Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 settembre 2016, n. 18073

Accertamento fiscale - Rettificato il reddito dichiarato da un’azienda agricola - Discrepanza tra giacenze di magazzino e quantità di merci vendute - Presunzione di ricavi non contabilizzati

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il 19 dicembre 2006 l'ufficio di Milano 4 dell'Agenzia delle Entrate faceva notificare alla Società Italiana P.A. s.r.l. un avviso di accertamento con cui ne rettificava il reddito di impresa per l'anno 2003 sul rilievo della discrepanza tra le giacenze di magazzino e la quantità di merci vendute nel dicembre del medesimo anno e della conseguente presunzione che le merci non rinvenute fossero state vendute "in nero".

La CTR Lombardia con la sentenza in atti ha respinto l'appello dell'erario sul rilievo che l'omessa contabilizzazione dei ricavi, essendo stata "individuata attraverso la ricostruzione algebrica delle giacenze e non con l'individuazione di specifiche cessioni non fatturate", si fonda su "una presunzione che, da sola, non può legittimare l'ulteriore presunzione di sussistenza delle sopra indicate situazioni che rendono inattendibile la contabilità". Peraltro, prosegue il giudice d'appello, l'accertamento è infondato nel merito dal momento che nel determinare le giacenze, oltre ai cali naturali, "si sarebbero dovuti considerare gli sfridi per lo scarto della merce avariata e per i rabbocchi delle confezioni" e, mentre l'omessa considerazione degli sfridi, documentati dalle fotografie prodotte dalla parte, "toglie pregio alle differenze inventariali" riscontrate dai verificatori, la prova di essi "giustifica la differenza inventariale algebricamente rilevata", differenza che, quindi, non può essere ascritta a vendite mensili non fatturate da estendere all'intero anno 2003.

Per la cassazione di detta sentenza, l'Agenzia delle Entrate si affida a due motivi di ricorso ai quali replica la parte con controricorso.

 

Considerato in diritto

 

2.1.1. Con il primo motivo di ricorso, l'Agenzia impugnante lamenta ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione in capo all'impugnata sentenza in quanto, contrariamente al rilievo operato dal decidente in ordine alla risultanza solo algebrica del dato considerato dai verificatori, "la differenza inventariale riscontrata dall'ufficio per il mese di dicembre 2003 e ritenuta non giustificata dalle spiegazioni della società costituiva una presunzione idonea a discostarsi dalla contabilità in quanto sostanzialmente inattendibile", di talché "la CTR avrebbe dovuto argomentare la propria decisione sfavorevole precisando perché a suo avviso le differenze inventariali non deponessero per l’inattendibilità della contabilità".

2.1.2. Il secondo motivo di ricorso alimenta ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c. la denuncia di un vizio di insufficiente motivazione circa l'apprezzamento di merito operato dal giudice territoriale, giacché a fronte delle contestazioni dell’ufficio, "era decisivo appurare se le argomentazioni offerte dalla società integrassero la prova contraria richiesta dall'art. 1 del D.P.R. 441/97", non comprendendosi per vero quale collegamento vi sia tra le fotografie prodotte dalla parte a documentazione degli sfridi non considerati e la merce acquistata nel mese di dicembre 2003.

2.2. Rispetto ai riportati motivi di ricorso va previamente considerato, sul filo della pregressa narrativa di fatto, che l'impugnata decisione risulta sorretta da una duplice ratio decidendi, atteso che con un primo argomento la CTR ha ricusato la legittimità della ripresa sul rilievo che la ravvisata omessa contabilizzazione delle vendite in nero per tutto l'anno 2003 "si fonda su una presunzione che, da sola, non può legittimare l'ulteriore presunzione delle sopra indicate situazioni che rendono inattendibile la contabilità", mentre con un secondo argomento si è fatto leva nella stessa direzione sul fatto che "l'accertamento del maggior volume d'affari dal mese di dicembre non appare fondato neppure nel merito".

2.4. E' per contro ampiamente noto, secondo l'insegnamento dispensato dal diritto vivente fatto proprio da questa Corte, che "qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (14069/16; 13225/16; 2018/12).

2.5. Orbene, nella specie reputa il collegio che, in disparte dal primo motivo di ricorso, il secondo sia privo di fondamento dovendo invero rilevarsi, a confutazione del dedotto vizio motivazionale che inficierebbe l'impugnata pronuncia nella parte in cui ha ritenuto ingiustificate le differenze quantitative accertate nella gestione del magazzino, che la CTR ha motivato il proprio giudizio sul duplice rilievo che i verificatori avessero omesso di tenere conto dei "cali naturali" ed gli sfridi per lo scarto della merce avariata e per i rabbocchi delle confezioni".

Si tratta di motivazione immune da vizi logici, idonea a dar conto delle ragioni del convincimento del giudice di merito, al quale solo spetta di inviduare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova. Si tratta, in breve, di un giudizio di fatto che non integra il denunciato vizio motivazionale in quanto esso risulta coerentemente e conseguentemente sviluppato rispetto alle premesse fattuali oggetto di considerazione da parte del giudice di merito e che non è come tale suscettibile di rivisitazione in questa sede non essendo la Corte di Cassazione un giudice di terza istanza avanti al quale poter far valere l'insoddisfazione per la decisione, chiedendole di sostituire il proprio giudizio a quello del giudice territoriale.

2.6. Poiché rigettandosi il motivo de quo, la sentenza viene per questo ad essere provvista di un'autonoma ratio decidendi in grado di sorreggerla anche se si ritenesse fondato l’altro motivo di ricorso, il ricorso deve essere respinto.

3. Spese alla soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 7000,00, oltre al 15% per spese generali e agli accessori di legge.