Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 marzo 2017, n. 6413

Contratto a tempo determinato - Nullità del termine - Conversione del rapporto a tempo indeterminato - Utilizzo abusivo del contratto a termine

 

Fatti di causa

 

La Corte d'appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Sassari che aveva accolto il ricorso di F. P., volto a far dichiarare l'illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso con A.R.S.T. - Azienda Regionale Sarda Trasporti - dal 23 febbraio al 22 aprile 2004, prorogato sino al 22 luglio 2004, dichiarato la conversione del rapporto a tempo indeterminato e riconosciuto il risarcimento del danno liquidato secondo le previsioni dell’articolo 32 della L. n. 183 del 2010, rigettava la domanda di conversione e riconosceva esclusivamente le conseguenze risarcitorie, determinate in 2,5 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

A fondamento della decisione, la Corte riteneva che i contratti stipulati con l'azienda appellante, istituita con legge della Regione Sardegna n. 16 del 1974, che all’epoca dei fatti era ente pubblico economico preposto ai trasporti regionali, non fossero suscettibili di essere convertiti in rapporti a tempo indeterminato, ostandovi da un lato il combinato disposto dell'art. 5, d.l. n. 702/1978 (conv. con I. n. 3/1979), e dall'altro la previsione dell'art. 23, I. r. Sardegna n. 16/1974 e dell'art. 8, I. n. 153/1980, e - sul presupposto che l'apposizione del termine fosse viziata da nullità - condannava l'azienda a risarcire i danni al lavoratore appellato, in applicazione dell'art. 32, I. n. 183/2010.

Per la cassazione della sentenza F. P. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso A.R.S.T. s.p.a., che ha depositato anche memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. I motivi di ricorso possono essere così riassunti:

1.1. Con il primo, si deduce violazione e falsa applicazione della legge reg. Sardegna n. 16 del 20 giugno 1974 -violazione falsa applicazione dell'art. 117 della Costituzione - violazione della legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3 - illegittimità costituzionale della legge reg. n. 16 del 20 giugno 1974, in relazione agli articoli 117 Cost. e alla legge costituzionale n. 3 del 26 febbraio 1948.

Il ricorrente sostiene innanzitutto che la Corte territoriale abbia male interpretato la legge reg. Sardegna n. 16 del 1974, il cui art. 22 sarebbe norma meramente programmatica, non prevedendo in alcun modo la nullità dei contratti stipulati senza il concorso. Sostiene che una diversa interpretazione ne determinerebbe l'illegittimità costituzionale per contrasto con la L. cost. 26 febbraio 1948 n. 3, che dispone che la potestà legislativa della regione debba svolgersi in armonia con la costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico sociale della Repubblica, ed inoltre con l'articolo 117 della Costituzione, che prevede che l'ordinamento civile è di competenza esclusiva dello Stato. Aggiunge che la disciplina dei contratti a termine e le conseguenze del loro abuso è dettata dalla L. n. 368 del 2001, di derivazione comunitaria in quanto applicativa della direttiva 70/99/CE.

1.2. Come secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 5 del d.l. n. 702 del 1978, conv. nella legge 8 gennaio 1979 n. 3, così come modificato dalla legge n. 299 del 7 luglio 1980, anche con riferimento a quanto previsto dal 6° comma dello stesso art. 5, e connessa violazione degli articoli 23 e 25 della legge n. 142 del 1990, argomentando che tale disciplina non sarebbe più vigente ed inoltre non sarebbe applicabile alle aziende regionali qual è I’A.R.S.T.

1.3. Come terzo motivo, deduce violazione e/o falsa applicazione del d.l. n. 702 del 1978, come modificato dalla legge n. 299 del 7 luglio 1980, anche nei suoi commi 6°, 15°, 17° e 18°, e della legge reg. Sardegna n. 16 del 1974, nonché conseguente violazione e/o falsa applicazione del d.lgs n. 368 del 2001 (per la ritenuta mancata abrogazione delle prime due norme ad opera del decreto legislativo 368 del 2001), nonché omessa e comunque contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia costituito dall’esistenza o meno di un obbligo di assunzione per concorso.

Osserva che contraddittoriamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto che all'A.R.S.T. si applichi il d.lgs n. 368 del 2001 come presupposto dell' illegittimità del termine, e dall'altra parte abbia affermato di non poter applicare le sanzioni previste da tale norma per i contratti a termine illegittimi. Sostiene che d.lgs n. 368 disciplina i rapporti di lavoro a tempo determinato di tutti i dipendenti pubblici e privati, né si applicherebbe il decreto legislativo 165 del 2001 essendo A.R.S.T. un ente pubblico economico.

