Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 ottobre 2016, n. 21171

IRPEF, IRAP ed IVA - Avviso di accertamento di maggiori ricavi - Settore cinematografico e televisivo

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza n. 122 del 29 novembre 2010 la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Palermo che, accogliendo il ricorso proposto da V.S., titolare di una ditta individuale operante nel settore della realizzazione di produzioni video, cinematografiche e televisive, aveva annullato l’avviso di accertamento di maggiori ricavi ai fini IRPEF, IRAP ed IVA rideterminati, con riferimento all’anno di imposta 1999, a seguito dell’applicazione dei parametri di cui all’art. 3 legge n. 549 del 1995 e al DPCM del 29 gennaio 1996.

1.1. Il giudice di appello, ripercorsi i principi giurisprudenziali in materia di accertamenti fiscali condotti con metodo parametrico ed in particolare sul valore presuntivo degli stessi e sulla necessità del contraddittorio con il contribuente, dopo aver escluso che quest’ultimo avesse fornito prova delle argomentazioni svolte per giustificare il rilevato scostamento, con riferimento alla necessità del passaggio al digitale ed ai conseguenti investimenti effettuati e rilevato che l’Ufficio finanziario nel ricorso in appello non aveva dato adeguatamente conto delle ragioni di non condivisione delle argomentazioni difensive del contribuente, riduce va l’importo del ricavo accertato dall’Agenzia delle entrate a quello emerso con l’applicazione dello studio di settore elaborato in sede di contraddittorio nella fase amministrativa.

2. Avverso detta statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione anche nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, prospettando due motivi, illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. Va preliminarmente rilevato che il ricorso per cassazione è stato notificato anche al Ministero dell’economia e delle finanze che, come noto, con decorrenza dal 1° gennaio 2001 ha perduto la capacità di stare in giudizio ai sensi dell’art. 57, primo comma, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 istitutivo dell’Agenzia delle Entrate (ex multis, Cass. n. 19111 del 2016, n. 22992 del 2010, n. 9004 del 2007). Consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del MEF.

2. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione del principio di non contestazione.

Sostiene che l’Agenzia delle entrate non aveva contestato gli elementi fattuali di carattere economico e contabile-fiscale addotti in ricorso, e cioè che la RAI, sua maggior committente, aveva imposto la fornitura di prodotti video in tecnologia digitale, che ciò aveva comportato la necessità di un adeguamento tecnologico consistito nel rinnovo delle attrezzature utilizzate per le riprese da cui erano derivate una perdita di fatturato, anche in conseguenza di un ritardato avvio dell'attività di produzione, ed un’improvvisa obsolescenza di alcune delle attrezzature possedute che aveva comportato <l’accantonamento e la successiva sostituzione con beni di nuova generazione>.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Secondo il condivisibile orientamento di questa Corte <nel processo tributario, il principio di non contestazione, che si fonda sul carattere dispositivo del processo, trova applicazione sul piano probatorio, ma non anche su quello delle allegazioni poiché la specificità del giudizio tributario comporta che la mancata presa di posizione dell'Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente non equivale ad ammissione, né determina il restringimento del "thema decidendum" ai soli motivi contestati (cfr. Cass. n. 13834 del 2014; conf. Cass. n. 9732 del 2016).

Pronunciandosi in senso analogo, questa Corte nella sentenza n. 2196 del 2015 ha precisato che <il principio di non contestazione, di cui all'art. 115, primo comma, cod. proc. civ., si applica anche nel processo tributario, ma, attesa l'indisponibilità dei diritti controversi, riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e sempreché il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l'esistenza>.

2.3. Ciò posto, con riferimento al caso di specie deve osservarsi che anche dal l’affermazione fatta dal contribuente nel ricorso, laddove (pag. 4) ha sostenuto che l'Ente impositore aveva <insistito genericamente sulla natura presuntiva dei parametri e sulla necessità che il contribuente fornisse prova contraria al fine di confutare le risultanze degli stessi>, deve necessariamente desumersi che l’Ufficio finanziario aveva negato in radice la sussistenza di <elementi fattuali> idonei a giustificare il rilevato scostamento dei ricavi, non ritenendoli appunto provati dal contribuente. L’applicabilità al caso di specie del principio in esame va, quindi, esclusa in radice.

3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata laddove i giudici di appello avevano affermato che gli "elementi fattuali rappresentati dal contribuente (...) fossero «privi di alcun riscontro probatorio»" pur avendo riconosciuto che il contribuente svolgeva attività di produzioni cinematografiche, che fosse noto e, comunque, <oggetto di legale scienza> che la RAI fosse obbligata a passare al sistema c.d. digitale e che fosse conseguenza logica, conforme all’id quod plerumque accidit, la necessità anche per esso contribuente di passare al sistema digitale e, quindi, di effettuare nuovi investimenti, peraltro risultanti dalla dichiarazione dei redditi.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. Escludendo l’inammissibilità del motivo per aver dedotto congiuntamente tutti i vizi motivazionali elencati nell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., poiché vengono sostanzialmente sviluppate argomentazioni attinenti solo all’insufficienza motivazionale, il motivo è infondato atteso che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’effettuazione di nuovi investimenti non può desumersi dall’avvento di un più moderno sistema tecnologico di riprese video (e cioè quello digitale), né la loro entità può desumersi soltanto dal dato esposto in dichiarazione, non essendo neanche dimostrato che tale dato sia stato ignorato in sede di rideterminazione dei ricavi.

3.3. In relazione al primo profilo può ancora obiettarsi che il contribuente potrebbe aver effettuato tali investimenti in un anno di imposta diverso da quello in verifica; il che rende evidente la necessità che di tale circostanza venisse fornita specifica dimostrazione.

4. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 26 d.P.R. n. 602 del 1973, 148 cod. proc. civ., 21 septies l. n. 241 del 1990, sostenendo che i giudici di merito avevano omesso di rilevare la nullità dell’avviso di accertamento conseguente all’apposizione della relata di notifica sul frontespizio anziché in calce al predetto atto.

4.1. Il motivo è inammissibile stante la novità dell’eccezione, sollevata per la prima volta dinanzi a questa Corte, come espressamente ammesso dal ricorrente. E’ quindi violato il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione che postulino - come nel caso di specie - accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito (in termini, Cass. n. 18440 del 2007; conf. 14599 del 2005 e n. 5620 del 2006).

5. In sintesi, va dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero delle Finanze e va rigettato quello proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate in quanto infondati i primi due motivi, inammissibile il terzo. Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida come in dispositivo, ai sensi del d.m. Giustizia n. 55 del 2014, nonché al rimborso in favore dell’Agenzia delle entrate delle eventuali spese prenotate a debito.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze; rigetta il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 4.000,00 oltre spese prenotate a debito.