Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 ottobre 2017, n. 24014

Licenziamento disciplinare - Valore esiguo dei beni come sottratti - Proporzionalità della sanzione espulsiva - Aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto - Grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente - Nocumento eventualmente arrecato - Circostanze - Motivi e intensità dell'elemento intenzionale o colposo

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte di Appello di Napoli con la sentenza n. 7271 in data 30.10.2014 ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli, che aveva respinto il ricorso proposto da R. A. nei confronti della società S.S.C.- S.S.C. s.r.l. spa volto all'accertamento della illegittimità del licenziamento intimato il 2.5.2009 ed alla pronuncia dei provvedimenti restitutori, economici e reali.

2. La Corte territoriale ha rilevato che: il giorno 5.4.2009 alle ore 13.10, l'A., scattato l'allarme antitaccheggio al momento del suo passaggio nella portineria del Supermercato ove prestava servizio, era stato trovato in possesso di confezioni di gomme e di caramelle del valore complessivo di € 9.80; né nella immediatezza dei fatti né in sede disciplinare il lavoratore aveva spiegato le ragioni del possesso dei beni rivenuti nel "giacchetto" e nei pantaloni; non era stata provata l'esistenza di dissapori tra l'A. ed il capo della sicurezza; era rimasta indimostrata l'esistenza di un piano volto ad "incastrare" l'A. in quanto la merce era stata rinvenuta non solo nel giacchetto, che il lavoratore aveva riferito di avere lasciato incustodito, ma anche nei pantaloni che il ricorrente indossava; l'elemento intenzionale era desumibile dalla circostanza che l'A., al pari degli altri dipendenti, non era a conoscenza del fatto che sui prodotti esposti negli scaffali erano stati apposti dispositivi antitaccheggio non visibili (adesivi); la gravità della condotta e la proporzione della sanzione espulsiva non potevano ritenersi escluse dal valore esiguo dei beni sottratti, avuto riguardo alla organizzazione del lavoro (esposizione delle merci alla pubblica fede), alle mansioni affidate all'A. (sino al 2008 addetto alla sicurezza; al momento di commissione dei fatti sottesi al licenziamento addetto rifornimento degli scaffali); l'inesistenza di precedenti disciplinari non costituiva elemento sufficiente per escludere la lesione del vincolo fiduciario in ragione della oggettiva gravità del comportamento e dell'elemento soggettivo, compendiatosi nella negazione dei doveri fondamentali che incombono sul lavoratore e su qualsiasi cittadino.

3. Avverso detta sentenza R. A. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, al quale ha resistito con tempestivo controricorso la società S.S.C. Società Sviluppo Commerciale srl. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Sintesi del motivo

4. Con l'unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. Asserisce che la Corte territoriale, nel formulare il giudizio di gravità della condotta addebitata ad esso ricorrente e quello di proporzionalità della sanzione espulsiva comminata, non avrebbe considerato che i fatti oggetto di contestazione disciplinare non risultavano accertati in modo incontrovertibile, che il valore dei beni assunti come sottratti era esiguo ( € 9,80), che prima del licenziamento non era stata irrogata alcuna sanzione disciplinare.

Esame del motivo

5. E' utile osservare che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo precisato che il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa;

viceversa, l'allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 6099/2017, 24029/2016, 10057/2016, 14468/2015).

6. Da detto principio generale è stata tratta la conseguenza, in tema di licenziamento per giusta causa, della possibilità di configurare un vizio di sussunzione solo qualora la combinazione e il peso dei dati fattuali, così come definito dal giudice del merito, non consente comunque la riconduzione alla nozione legale di giusta causa di licenziamento. Altrimenti occorrerà dedurre che è stato omesso l'esame di un parametro tra quelli individuati dalla giurisprudenza ai fini dell'integrazione della giusta causa avente valore decisivo, nel senso che l'elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità; ma in tal caso il vizio è attratto nella sfera di applicabilità dell'art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. (Cass. 18715/2016) e, quindi, per le sentenze, quali quella oggi impugnata, pronunciate decorsi trenta giorni dall'entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n.134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell'11.8.2012), di conversione del d.l. 22  giugno 2012 n. 83, sarà denunciabile unicamente l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

7. Alla luce dei principi innanzi richiamati, il motivo è inammissibile nella parte in cui il ricorrente deduce che la condotta oggetto di contestazione disciplinare e posta a base del licenziamento non risulterebbe accertata in modo incontrovertibile. La doglianza è, infatti, estranea al perimetro del vizio dedotto e riconducibile, in sostanza, all'art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., perché non è stato denunciato l'omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio ma è stata sollecitata, in realtà, una nuova, lettura del materiale istruttorio, inammissibile in sede di legittimità (Cass.SSU 8053/2014 e 24148/2013; Cass. 1541/2016, 15208/2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007, 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005).

