Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 febbraio 2018, n. 4567

Licenziamento per giusta causa - Periodo di inattività di tre ore durante il turno di lavoro - Sistema sanzionatorio delineato dal contratto collettivo - Sanzione conservativa - Aspetti soggettivi e, in particolare, della intenzionalità - Rilevanza - Motivi di revocazione della sentenza - Falsa percezione della realtà ovvero inesistenza di un fatto decisivo - Non sussiste

Rilevato che

1. questa Corte di Cassazione con la sentenza n. 3473 del 2017 confermava la sentenza della Corte d'appello di Bologna che aveva rigettato l'impugnativa del licenziamento intimato da A. p. s.p.a. a G.G. e G.L. per giusta causa, consistente nell'essere rimasti inattivi, per circa tre ore, trascorse presso il Centro di manutenzione di Rimini Sud, durante il turno di lavoro svolto quali "ausiliari addetti alla viabilità", compreso tra le ore 22.00 del 16/9/2009 e le ore 6.00 del giorno successivo; per non avere dato avviso di tale interruzione di attività alla Sala Radio di Autostrade per l'Italia; per avere annotato nel rapporto di servizio un intervento di rimozione di ostacolo sulla sede autostradale in orario incompatibile con la sosta presso il Centro di manutenzione di Rimini Sud, risultando il periodo di inattività dalle registrazioni Telepass di entrata e uscita dal casello autostradale; per avere infine cessato l'esecuzione della prestazione alle ore 5.00 anziché alle ore 6.00 del 17/9/2009.

2. G.G. e G.L. propongono ricorso per la revocazione della sentenza, a fondamento del quale deducono che essa sarebbe frutto di un evidente errore commesso nella lettura dei documenti processuali ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c. laddove ha dichiarato improcedibile il primo motivo di ricorso - con il quale si denunciava la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 300/1970, per avere la Corte territoriale superato il sistema sanzionatorio delineato dal contratto collettivo, che costituisce un limite non valicabile dal datore di lavoro e dal giudice, il quale prevede all'art. 35, per la principale delle infrazioni contestate (interruzione temporanea della prestazione), una sanzione conservativa - sul presupposto che i ricorrenti non avessero depositato copia del contratto collettivo (né in forma integrale, né per estratto), senza indicare neppure il luogo preciso in cui esso era stato depositato nei gradi di merito. Argomentano che la clausola collettiva era contenuta nella stessa sentenza della Corte d'appello di Bologna, come ribadito nel corpo del motivo di ricorso, sicché la soluzione adottata dal giudice di legittimità risulterebbe affetta da eccessivo formalismo.

Aggiungono che il motivo di ricorso dichiarato improcedibile è stato accolto in altra sentenza di questa Corte resa in identico giudizio (Cass. 12825 del 2017).

3. Ha resistito Autostrade per l'Italia s.p.a con controricorso.

4. I ricorrenti hanno depositato anche memoria ex art. ex art. 380 bis comma 2 c.p.c..

5. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

 

Considerato che

 

1. questa Corte ha ripetutamente affermato che l'errore di fatto previsto dall'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l'attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; l'errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell' errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ..; esso presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l'altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio; ne consegue che non è configurabile l'errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico o siano frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo esclusa dall'area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (v. tra le altre, da ultimo, Cass. 03/04/2017 n. 8615, ed i precedenti ivi richiamati).

2. Con specifico riferimento alla revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, si è poi affermato che l'errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto, individuandosi nell'errore meramente percettivo risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati con la conseguenza che non risulta viziata da errore revocatorio la sentenza della Corte di Cassazione nella quale il collegio abbia dichiarato l'inammissibilità del ricorso per motivi attinenti al merito delle questioni ed a valutazioni di diritto, e segnatamente alla asserita erronea applicazione di norme processuali, venendosi, in tali casi, su errori di giudizio della Corte, con conseguente inammissibilità del ricorso per revocazione. (v. anche, oltre all'arresto già richiamato ed ai precedenti ivi citati, Cass. S.U. n. 26022 del 2008).

