Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 settembre 2016, n. 18234

Imposta di registro - In caso di cessione di immobile o di azienda, il maggior valore definito ai fini dell’imposta di registro non è applicabile automaticamente alle imposte dirette - Non si può presumere un maggior corrispettivo soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini delle imposte di registro ovvero delle imposte ipotecaria e catastale

 

Svolgimento del processo

 

B.M. e M. s.n.c. ed i relativi soci, M., M. e C.B. nonché L.P., propongono ricorso per cassazione avverso sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia-Giulia, che - in controversia avente ad oggetto avviso di accertamento ilor ed irpef per l'anno 1998, teso al recupero di maggior reddito da plusvalenza in relazione alla cessione d'azienda di cui al rogito registrato il 22.5.1998 rideterminato il valore della cessione, rettificandolo (da l. 292.272.000 in l. 542.272.000) in funzione di quello definito ai fini della corrispondente imposta di registro.

L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

I giudici di appello hanno affermato che il valore del bene definito con riguardo all'imposta di registro è vincolante per l'Agenzia ai fini dell'accertamento della plusvalenza realizzata con il trasferimento e che, sussistendo presunzione di corrispondenza dei due valori, è onere del contribuente dimostrare la non corrispondenza tra il corrispettivo della cessione ed il valore definito ai fini dell'imposta di registro.

Tale essendo il tenore della decisione impugnata, i contribuenti articolano quattro motivi di ricorso.

Con il primo motivo, i contribuenti - deducendo violazione degli artt. 7 l. 212/2002 (ndr artt. 7 l. 212/2000) e 42, comma 2, d.P.R. 600/1973 nonché vizio di motivazione - censurano la decisione impugnata nella parte in cui non ha ritenuto la nullità dell'avviso di accertamento, per carenza di motivazione, a causa della mancata allegazione dell'atto dì conciliazione, con il quale l'acquirente aveva aderito alla determinazione del valore di avviamento in l. 500.000.000 ai fini dell'imposta di registro.

La censura (che, a differenza di quanto sostiene l'agenzia controricorrente, non presenta profili d'inammissibilità) è infondata.

Invero - nell'incontestata presenza, nell'atto impositivo, di tutti gli elementi posti a base dell'accertamento (ivi compreso il valore del bene ceduto come determinato ai fini dell'imposta di registro) - l'allegazione dell'atto di definizione conciliativa del valore del bene ai fini predetti non presentava affatto carattere di elemento essenziale della contestazione ai sensi della normativa evocata.

Con il secondo motivo di ricorso, i contribuenti - deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., censurano la decisione impugnata, nella parte in cui non ha ritenuto sussistente l'onere probatorio a carico dell'Ufficio di produrre copia dell'atto di conciliazione;

Con il terzo motivo di ricorso, i contribuenti - deducendo violazione degli artt. 86 e 103, comma 3, d.P.R. 917/1986, 2426 n. 6 c.c. e del divieto di doppia imposizione - censurano la decisione impugnata per aver ritenuto elemento sufficiente a giustificare la rettifica della plusvalenza realizzata dalla parte alienante l'accertamento di valore definito in sede di imposta di registro dalla parte acquirente.

Con il quarto motivo di ricorso, i contribuenti deducono omessa motivazione in merito all'assunto mancato superamento da parte dei contribuenti della presunzione ricollegabile alla definizione del valore del bene ceduto al fine dell'imposta di registro.

Il terzo motivo è fondato.

Occorre, invero, rilevare che, nelle more del giudizio, è sopravvenuto l’art. 5, comma 3, d.lgs. 147/2015, che ha sancito che le disposizioni in tema di imposizione diretta sulle plusvalenze da cessioni di immobili e di aziende ovvero da costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, si interpretano nel senso che, in proposito, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito a fini dell'imposta dì registro di cui al d.p.r. 131/1986 ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al d.lgs. 347/1990. Va, peraltro, considerato che questa Corte ha già ripetutamente affermato l'applicabilità della norma anche a situazioni oggetto di giudizi in corso all'atto della sua entrata in vigore (cfr. Cass. 11543/16, 7488/16, 6135/16), in base al rilievo (v., anche, Cass. 23550/15) che l'esplicita attribuzione alla norma di portata interpretativa di disposizione previgente - se non rende la norma, per ciò stesso, effettivamente interpretativa - le conferisce, di certo, carattere retroattivo, giacché attesta l'intento del legislatore di attribuire alla norma medesima quell'efficacia retroattiva (e, dunque, portata regolatrice di fattispecie formatesi precedentemente alla sua entrata in vigore), che, delle leggi interpretative, costituisce elemento connaturale (cfr., tra le altre, C.cost. 246/1992).

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s'impongono il rigetto del primo motivo di ricorso e l'accoglimento del terzo, con assorbimento del secondo e del quarto.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa, anche per le questioni restate assorbite, alla Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia, in diversa composizione, che provvederà pure in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il terzo, con assorbimento del secondo e quarto motivo; cassa, in relazione, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia in diversa composizione.