Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 marzo 2017, n. 6182

Tributi - Accertamento induttivo - Ires, Irap e Iva - Art. 26 del DPR n. 633/1972 - Ricorsi

 

Ritenuto in fatto

 

1. L'Agenzia delle entrate notificava alla società L. SRL, poi incorporata nella società G. SRL, l'avviso di accertamento n. RH1030200335/2006, relativo all'anno di imposta 2004, conseguente ad una verifica fiscale a carattere generale alla quale era stata sottoposta la società. Erano state accertate con metodo induttivo violazioni ai fini IRES, IRAP ed IVA, determinando componenti positive di reddito per €.9.262.707,00 e non riconoscendo componenti negativi per €.75.078,00. Veniva notificato alla società anche l'avviso di irrogazione sanzioni.

Entrambi gli atti erano impugnati dalla contribuente con separati ricorsi, riuniti dalla CTP di Cosenza che li accoglieva parzialmente, con decisione confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria con la sentenza n. 157/08/10, depositata il 09.07.2010 e non notificata.

2. Il secondo giudice dichiarava inammissibili i motivi di appello concernenti la violazione dell'art. 12 dello Statuto del contribuente e dell'art. 26 del DPR n. 633/1972 perché proposti tardivamente. Riteneva legittimo l'accertamento eseguito con metodo analitico induttivo, considerata la esistenza di scritture contabili regolarmente tenute dal punto di vista formale, o inficiate da vizi di modesta entità, ma affette da incompletezze ed inesattezze tali da giustificare il potere di rettifica delle omesse operazioni imponibili concernenti la vendita, avvenuta nel 2004, di immobili siti in Orte a favore della G. SRL per l'importo di € 600.000,00 e la nota di credito emessa nel dicembre 2004 dalla L. a favore della G. per lo storno dell'importo di € 600.000,00 a seguito della intervenuta rinuncia consensuale alla compravendita, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, in ragione delle quali i verbalizzanti avevano proceduto alla rettifica dei ricavi contabilizzati, applicando al valore degli immobili una percentuale di utile lordo del 25%.

Si soffermava, in particolare, sulle presunzioni, consistenti: a) nella sproporzione tra il valore economico degli immobili ed il valore attribuito agli stessi in sede di cessione; b) nella discordanza tra le modalità di pagamento dichiarate nell'atto di cessione e quanto rilevato nelle scritture di contabilità generale e nella relativa documentazione giustificativa; c) nelle discrasie riscontrate nella contabilizzazione delle rimanenze finali; d) nella emissione di note di credito per annullare l'operazione non andata a buon fine, nonostante non risultasse da atto pubblico la previsione di una retrocessione degli effetti giuridici; e) nelle vicende relative ad una fattura rilasciata dalla società G.V. SPA, anch'essa stornata.

Osservava quindi che nessun elemento probatorio era stato fornito dalla contribuente per vincere la presunzione in ordine alla mancata contabilizzazione delle operazioni imponibili contestate e che, in considerazione del principio antielusivo, le operazioni in questioni rispondevano solo allo scopo di ottenere un indebito vantaggio fiscale, perché i diversi passaggi degli immobili avevano l'unico scopo di dichiarare un valore addirittura inferiore al valore catastale degli immobili stessi.

3. La società incorporante G. SRL propone ricorso per cassazione fondato su sette motivi, ai quali replica con controricorso l'Agenzia delle entrate.

 

Considerato in diritto

 

1.1. Primo motivo - Violazione e falsa applicazione dell'art. 26 del DPR n. 633/1972

- violazione dell'art. 112 cpc e del principio dispositivo (art. 360,comma 1°, n. 4, cpc).

Secondo la ricorrente erroneamente la CTR ha ritenuto inammissibile la domanda proposta per violazione dell'art. 26 del DPR n. 633/1972, perché non formulata in primo grado, in quanto ciò era avvenuto tempestivamente.

