Giurisprudenza - TRIBUNALE DI BRESCIA - Ordinanza 21 settembre 2016, n. 7338

Stranieri - Permesso di soggiorno per motivi familiari - Bonus bebè - Domanda - Requisiti

 

1. La ricorrente, premesso di essere cittadina bosniaca regolarmente soggiornante in Italia dal 1997 titolare di permesso di soggiorno per motivi familiari, di essere coniugata con cittadino bosniaco residente in Italia titolare di permesso di soggiorno per lavoro autonomo, di avere cinque figli di cui l’ultima nata a Brescia il 14.08.2015, di avere un ISEE pari a zero euro, di avere presentato all’Inps domanda di assegno di cui all’art. 1 l. 190/2014, cd. Bonus bebè, in qualità di genitore di A.G., rigettata dall’Istituto con provvedimento in data 28.10.2015 in quanto non risultava in possesso di utile titolo di soggiorno, sosteneva il carattere discriminatorio della condotta dell’Istituto, ente erogatore della provvidenza, siccome aveva respinto la domanda sul mero presupposto che la stessa non fosse titolare di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo in contrasto con le previsioni dell’art. 12 della direttiva 2011/98/UE e, per l’effetto, con ricorso ex art. 28 d.lgs. 150/2011 e 44 TU Immigrazione, domandava la condanna dell’Istituto a corrisponderle tale trattamento, previo accertamento della discriminazione. In subordine, la medesima domandava che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 legge 190/2014 comma 125 per contrasto con gli art.li 3, 31 e 117 Cost.

2. Si costituiva l’Inps eccependo la inammissibilità del ricorso per insussistenza dei presupposti dell’art. 28 D.lgs. 150/2011 e 44 TU, il proprio difetto di legittimazione passiva e la improcedibilità del ricorso per omesso previo esperimento della procedura amministrativa. Nel merito, l’Inps sosteneva che la condotta posta in essere dall’Istituto non fosse censurabile; contestava che la ricorrente soggiornasse in Italia in modo stabile e che avesse comunque fornito idonea prova del requisito reddituale.

3. Così sommariamente riscostruite le posizioni delle parti, vanno respinte le eccezioni preliminari sollevate dall’Inps. Il ricorso per discriminazione, infatti, deve ritenersi ammissibile avendo la ricorrente prospettato nell’atto introduttivo di essere stata vittima di un comportamento discriminatorio da parte dell’Amministrazione resistente per ragioni di nazionalità con conseguente ammissibilità dell’azione proposta ex art. 28 d.lgs. 150/11. E’ infondata, inoltre, l’eccezione di improcedibilità del ricorso per mancato esaurimento del procedimento amministrativo in ragione del fatto che l’azione proposta non ha ad oggetto la mera richiesta di una determinata prestazione previdenziale o assistenziale bensì, come detto, l’accertamento della condotta discriminatoria dell’Inps e la rimozione dei relativi effetti mediante il riconoscimento della provvidenza quale sanzione reputata idonea per la rimozione di tale condotta. Va affermata, infine, la legittimazione passiva dell’Inps quale ente deputato ad erogare la somma richiesta dalla ricorrente

4. Quanto al merito della controversia, è pacifico che la ricorrente all’epoca della presentazione della domanda per l’ammissione al godimento del cd. bonus bebè di cui all’art. 1 comma 125 della legge 190/014 fosse titolare di permesso per motivi di famiglia e fosse da anni residente in Italia insieme al proprio nucleo familiare. Il citato disposto normativo prevede il riconoscimento dell’assegno "al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno" e che detto assegno viene "corrisposto fino al terzo anno di età" subordinando la insorgenza del diritto nei confronti dei cittadini extracomunitari al possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Ritiene, invero, il Tribunale come tale disposto normativo sia in contrasto con l’art. 12 della Direttiva 2011/98/UE che stabilisce che "i lavoratori di cui al paragrafo 1, lett. b) e c) beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne ...e) i settori della sicurezza sociale come definiti dal regolamento UE 883/2004". Sebbene l’art. 12 delle direttiva non sia stato trasposto nel nostro ordinamento nell’ambito del d.lgs. n. 40/2014 di recepimento della direttiva, è corretto affermarne la efficacia diretta nel nostro ordinamento nei rapporti di tipo verticale trattandosi di disposizione ben precisa ed incondizionata, non dovendo lo Stato svolgere alcuna attività per applicarla. Ciò precisato, l’avere condizionato da parte del legislatore italiano il riconoscimento del cd. bonus bebè nei confronti di cittadini di stati extracomunitari al possesso di un permesso di soggiorno di lungo periodo crea una evidente disparità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri in contrasto con la direttiva 2011/98/UE, la quale non contempla possibilità di deroga né per le prestazioni essenziali né per quelle non essenziali. Di qui, tra l’altro, il richiamo non pertinente da parte della difesa dell’Istituto alla diversa direttiva 2003/109/UE. Il contrasto tra disposizioni interne che attribuiscono un trattamento differenziato basato sulla nazionalità con i principi fondamentali e le norme imperative del diritto dell’Unione Europea, del resto, è stato più volte affermato anche dalla Corte Costituzionale ogni qual volta è stata chiamata a scrutinare questioni di legittimità costituzionalità delle norme nazionali in tema di prestazioni per gli invalidi che richiedevano quale requisito per la erogazione della provvidenza, di volta in volta in esame, la titolarità del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

