Giurisprudenza - TRIBUNALE DI ROMA - Sentenza 06 maggio 2019

Rapporto di lavoro - Collaboratore "out bound" di call center - Co.co.co. - Illegittimità - Inesistenza del progetto - Co.co.org - Requisiti - Effettiva integrazione funzionale del lavoratore nell’organizzazione produttiva del committente

Emessa dal Giudice Daniela Bracci.

 

Fatto e diritto

Con distinti ricorsi depositati il 13.7.2018, (...) spa adiva il Tribunale di Roma in funzione di GL chiedendo di accertare e dichiarare che i rapporti di collaborazione intercorsi tra la società ricorrente e ciascuno dei convenuti erano legittimi e non erano in alcun modo riconducibili al rapporto di lavoro subordinato.

Deduceva di essere una società esercente attività di customer care tramite canali di front office e back office, assistenza commerciale e tecnica, gestione reclami; che i convenuti, dal 2016 al 2018, avevano stipulato con la ricorrente diversi contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento dell'attività di collaboratore "out bound" di call center, nell'ambito di due campagne telefoniche affidate in gestione dalla T. spa ad (...) spa e afferenti la gestione dei disservizi tecnici eventualmente riscontrati dagli utenti di T. sulle loro linee telefoniche fisse e/o mobili e/o su modem (campagna denominata "Collaudi", afferente il Collaudo -disservizi tecnici; campagna c.d. "BOM" afferente la "Gestione delle lavorazioni off-line, con conseguente contatto Outbound generate dai canali di assistenza tecnica e da canali commerciali o Not Human"); che nella campagna "Collaudi", l'attività del collaboratore consisteva nel contattare gli utenti che avevano riscontrato un disservizio sulla loro linea telefonica e/o modem e per accertarsi che fosse andato a buon fine l'intervento tecnico richiesto e verificare che vi fosse stato un gradimento del servizio ricevuto proponendo eventualmente anche l'eventuale adesione a specifiche offerte bundle e/o a una particolare articolazione tariffaria dati più vantaggiosa (al fine di fidelizzare la clientela della committente (...) per evitare o ridurre il più possibile il rischio di abbandono della stessa da parte dell'utente a seguito del disservizio); con riferimento alla Commessa BOM, l'attività del collaboratore consisteva invece nel contattare gli utenti che avevano riscontrato un disservizio sulla loro linea telefonica e/o modem per poi prendere direttamente in carico il c.d. "ticket" creato dal sistema a seguito della segnalazione del disservizio/guasto da parte dell'utente, per poi cercare di trovare, a seconda dei casi, la soluzione migliore per dare supporto all'utenza nella risoluzione del problema; che in particolare l'operatore, dopo aver contattato l'utente in questione e verificato la specifica problematica di volta in volta segnalata, poteva valutare, in base alla propria esperienza e in base alla difficoltà, più o meno grave, del disservizio riscontrato:  1) se era sufficiente limitarsi a fornire una mera informazione per risolvere il problema; 2) se trattandosi di problemi tecnici di semplice risoluzione, era possibile provare a risolverlo da remoto individuando soluzioni tecniche migliori, tra quelle messe a disposizione dal Committente a seconda del guasto segnalato; 3) se era possibile proporre alla clientela di ricevere un intervento di tecnico ad hoc a pagamento (on line o direttamente a casa propria), illustrandone le potenzialità ed esponendo tutte le caratteristiche del servizio offerto; che con riferimento ad entrambe le commesse "Collaudi" e "BOM", il disservizio poteva essere segnalato dall'utente o da IVR, tramite app o tramite sito web o tramite segnalazione inoltrata da altro operatore; che a fronte della segnalazione del disservizio il sistema creava un ticket di disservizio; che il collaboratore decideva quando rendere la prestazione; che visualizzando l'elenco dei ticket presenti nel sistema, l'operatore poteva decidere di togliere qualcuno dall'elenco procedendo a contattare il ticket scelto; che nel caso non vi fossero ticket in elenco, l'operatore poteva scegliere se restare o meno in attesa che l'elenco si riempisse, per poi valutare se procedere o meno alla lavorazione; che il collaboratore non aveva vincoli di orario, rimanendo libero di scegliere se e quando rendere la prestazione; che il collaboratore comunicava alla ricorrente la sua disponibilità di giorno e orario, prenotando la postazione; che in caso di eventuale mancanza di disponibilità a rendere la propria prestazione professionale, il collaboratore non era tenuto a giustificare la sua assenza e non era soggetto ad alcun tipo di sanzione disciplinare;