1.2. Il motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza in quanto ciò che viene dedotto, circa la tempestiva introduzione della questione in primo grado, non è accompagnato dalla trascrizione dei passi salienti del ricorso originario; va altresì escluso che tale circostanza possa essere desunta dalla sentenza di primo grado, il cui testo non ha alcun contenuto "confessorio", giacché non è discende direttamente dalla parte e non fornisce alcun elemento specifico utile alla prospettazione della ricorrente.

2.1. Secondo motivo - Violazione e falsa applicazione dell'art. 12 della L. n. 212/2000 (art. 360, comma 1° n. 3, cpc).

La ricorrente sostiene che la verifica è illegittima perché è stata eseguita sulla base di una motivazione apparente in quanto genericamente "indirizzata a prevenire, ricercare ed accertare eventuali violazioni alla norma tributaria" e, quindi, in violazione di legge rilevabile d'ufficio. Lamenta anche una omessa e insufficiente motivazione per non avere analizzato la CTR le deduzioni svolte dalla ricorrente in merito alla particolare natura dei principi contenuti della L. n. 212/2000 (fol. 33 del ricorso).

2.2. Il motivo è infondato. La CTR ha ritenuto tardivamente proposta la eccezione concernente la motivazione apparente della verifica fiscale e ne ha escluso la eventuale rilevabilità d'ufficio, dando corretta applicazione al principio secondo il quale, ai sensi dell'art. 57 del D.LGS n. 546/1992 nel giudizio di appello non possono proporsi domande o eccezioni nuove e, se proposte, devono essere dichiarate inammissibili d'ufficio. Nella specie, è incontestato, perché emergente dalla sentenza impugnata, per averlo rilevato la controricorrente e perché non contestato dalla stessa contribuente, che la questione fu posta solo nell'atto di appello.

2.3. Ciò posto, non appare revocabile in dubbio che tale eccezione, involgendo la nullità dell'atto impositivo (cfr. SS.UU. sentenza n. 18184/2013), sia da ritenersi eccezione "in senso proprio", non sia rilevabile d'ufficio e soggiaccia, pertanto, al divieto dei nova di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in ragione del peculiare regime di carattere impugnatorio del processo tributario (cfr. Cass. nn. 21617/2015, 26734/2013, 10802/2010, 6522/2009, 13087/2003, 8114/2002).

2.4. Ne consegue l'infondatezza del motivo.

3.1. Terzo motivo - Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc, nonché vizio di carenza di motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360, comma 1°, n. 3, cpc).

Sostiene la ricorrente che la CTR ha sbagliato a non ritenere inutilizzabile la documentazione probatoria raccolta irritualmente dall'Amministrazione in occasione della verifica illegittima.

3.2. Il motivo è assorbito dal rigetto del secondo e del quarto motivo, in quanto presuppone come accertata una illegittimità dell'accertamento che non ricorre.

4.1. Quarto motivo - Violazione e falsa applicazione dell'art. 39, comma 2, lett. a) e c) del DPR n. 600/1973 e dell'art. 55 del DPR n. 633/1972 - violazione dell'art. 116 cpc e travisamento delle risultanze pdrocessuali - carenza di motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360, comma 1°, n. 3, cpc).

Secondo la ricorrente la CTR ha errato nel ritenere legittimo l'accertamento induttivo, giacché questo non poteva essere eseguito in presenza di contabilità regolarmente tenuta; la controricorrente sostiene che l'accertamento è stato di tipo analitico - induttivo e non induttivo.

4.2. Il motivo è infondato. Invero, contrariamente a quanto assume la ricorrente, la CTR ha ravvisato il legittimo espletamento di un accertamento di tipo analitico - induttivo e tale statuizione non è stata autonomamente impugnata.