3. In applicazione delle premesse in diritto sopra individuate, il ricorso è inammissibile, in quanto l'errore in tesi imputato alla sentenza della quale è chiesta la revocazione non è riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 395 n. 4 cod. proc. civ., richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall'art. 391 bis cod. proc. civ.

4. E difatti, la soluzione adottata da questa Corte è sorretta dall'interpretazione data all'onere imposto dall'art. 369 comma 2 n. 4 c.p.c., nel senso che esso, laddove pone come requisito del ricorso per cassazione "la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda", imponga la produzione del contratto collettivo (nel testo integrale o per estratto) o l'indicazione della sede processuale in cui è stato depositato. A tale fine, in motivazione ha richiamato l'arresto delle Sezioni Unite n. 25038/2013.

5. I ricorrenti non contestano in fatto - a confutazione dell'argomentazione assunta da questa Corte in relazione al primo motivo di ricorso - di non avere depositato copia del contratto collettivo (né in forma integrale, né per estratto), né di non avere indicato il luogo preciso in cui esso fu depositato nei gradi di merito, sicché l'errore denunciato non si concretizza in una falsa percezione della realtà documentale da parte del giudice di legittimità, ma - secondo la stessa prospettazione del ricorrente - nel recepimento del principio di "autosufficienza" del ricorso per cassazione in un'accezione e con un contenuto che si assumono errati. Siffatto errore, però, alla luce della ricordata giurisprudenza di legittimità, non risponde al modello legale dell'errore revocatorio, bensì, in via di mera ipotesi, configura, secondo la prospettazione del ricorrente, un errore di valutazione giuridica, non denunciabile in questa sede, circa il contenuto delle norme processuali e circa gli obblighi di indagine che ne derivavano per il giudice (v., in tal senso, in caso analogo, Cass. 30/08/2000 n. 11408).

6. Inoltre, i ricorrenti neppure deducono la decisività dell'asserito errore al fine di ottenere un diverso esito del giudizio, considerato che non risulta che raccoglimento del primo motivo avrebbe portato alla confutazione dell'intera argomentazione della Corte, che, nel rigettare il terzo motivo, ha ritenuto che la Corte territoriale avesse fatto corretta applicazione del consolidato principio di diritto per il quale, nel compiere l'accertamento relativo alla gravità della condotta, il giudice di merito deve esaminare non soltanto le circostanze, che connotano le condotte sul piano oggettivo, ma anche gli aspetti soggettivi e, in particolare, l'elemento della intenzionalità, pervenendo, a conclusione di un rigoroso esame del materiale istruttorio, al convincimento di una pluralità di condotte dei lavoratori preordinate a sottrarsi all'adempimento dei propri obblighi e, pertanto, contrassegnate da una indubbia e oggettiva gravità.

7. Non rileva poi il richiamo al precedente di questa Corte, che ha avuto ad oggetto un ricorso diversamente articolato anche con riguardo al richiamo alle produzioni documentali , fermo restando che neppure nel caso in cui l'attività valutativa del giudice sia giunta a risultati differenti rispetto a precedente causa analoga può ravvisarsi, sulla base dei principi sopra esplicitati, un presupposto per la revocazione.

8. Non inducono infine a diverso avviso le osservazioni formulate dalla difesa nella memoria, considerato che non si tratta in questa sede di valutare se il documento (contratto collettivo) fosse o meno in atti, come ritiene la difesa, ma di valutare se sussista o meno un errore revocatorio nel ritenere che qualora il ricorrente valorizzi a fondamento del motivo una clausola del contratto collettivo, l'art. 369 n. 4 c.p.c. gli imponga, anche qualora nella sentenza gravata tale clausola sia trascritta, di produrre copia (integrale o per estratto) dello stesso contratto o quantomeno di indicare il luogo in cui esso è stato prodotto nel giudizio di merito. Quesito al quale, per le ragioni esposte, il Collegio ritiene di dare risposta negativa, trattandosi di attività valutativa.

9. Il ricorso risulta quindi inammissibile ex art. 375 comma 1 n. 1 c.p.c., sicché il Collegio ritiene di confermare con ordinanza in camera di consiglio la proposta formulata (121 relatore ex art. 380 bis c.p.c..

10. La regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza.

11. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi 3.000,00 per compensi, oltre ad 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.