Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 07 settembre 2016, n. 17721

Tassa di concessione governativa - Impiego di telefoni cellulari - Abbonamenti con l'erogatore del servizio di telefonia mobile

 

Ritenuto in fatto

 

Il Comune di Vittorio Veneto ricorre nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, riformando la decisione di primo grado, ha ritenuto dovuta la tassa di concessione governativa per l'impiego di telefoni cellulari utilizzati in base ad abbonamenti con l'erogatore del servizio di telefonia mobile.

Il Comune prospetta nove motivi di ricorso.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

A seguito del deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c. e della fissazione dell’adunanza della Corte, ritualmente comunicate, il ricorrente ha depositato memoria.

 

Considerato in diritto

 

Le questioni sollevate dal ricorrente, già oggetto di un contrasto all’interno della Sezione tributaria di questa Corte, sono state, infatti, affrontate in via definitiva dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 9560/2014 (richiamata dalla CTR del Veneto) ove si è affermato che in tema di radiofonia mobile, l’abrogazione dell'art. 318 del d.P.R. 28 marzo 1973, n. 156, ad opera dell'art. 218 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, non ha fatto venire meno l'assoggettabilità dell'uso del "telefono cellulare" alla tassa governativa di cui all'art. 21 della tariffa allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, in quanto la relativa previsione è riprodotta nell’art. 160 del d.lgs. n. 259 cit. Va, infatti, esclusa - come anche desumibile dalla norma interpretativa introdotta con l'art. 2, comma 4, del d.l. 24 gennaio 2014, n. 4, conv. con modif. in legge 28 marzo 2014, n. 50, che ha inteso la nozione di stazioni radioelettriche come inclusiva del servizio radiomobile terrestre di comunicazione - una differenziazione di regolamentazione tra "telefoni cellulari" e "radio-trasmittenti", risultando entrambi soggetti, quanto alle condizioni di accesso, al d.lgs. 259 cit. (attuativo, in particolare, della direttiva 2002/20/CE, cosiddetta direttiva autorizzazioni), e, quanto ai requisiti tecnici per la messa in commercio, al d.lgs. 5 settembre 2001, n. 269 (attuativo della direttiva 1999/5/CE), sicché il rinvio, di carattere non recettizio, operato dalla regola tariffaria deve intendersi riferito attualmente all'art. 160 della nuova normativa, tanto più che, ai sensi dell'art. 219 del medesimo d.lgs., dalla liberalizzazione del sistema delle comunicazioni non possono derivare "nuovi o maggiori oneri per lo Stato", e, dunque, neppure una riduzione degli introiti anteriormente percepiti. Né, in ogni caso, l'applicabilità di siffatta tassa si pone in contrasto con la disciplina comunitaria attesa l'esplicita esclusione di ogni incompatibilità affermata dalla Corte di giustizia.

Va, inoltre, evidenziato che in epoca successiva la Corte di Giustizia- (Corte giust. 17 settembre 2015, causa C-416/14, Fratelli D.P. spa e altri)- investita da un giudice tributario di merito della questione relativa alla compatibilità del sistema interno con il quadro comunitario pertinente- dir. 1999/5/CE, 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE, 2002/22/CE- ha ritenuto che la disciplina UE va interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale relativa all’applicazione di una tassa, quale la tassa di concessione governativa, in forza della quale l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, nel contesto di un contratto di abbonamento, è assoggettato a un'autorizzazione generale o a una licenza nonché al pagamento di detta tassa, in quanto il contratto di abbonamento sostituisce di per sé la licenza o l’autorizzazione generale e, pertanto, non occorre alcun intervento dell’amministrazione al riguardo.

In tale contesto è stato poi aggiunto che l’articolo 20 della direttiva 2002/22/CE, come modificata dalla direttiva 2009/136/CE, e l’articolo 8 della direttiva 1999/5/CEE vanno interpretati nel senso che non ostano, ai fini dell’applicazione di una tassa quale la tassa di concessione governativa, all’equiparazione a un’autorizzazione generale o a una licenza di stazione radioelettrica di un contratto di abbonamento a un servizio di telefonia mobile, che deve peraltro precisare il tipo di apparato terminale di cui si tratta e l’omologazione di cui è stato oggetto.

Inoltre, secondo la Corte europea il quadro comunitario anzidetto, unitamente all’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, va interpretato nel senso che non osta a un trattamento differenziato degli utenti di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, a seconda che essi sottoscrivano un contratto di abbonamento a servizi di telefonia mobile o acquistino tali servizi in forma di carte prepagate eventualmente ricaricabili, in base al quale solo i primi sono assoggettati a una normativa nazionale come quella che istituisce la tassa di concessione governativa.

Orbene il riferimento contenuto nella suddetta decisione all’oggetto delle direttive europee 5/99, 21/02 (p. 8.4.1) - riferimento che, secondo il ricorrente, sarebbe in contrasto con le motivazioni a base della sentenza della CGCE c- 416/14 - non costituisce elemento sufficiente ad inficiare la complessiva motivazione della decisione delle SS.UU.; e ciò anche considerando le ulteriori argomentazioni espresse dalle SS.UU. ai punti 8.5, secondo cui: Una interpretazione delle norme del d.lgs. 259 del 2003 da cui si facesse discendere un’attuale inapplicabilità della tassa di concessione governativa sui telefonini sarebbe incompatibile con la disposizione di cui all’art. 219 del codice delle comunicazioni ; nonché ai p. 9 e 10, con il riferimento alla sopravvenuta norma interpretativa di cui all’art. 2 , c. 4 del dl. 4/2014.

In definitiva, dopo l’ulteriore intervento della Corte di giustizia, da un lato non è più in discussione la compatibilità della tassa di concessione governativa con l’ordinamento UE, dall’altro, sul piano interno, l’esistenza di un quadro normativo non equivoco in ordine alla necessità di autorizzazione individua il presupposto d’imposta ed esclude la sussistenza dei presupposti per la rimessione del ricorso alle SS.UU.

Sulla base di tali principi, che consentono di fugare ogni incertezza in ordine alla piena sintonia della decisione resa dalle Sezioni Unite con il quadro comunitario, ai quali va data continuità, il ricorso non è meritevole di accoglimento.

La Commissione Tributaria Regionale si è, infatti, uniformata ai principi in materia sanciti dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n.9560/2014) mentre le questioni di legittimità costituzionale sollevate non appaiono manifestamente fondate (cfr. Cass. n. 17386/2014).

Ne consegue il rigetto del ricorso mentre la novità della soluzione del contrasto giurisprudenziale consente di compensare integralmente tra le parti le spese processuali.

Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Compensa integralmente tra le parti le spese processuali.

Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.