8. Il motivo è infondato nella parte in cui il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c., propone un diverso apprezzamento della gravità dei fatti e della concreta ricorrenza degli elementi che integrano il parametro normativo della giusta causa, apprezzamento che, ponendosi sul piano del giudizio di fatto, è demandato al giudice di merito ed è sindacabile in cassazione solo a condizione che la contestazione contenga una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale ( Cass. 5707/2017, 23862/2016, 7568/2016, 2692/2015, 25608/2014, 6498/2012, 5095/2011, 35/2011, 19270/2006, 9299/2004).

9. Va, al riguardo, osservato che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, la valutazione in ordine alla ricorrenza della giusta causa e al giudizio di proporzionalità della sanzione espulsiva deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo (tra le più recenti, Cass. 1977/2016, 1351/2016, 12059/2015 25608/2014). Con la precisazione, quanto a quest'ultimo che, al fine di ritenere integrata la giusta causa di licenziamento, non è necessario che l'elemento soggettivo della condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o doloso, nelle sue possibili e diverse articolazioni, posto che anche un comportamento di natura colposa, per le caratteristiche sue proprie e nel convergere degli altri indici della fattispecie, può risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave ed irrimediabile da non consentire l'ulteriore prosecuzione del rapporto. (Cass. 13512/2016, 5548/2010).

10. Con riguardo ai casi nei quali siffatta indagine debba compiersi, come nel caso concreto, in relazione ad una contestazione di "asportazione di beni" dell'azienda, questa Corte ha sottolineato (Cass. 3122/2015, 19684/2014, 6219/2014, 6447/2005, 15320/2004, 14507/2003, 6609/2003, 7462/2002, 5633/2001, 11806/1997) che la modesta entità del fatto può essere ritenuta non tanto con riferimento alla tenuità del danno patrimoniale, quanto in relazione all'eventuale tenuità del fatto oggettivo, sotto il profilo del valore sintomatico che lo stesso può assumere rispetto ai futuri comportamenti del lavoratore e, quindi, alla fiducia che nello stesso può nutrire l'azienda, essendo necessario al riguardo che i fatti addebitati rivestano il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, specialmente, dell'elemento essenziale della fiducia, cosicché la condotta del dipendente sia idonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento.

11. Alla luce di tali principi deve, quindi, essere condiviso il giudizio valoriale di gravità della condotta contestata e di proporzionalità della sanzione espulsiva, formulato dalla Corte territoriale in corretta applicazione dei principi innanzi richiamati.

12. La Corte territoriale ha, infatti, tenuto conto della peculiarità della organizzazione aziendale caratterizzata dalla esposizione della merce esposta nei banchi di vendita, del fatto che le mansioni affidate al lavoratore comportavano diretto contatto con la merce (il ricorrente fino al settembre 2008 aveva svolto mansioni di addetto alla sicurezza ed all'epoca della commissione dell'illecito era addetto al rifornimento degli scaffali) e del carattere fraudolento della condotta, desunto dalla convinzione del lavoratore che la sottrazione non sarebbe stata scoperta perché le confezioni di gomme e di caramelle trovate nelle tasche del "giacchetto" e dei pantaloni erano prive dei tradizionali visibili dispostivi antitaccheggio (di recente e all'insaputa dei lavoratori erano stati apposti sulla merce adesivi idonei a far scattare l'allarme antifurto). Proprio il dimostrato carattere fraudolento, nella specie palesemente doloso e premeditato, della condotta del lavoratore è stato ritenuto sintomatico della sua, anche prospettica, inaffidabilità e, come tale, idoneo ad incidere in maniera grave ed irreversibile sull'elemento fiduciario, nonostante la modesta entità del danno patrimoniale e la mancanza di precedenti disciplinari.

13. La produzione ad opera del ricorrente in sede di memoria ex art. 378 c.p.c. della sentenza penale, in ordine alla quale manca la certezza del suo passaggio in giudicato, non è ammissibile ai sensi dell'art. 372 c.p.c., che consente la produzione di documenti non prodotti nei precedenti gradi solo se idonei a dimostrare la nullità della sentenza impugnata o l’ammissibilità del ricorso e del controricorso (Cass. SSUU 7375/2004; Cass. 13392/2017, 25267/2007, 4872/2010).

14. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato.

15. Le spese seguono la soccombenza.

16. Ai sensi dell'art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 3.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfettarie, oltre IVA e CPA Ai sensi dell'art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.