Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 22 settembre 2017, n. 22191

Pubblico impiego - Docenza - Contratti a termine susseguitisi nel tempo - Anzianità di servizio - Accertamento della illegittimità del termine

 

Rilevato

 

che il Tribunale di Milano, in parziale accoglimento del ricorso proposto da T.A.R., - docente alle dipendenze del MIUR in virtù di una serie di consecutivi contratti a termine susseguitisi nel tempo, dichiarò, tra l’altro, il diritto della predetta alla corresponsione delle differenze retributive maturate in ragione dell’anzianità di servizio conseguente ai contratti a termine stipulati tra le parti, condannando il MIUR a pagare i relativi emolumenti;

che vennero accolte anche la domanda di accertamento della illegittimità del termine e quella consequenziale di risarcimento del danno in ragione della reiterazione dei contratti;

che la Corte di Appello di Milano, in accoglimento parziale del gravame proposto dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca ed in riforma della decisione impugnata, ha respinto la domanda di accertamento dell’illegittimità del termine apposto ai contratti e la conseguente domanda di risarcimento, confermando, invece, il capo della decisione in cui era stata riconosciuta la progressione professionale retributiva in relazione al servizio prestato; che la Corte territoriale, per quel che rileva nella presente sede, ha richiamato, a fondamento della pronuncia di rigetto del gravame del Ministero, il principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell'Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999 e recepito nel nostro ordinamento dall'art. 6 del d.lgs n. 368 del 2001, richiamandosi ai principi espressi dalla CGUE ed escludendo la rilevanza della specialità del sistema del reclutamento scolastico per giustificare la diversità del trattamento economico riservato agli assunti a tempo determinato precisando altresì l’incidenza dell’obbligo di disapplicazione delle norme in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato trasfuso nella indicata Direttiva;

che di tale sentenza il MIUR chiede la cassazione sulla base di unico motivo, al quale ha opposto difese la T. con proprio controricorso;

che la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

 

Considerato

 

1. che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;

2. che viene denunziata violazione e falsa applicazione: dell’art. 6 del D.Lvo 6 settembre 2001 n. 368, dell’art. 9 comma 18 d.l. 13 maggio 2011 n. 70, come convertito con modificazioni dall’art. 1 comma 2 della legge 12 luglio 2011 n. 106, dell’art. 4 della legge 3 maggio 1999 n. 124, dell’art. 526 D. l.vo 16 aprile 1994 n. 297, e della direttiva 99/70/CE, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, nonché violazione dell’art. 53 l. 312/80, assumendosi che i rapporti di lavoro a tempo determinato del settore scolastico sono assoggettati ad una normativa speciale di settore, sicché agli stessi non si applica la disciplina generale dettata dal d. lgs. n. 368 del 2001 e che il principio di non discriminazione è correlato all'abuso del contratto a termine, che nella specie deve essere escluso in quanto il ricorso alla stipula di contratti a termine del personale docente trova giustificazione in ragioni oggettive e non è maliziosamente finalizzato a consentire al datore di lavoro un risparmio di spesa;

che si sostiene che il lavoratore assunto a tempo determinato nel settore scolastico non è comparabile al docente di ruolo, perché ogni singolo rapporto è distinto ed autonomo rispetto al precedente;

3. che il ricorso è infondato;

4. che la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto affermato da questa Corte con le sentenze nn. 22558 e 23868/2016, con le quali si è statuito che «nel settore scolastico, la clausola 4 dell'Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicché vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato»; che a dette conclusioni la Corte è pervenuta valorizzando i principi affermati dalla Corte di Giustizia quanto alla interpretazione della clausola 4 dell'Accordo Quadro ed evidenziando che l'obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato "condizioni di impiego" che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all'assunto a tempo indeterminato "comparabile", sussiste a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto; che il motivo di ricorso non prospetta argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poiché le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., sono integralmente condivise dal Collegio;

5. che è inconferente la censura relativa alla violazione dell’art. 53 l. 312/80, essendo la questione affrontata dalla Corte del merito quella riferita alla violazione del principio di non discriminazione ai fini del riconoscimento dell’anzianità di servizio e non avendo il Ministero evidenziato in alcun modo che la decisione assunta all’esito del giudizio di gravame avesse diversamente qualificato la questione devoluta in primo grado ed in quella sede decisa in senso ad esso sfavorevole analogamente a quella relativa al profilo di non discriminazione;

6. che pertanto, essendo da condividere nella sostanza la proposta del relatore, il ricorso va complessivamente rigettato;

7. che nulla va statuito per le spese del presente giudizio di legittimità, essendo la T. rimasta intimata;

8. che non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 1778/2016);

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso art. 13.