che con comunicazione del 18.6.2018, i convenuti avevano impugnato tutti i rapporti di collaborazione intercorsi con la ricorrente, asserendo che gli stessi sarebbero stati illegittimi in quanto "sganciati da qualsivoglia progetto (del tutto inesistente), illegittimi nella forma e misura del compenso, posti in essere per attività di back office/assistenza e in quanto l'attività sarebbe stata svolta secondo le caratteristiche della subordinazione"; che i convenuti avevano quindi affermato, per il tramite del loro legale, di avere diritto ad essere considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato ex tunc e di avere diritto a tutte le conseguenti differenze retributive; che era interesse della ricorrente adire il Tribunale di Roma, ove sussisteva la sede dell'azienda, al fine di vedere accertata la legittimità dei contratti di collaborazione intercorsi tra le parti. Svolte articolate considerazioni in diritto, concludeva chiedendo al GL l'accoglimento della domanda con il favore delle spese di lite. Fissata l'udienza si costituivano in giudizio (..., ..., ....) che preliminarmente eccepivano l'inammissibilità della domanda per carenza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., in quanto il giudizio era strumentale ad una soluzione in via di massima di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche. Nel merito chiedeva il rigetto della domanda. Deducevano di aver lavorato per la ricorrente dal 2016 al 2018 senza soluzione di continuità in forza di numerosi contratti di lavoro, denominati inizialmente "Contratto di collaborazione esclusivamente personale e continuativa" e dall'1.2.2018 "contratto di collaborazione coordinata e continuativa (art. 409 c. 3 c.p.c. Dlgs. 81/15, Accordo Collettivo Assotelecomunicazioni-Asstel, Assocontact, SLC CGL, FISTEL CISL, UILCOM UIL del 31.7.2017); di aver sottoscritto con la ricorrente in meno di due anni un contratto al mese; che l'attività svolta per tutto il rapporto di lavoro era inerente l'assistenza tecnica a clienti T., sia residenziali che imprese; che tale assistenza costituiva una fase fondamentale del ciclo produttivo inerente la commessa T.; che tale assistenza avveniva attraverso alcuni canali che i clienti T. potevano utilizzare per ricevere assistenza; che tali canali erano: 1) la chiamata al 187, che il sistema dei centralini trasformava in una pratica (ticket) che veniva assegnata agli operatori (tra cui il resistente); 2) la segnalazione via web tramite app o sito di assistenza tecnica T. Linea fissa ed Impresa semplice; 3) tramite canale commerciale, cioè gli operatori inbound del front end commerciale 187. Ciò accadeva quando il cliente, guidato dalla voce automatica, digitava il numero sbagliato e chi rispondeva del settore commerciale, non avendo la competenza per risolvere le esigenze del cliente, mandava un ticket agli operatori Bom; che il ticket era una pratica con tutti i dati del cliente; che l'operatore Bom provvedeva poi a ricontattare il cliente; 4) le segnalazioni che venivano girate dallo stesso front-end tecnico per approfondimento del disservizio e risoluzione ove l'operatore del front-end, per assenza di skill, non potesse risolvere il disservizio; che l'operatore Bom a cui era stato assegnato il ticket richiamava il cliente e doveva cercare di risolvere il problema nel corso della telefonata; che l'attività dell'operatore Bom era di assistenza mentre le proposte di un servizio a pagamento per configurazioni informatiche o intervento su impianto a pagamento erano eventuali e ristrette a pochi casi di segnalazioni; che T. valutava la qualità del servizio reso dall'operatore Bom in base: ai tempi medi (diversi per tipologia di guasto), alle richiamate (cd rework, consistenti nella