1.4. Come quarto motivo, deduce la violazione del principio di effettività del risarcimento del danno conseguente a falsa applicazione dell'art. 32 della legge n. 183 del 2010, anche con riferimento a quanto previsto dall'art. 8 della L. n. 604 del 1966. Sostiene in via subordinata che l'articolo 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 non individua il risarcimento per l'ipotesi di successione dei contratti a tempo determinato, sicché questo deve essere riconosciuto in misura effettiva che impedisca l'utilizzo abusivo del contratto a termine, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia europea in applicazione della direttiva 70/99, che non è quella riconosciuta nel caso in esame.

1.5. Come quinto motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 32 della legge n. 183 del 2010 - vizio di motivazione - conseguente violazione degli articoli 1218, 1219, 1223, 1224, 1225, 1226 c.c. - e lamenta che sia stata applicata la disposizione dell'art. 32 della legge n. 183 del 2010 che è passibile di illegittimità costituzionale perché addossa al lavoratore e tempi del processo, senza peraltro motivare in ordine alla quantificazione come realizzata.

2. I primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati.

2.1. L'art. 23, legge reg. Sardegna n. 16/1974, stabilisce espressamente che, fatta eccezione per gli speciali casi contemplati dal precedente art. 22, che qui non vengono in rilievo, "il personale dell'A.R.S.T. è assunto esclusivamente mediante concorso pubblico". Si tratta di una limitazione delle modalità di accesso all'impiego che appare coerente con le analoghe limitazioni già previste per i comuni, i consorzi e le rispettive aziende dall'art. 5, d.l. n. 702/1978 (conv. con I. n. 3/1979), nonché per le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica dal d.l. 25/06/2008, n. 112, conv. in legge n. 133 del 2008 ed ancora, da ultimo, per le società a partecipazione pubblica dall'art. 19 del D.Lgs. 19/08/2016, n. 175.

2.2. Detta previsione trova la sua ratio nel principio costituzionale di buona amministrazione degli uffici pubblici (art. 97 Cost.), che collega la regola del concorso non tanto alla natura giuridica pubblica o privata del rapporto di lavoro, quanto piuttosto alla natura della persona giuridica alle cui dipendenze esso si costituisce (cfr. in tal senso Corte cost. nn. 29 del 2006, 52 e 68 del 2011), nel senso che trova corretta applicazione quando l'ente pubblico partecipi all'organizzazione ed al funzionamento del soggetto che figura quale datore di lavoro, che imputa alla finanza pubblica i risultati della sua attività (cfr. Corte cost. n. 466 del 1993).

2.3. Proprio per ciò, tale disposizione non è nemmeno sospettabile di violare la competenza esclusiva statale in materia di "ordinamento civile", di cui all'art. 117, secondo comma, lettera I), Cost., in quanto, quando vi siano superiori ragioni di interesse pubblico che rendano necessario estendere i principi di buon andamento e imparzialità previsti per la pubblica amministrazione, anche la legge regionale può introdurre il meccanismo del concorso pubblico, senza esorbitare dalla potestà legislativa ad essa attribuita, non essendo volta ad introdurre limitazioni alla capacità di agire delle persone giuridiche private (cfr. ancora Corte cost. n. 29 del 2006, che, sulla scorta di tali argomenti, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 4, lettera f), I. r. Abruzzo n. 23/2004, che prevede che le società a capitale interamente pubblico, affidatarie del servizio pubblico, sono obbligate al rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte agli enti locali per l'assunzione di personale dipendente).

2.4. L' effetto precipuo di tale limitazione all'accesso all'impiego consiste nell'impossibilità che gli eventuali contratti a tempo determinato che siano stati illegittimamente stipulati con A.R.S.T. possano essere convertiti in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, in quanto l'automatica trasformazione del rapporto intercorso inter partes finirebbe per eludere le garanzie predisposte dall'obbligo del concorso a tutela dell'interesse pubblico (cfr. in tal senso Cass. nn. 11163 del 2008, 1308 del 2013 e, da ult., Cass. S.U. n. 4685 del 2015, in motivazione).

2.5. Va poi aggiunto che la disposizione dell'art. 23, I. r. Sardegna n. 16/1974, sotto il profilo delle conseguenze dell'illegittimità del termine, non è stata superata dal d.lgs n. 368 del 2001, essendo dettata con specifico riferimento alle peculiari caratteristiche dell'azienda in questione.