5. E’ indubitabile che il caso concreto rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2011/98/Ue posto che : 1) la ricorrente, stabilmente residente in Italia, è tra i soggetti individuati dalla lettera b) dell’art. 12 essendo titolare di un permesso per "motivi di famiglia" che le consente di lavorare; 2) l’assegno richiesto rientra tra le prestazioni familiari di cui all’art. 3 del regolamento 883/04 (definite dalla lett. z) dell’art. 1 come "tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari, ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita...", tra i quali non può essere annoverata la prestazione di cui all’art. 1 comma 125 della l. 190/2014, destinata a sostenere i redditi delle famiglie e a incentivare la natalità essendone prevista la corresponsione fino al compimento del terzo anno di età del figlio); 3) la ricorrente ha prodotto attestazione ISEE pari a zero, da ritenersi idonea ai fini della prova della situazione reddituale.

6. Alla luce di quanto esposto, si impone la disapplicazione nel caso di specie dell’art. 1 comma 125 della legge 190/2014 nella parte in cui subordina il riconoscimento del cd. bonus bebè nei riguardi degli stranieri al possesso di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo a differenza di quanto stabilito per i cittadini italiani per contrasto con l’art. 12 della direttive 2011/98/CE.

7. Ne consegue come la determinazione dell’Inps di negare il diritto della ricorrente a percepire la provvidenza richiesta sia connotata da carattere discriminatorio siccome si è tradotta sul piano obiettivo in una disparità di trattamento della ricorrente rispetto ai cittadini italiani in ragione della propria origine etnica, vietata dalla vigente normativa. Né rileva la mancanza di una finalità propriamente discriminatoria nella condotta tenuta dall’Istituto ai danni della ricorrente essendo sufficiente ad integrare la discriminazione di cui all’art. 44 del TU Immigrazione l’obiettiva differenza di trattamento fondata, come nel caso concreto, sulla condizione di cittadini extracomunitario a prescindere da ogni valutazione attinente a profili di natura soggettiva della condotta tenuta e, comunque, gravando su tutti gli organi dello Stato, ivi comprese le pubbliche amministrazioni, l’obbligo di applicazione diretta della normativa comunitaria.

8. Va, quindi, affermato il diritto del ricorrente a percepire l’assegno di cui all’art. 1 comma 125 della l. 190/2014 alle stesse condizioni a cui tale assegno è riconosciuto ai cittadini italiani con conseguente ordine all’Inps di cessare la condotta discriminatoria posta in essere nei riguardi della medesima e condanna dello stesso al riconoscimento della somma di € 1.280,00 all’anno in relazione alla nascita della figlia A.G., ove restino inalterate le situazioni reddituali. Tanto si reputa sufficiente alla rimozione degli effetti della condotta dell’Inps.

9. Da ultimo, le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

a) Dichiara il carattere discriminatorio della condotta tenuta dall’Inps consistente nell’avere negato alla ricorrente l’assegno di cui all’art. 1 comma 125 della l. 190/2014;

b) accerta il diritto della ricorrente a percepire tale assegno;

c) condanna l’Inps a versare alla ricorrente la somma di € 1.280,00 all’anno in relazione alla nascita della figlia A.G., ove restino inalterate le situazioni reddituali;

d) condanna l’Inps a rifondere alla ricorrente per spese di procedura € 1.800,00 oltre accessori di legge con distrazione in favore dei procuratori antistatari.