Invero ciò si desume chiaramente dal complesso sviluppo motivazionale che, seppure introdotto dalla affermazione "E' legittimo l'accertamento induttivo" (fol. 5 della sent. imp.) è tutto articolato sulla ricorrenza dei presupposti per l'accertamento analitico - induttivo, come si desume dal richiamo alla giurisprudenza di legittimità in tema di contabilità formalmente regolare ed accertamento analitico-induttivo. Quanto alle doglianze rivolte all'operato dell'Agenzia va rilevata la carenza di autosufficienza, in quanto il motivo non riproduce l'avviso di accertamento, ma contiene solo le prospettazioni interpretative della parte.

5.1. Quinto motivo - Violazione dell'art. 116 cpc e travisamento dei fatti delle risultanze processuali - violazione dell'art. 112 cpc e del principio dispositivo (art. 360, comma 1°, n. 3, cpc).

A parere della ricorrente la sentenza è errata perché non ha dichiarato l'illegittimità dell'accertamento per le asserite violazioni ai fini IVA, con riferimento alla cessione dell'immobile alla G. SRL stipulata in data 09.06.2005 ed al successivo annullamento del precedente contratto di cessione, mediante il quale la L. era rientrata in possesso del bene.

5.2. Questo motivo è inammissibile: invero sotto la forma della violazione di legge sollecita un riesame dei fatti concernenti la vendita e la retrocessione degli immobili, nonché la determinazione del loro valore, ed una loro ricostruzione difforme da quella accolta dalla CTR, che risulta inammissibile in sede di legittimità se non veicolata come vizio motivazionale, poiché attiene al merito.

6.1. Sesto motivo - Violazione dell'art. 112 cpc e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in merito alle deduzioni della L. riguardanti l'omessa indicazione nel dispositivo della sentenza di primo grado dell’applicazione dell'IVA sulla cessione dell'immobile in questione con aliquota del 10%, anziché di quella del 20% (art. 360, comma 1°, n. 3, cpc).

La ricorrente,dopo aver ricordato che con specifico motivo di appello aveva chiesto alla Commissione Regionale di pronunciarsi in merito all'aliquota applicabile all'operazione nella misura del 10%, rimarca che questa, pur avendone fatto menzione nella parte dedicata allo svolgimento del processo, aveva mancato di prendere posizione sul punto nella parte motiva e quella dispositiva.

6.2. Il sesto motivo è fondato poiché, sul punto, non è stata adottata alcuna pronuncia.

7.1. Settimo motivo - violazione dell'art. 112 cpc e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato circa la lamentata omessa motivazione nella sentenza di primo grado in merito alle sanzioni (art. 360, comma 1°, n. 4, cpc).

La ricorrente dopo aver ricordato di avere proposto due separati ricorsi "di identico contenuto", uno avverso l'avviso di accertamento e l'altro avverso l'atto di irrogazione delle sanzioni, riuniti dinanzi al giudice di primo grado si duole che questi non abbia pronunciato in merito alle sanzioni, ed in particolare non abbia provveduto a ridurre le sanzioni in ragione della parziale rettifica dell'avviso di accertamento, e rappresenta che lo specifico motivo di appello non è stato preso in considerazione dalla CTR, che si era limitata a ricordare la censura solo nella parte dedicata allo svolgimento del processo.

7.2. Il motivo è fondato perché la CTR non si è pronunciata su tale questione, pur potendo avere la modifica dell'accertato delle ricadute sulla misura delle sanzioni.

8.1. In conclusione il ricorso va accolto sui motivi sesto e settimo, infondati i motivi secondo e quarto, assorbito il terzo ed inammissibili gli altri. La sentenza impugnata va cassata e rinviata alla CTR della Calabria in altra composizione per il riesame in ragione dei motivi accolti e per la compiuta pronuncia, oltre che per le statuizioni sulle spese di giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso sui motivi sesto e settimo, infondati i motivi secondo e quarto, assorbito il terzo ed inammissibili gli altri;

- cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla CTR della Calabria in altra composizione per il riesame e per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.