2.6. Essa non appare nemmeno suscettibile di violare l'art. 3 Cost., nella misura in cui reca logicamente in sé la norma relativa all'impossibilità di conversione dei contratti a termine illegittimamente stipulati con ARST, con ciò introducendo una difformità di trattamento rispetto alla sanzione generale della conversione di cui al d.lgs. n. 368/2001, avendo la Corte costituzionale già precisato, con riferimento all'analoga norma contenuta nell'art. 36, T.U. n. 165/2001, che tanto è da escludersi in ragione della copertura costituzionale apprestata dall'art. 97 Cost. al principio dell’accesso all'impiego mediante concorso (Corte cost. n. 89 del 2003), da ritenersi forma generale e ordinaria di reclutamento per le figure soggettive pubbliche (nel senso anzidetto), a presidio delle esigenze di imparzialità e di efficienza dell'azione amministrativa (Corte cost. n. 363 del 2006). Ed egualmente è a dirsi rispetto alla direttiva comunitaria 1999/70/CE, rilevante come tertium comparationis rispetto a possibili violazioni degli artt. 11 e 117 Cost., avendo la Corte di Giustizia dell'Unione Europea chiarito che spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte agli abusi nella reiterazione dei contratti a termine e che queste ultime possono essere anche diverse dalla conversione del rapporto a tempo indeterminato, purché rispettino i principi di equivalenza e siano sufficientemente effettive e dissuasive per garantire l'efficacia delle norme adottate in attuazione dell'Accordo quadro recepito dalla direttiva cit. (v. da ult. C. Giust. UE, 12 dicembre 2013, C-50/13, Papalia; Id., 7 settembre 2006, C-53/03, Marrosu e Sardino; Id., 7 settembre 2006, C-180/04, Vassallo; Id., 4 luglio 2006, C- 212/04, Adeneler).

2.7. La soluzione adottata nella sentenza gravata deve per tali ragioni essere confermata, pur dovendosi escludere la rilevanza in giudizio dei riferimenti ivi contenuti agli artt. 5, d.l. n. 702/1978, e 8, I. n. 153/1980.

3. Il quarto e il quinto motivo, con i quali, come detto, il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia dato in specie applicazione all'art. 32, I. n. 183/2010, liquidandogli i danni patiti nella misura minima prevista dalla disposizione citata, sono parimenti infondati.

3.1. Va premesso che le Sezioni Unite questa Corte, con riferimento all'analoga norma dell'art. 36, T.U. n. 165/2001, hanno chiarito che nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione, il pregiudizio economico oggetto di risarcimento non può essere collegato alla mancata conversione del rapporto: quest'ultima, infatti, è esclusa per legge e trattasi di esclusione affatto legittima sia secondo i parametri costituzionali che secondo quelli comunitari (Cass. S.U. n. 5072 del 2016). Piuttosto, considerato che l'efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell'Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l'ammontare del danno, che sarà normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile, le Sezioni Unite hanno rinvenuto nell'art. 32, comma 5, I. n. 183/2010, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, consente prò tanto al lavoratore di essere esonerato dall'onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori (cfr. ancora Cass. S.U. n. 5072 del 2016, in motivazione).

3.2. Tali principi possono senz’altro estendersi alla fattispecie in rassegna, in cui la conversione non può operare in ragione della disciplina legale del rapporto dettata dalla legge regionale, che ne ha determinato un'assimilazione per i richiamati fini di interesse pubblico al rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

3.3. Essi poi operano anche nella fattispecie dell’unico contratto prorogato, non essendo seriamente dubitabile che sussistano al riguardo le medesime esigenze di prevenire gli abusi che hanno ispirato il legislatore comunitario.

3.4. Ne deriva che la sentenza impugnata (la cui motivazione, in relazione al numero di mensilità riconosciute, non è utilmente censurata secondo i parametri previsti dall'art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c.) resiste alle censure mossele con il quarto e il quinto motivo, non potendo, per un verso, darsi ingresso alla pretesa di parametrare il danno a quello subito da un lavoratore licenziato e non avendo, per altro verso, parte ricorrente prospettato danni ulteriori rispetto a quelli forfettariamente risarciti.

4. Segue il rigetto del ricorso.

La novità e complessità della questione, che pone alcune delle problematiche che hanno originato l’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte, determina la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.

5. Sussistono i presupposti di cui al primo periodo dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dal comma 17 dell'art. 1 della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, ai fini del raddoppio del contributo unificato dovuto per tale ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.