidità", deduce che, pur non essendo normativamente prevista in modo espresso, va inclusa tra le cause di esclusione della colpevolezza, anche al fine di rispettare il principio di personalità del diritto penale ex art. 27 Cost. nonché di assicurare la funzione rieducativa della pena, la non rimproverabilità del fatto all'imputato intesa quale inesigibilità di una condotta diversa, in relazione alle circostanze specifiche della vicenda. Nel caso di specie tale inesigibilità andrebbe tra l'altro dedotta, come emerso dalle deposizioni testimoniali dei professionisti B., curatore fallimentare, e D.F., redattore della domanda di concordato preventivo, dalla presentazione, da parte dell'imputato, non appena insorta la crisi aziendale, di un'istanza di concordato che prevedeva il pagamento, integrale dei debiti all'Erario nonché la cessione di un ramo d'azienda, già affittato dalla T.C., e la vendita dei suoi beni, dal riconoscimento, nell'ambito della procedura fallimentare, di numerosi crediti a favore della K. per una somma di ben 4 milioni di euro, imprevedibilmente non potuti incassare, e dalla intervenuta prestazione da parte dello stesso imputato di garanzie e risorse personali. Si che, in definitiva, la società si era trovata in un imprevedibile ed incolpevole stato di crisi di liquidità da un anno all'altro per una serie concomitante di fattori cui l'imputato aveva reagito tempestivamente senza esito favorevole.

3. Con un secondo motivo lamenta la violazione dell'art. 133 cod. pen. nonché mancanza di motivazione in punto di quantificazione della pena, commisurata partendo da una pena base superiore al minimo edittale e senza considerare l'età avanzata dell'imputato nonché il merito dell'aver creato e mantenuto numerosi posti di lavoro con la sua attività imprenditoriale che avrebbero imposto una pena coincidente con il minimo edittale tout court.

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Va ricordato come questa Corte abbia in più occasioni affermato che, sufficiente per l'integrazione del reato in oggetto la coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo relativo, ogniqualvolta il sostituto d'imposta effettua le erogazioni degli emolumenti ai dipendenti, deriva a carico dello stesso l'obbligo di accantonare le somme dovute organizzando le risorse disponibili in modo da potere adempiere all'obbligazione tributaria; in altri termini, secondo un indirizzo da tempo seguito, lo stato d’insolvenza non libera il sostituto d’imposta, dovendo questi adempiere al proprio obbligo di corrispondere le ritenute così come adempie a quello di pagare le retribuzioni di cui le ritenute stesse sono parte. Ed invero, anche il sopravvenuto fallimento dell’agente non è sufficiente a scriminare il precedente omesso versamento delle ritenute, essendo obbligo del sostituto d'imposta quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da poter adempiere al proprio obbligo tributario, anche se ciò comporta l'impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (tra le altre, Sez. 3, n. 19574 del 21/11/2013, dep. 13/05/2014, Assirelli, Rv. 259741; Sez. 3, n. 11694 del 18/06/1999, dep. 13/10/1999, Tiriticco, Rv. 215518; Sez. 3, n. 11459 del 19/09/1995, dep. 28/11/1995, Rossi, Rv. 203018). Di qui, dunque secondo la lettura successivamente offerta anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U., n. 37425 del 28/03/2013, dep. 12/09/2013, Favellato, Rv. 255760), poi seguita e sviluppata dalle sezioni semplici, la non invocabilità, al fine di escludere la colpevolezza del soggetto agente, della crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta ovvero, in altre parole, ove non si dimostri che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse, inoltre, non possano essere altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale (tra le altre, Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, dep. 04/02/2014, Mercutello, Rv. 258055).

E, in particolare con riferimento ai crediti verso terzi che non si sia riusciti ad esigere, si è sottolineato che il mancato pagamento di debiti rientra nel normale rischio d'impresa (Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, dep. 15/05/2014, P.G. in proc. Zanchi, Rv. 259190).

Ciò posto, nella specie, il ricorso, richiamando gli esiti di prove testimoniali assunte nel giudizio di primo grado, si è limitato fondamentalmente a porre in evidenza, quale elemento idoneo a dimostrare, nel contesto della grave crisi economica generale, una gravissima crisi di liquidità idonea a giustificare il mancato versamento delle ritenute, la circostanza che la società del ricorrente fosse poi risultata, successivamente al fallimento, creditrice di una somma di quattro milioni di euro senza tuttavia, da un lato, come correttamente posto già in evidenza dalla sentenza impugnata, circostanziare meglio temporalmente la insorgenza e lo sviluppo della situazione e dall'altro evidenziare la ragione della solo affermata imprevedibilità di una tale situazione.

2. E' invece fondato il secondo motivo di ricorso.

A fronte del motivo di appello con cui l'imputato instava per la riduzione della pena in misura coincidente con il minimo edittale invocando lo stato di incensuratezza, l'età superiore ai settanta anni e l'intervenuta creazione, quale imprenditore, di numerosi posti di lavoro, la sentenza, limitandosi ad affermare essere la pena già stata irrogata in misura prossima ai minimi edittali (fatto, questo, del tutto evidente tanto da essere appunto logico presupposto della richiesta difensiva di ulteriore diminuzione della pena) ed essere già state concesse le circostanze attenuanti generiche nonché riconosciuti i benefici di legge, ha omesso ogni risposta sul punto incorrendo così nel difetto di motivazione denunciato.

3. Consegue a quanto sopra l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano limitatamente al trattamento sanzionatorio con rigetto nel resto.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.