richiamata del cliente entro i tre e i sette giorni dalla prima segnalazione), alle percentuali degli invii on field (cioè al tecnico di zona: maggiori erano le richiamate o gli invii ai tecnici di zona, minore è la qualità del servizio secondo T.); che tali attività e parametri di valutazione erano identici a quelli dell'operatore del 187 che rispondeva al cliente in front end (che era inquadrato con rapporto di lavoro subordinato in quanto operatore inbound); che l'azienda (...) attraverso i propri team leader, pretendeva la lavorazione di un tot ticket ad ora, generalmente 10, al fine di ottenere il vantaggio del pagamento a provvigioni; che le operazioni di assistenza tecnica, spesso complesse, richiedevano dei tempi lunghi per soddisfare realmente la richiesta del cliente; che quando i dati T. (percentuali di rework, invio on field, back office, tempi di lavorazione della pratica) risultavano fuori dai parametri imposti, l'azienda metteva un freno invitando gli operatori più veloci e superficiali ad andare più piano o chiamare i clienti; che ciò creava una differenza retributiva tra chi aveva mantenuto la qualità della commessa lavorando correttamente e chi invece chiudeva sempre i ticket; I team leader davano precise direttive non solo sulla durata della telefonata ma anche sulle modalità di svolgimento, in concreto, delle telefonate e dunque dell'attività del resistente; che i turni di 4 ore (da svolgere all'interno di una macrofascia 8/21) venivano scelti settimanalmente dal lavoratore; che l'azienda li limitava nel numero decidendo, in base alle proprie esigenze, quante postazioni rendere disponibili; che quindi se tutti i posti del turno prescelto dal lavoratore erano occupati, lo stesso o sceglieva un altro turno o non andava a lavoro; che per modificare il turno (nella stessa settimana) era necessario comunicarlo al team leader il quale verificava che il turno originariamente scelto venisse comunque coperto; che le assenze e i ritardi dovevano essere comunicate (diversamente la conseguenza non era una sanzione disciplinare, impossibile dato il tipo di contratto, ma dei forti rimproveri, con la richiesta di non fare più ritardi); che dal mese di febbraio 2018 la ricorrente aveva indicato in busta paga un numero di ore lavorate inferiori a quelle effettivamente svolte dal resistente e risultanti dal report; che dal mese di maggio 2018 i team leader avevano iniziato ad imporre delle tabelle di turni ove si poteva lavorare senza problemi tre giorni scelti giovedì, venerdì e domenica ma imponevano due assenze settimanali ad ogni lavoratore; che i giorni di assenza erano, pure, scelti proprio dai team leader tra i giorni di lunedì, martedì, mercoledì e sabato; che l'Accordo del 31.7.2017 non era applicabile al rapporto de quo, in quanto detto accordo concerneva i collaboratori che svolgevano attività di vendita diretta di beni e di servizi; che i resistenti, come tutti i colleghi del reparto BOM/Collaudo, avevano svolto attività di assistenza non finalizzata (a dispetto di quanto scritto nei contratti) alla vendita di beni o servizi, ma alla risoluzione diretta dei problemi di fonia e internet dei clienti T.; che (...) aveva rispettato l'accordo collettivo perché aveva decurtato arbitrariamente la retribuzione; di avere i resistenti diritto ad ottenere la conversione del rapporto di lavoro in un normale e ordinario rapporto di lavoro subordinato, alle differenze retributive ed alla riammissione in servizio; che le mansioni svolte dai resistenti erano riconducibili al IV livello CCNL Telecomunicazioni. Svolte considerazioni in diritto, concludevano chiedendo l'inammissibilità o il rigetto del ricorso; in via riconvenzionale chiedevano di accertare e dichiarare che dall'8.3.2016 al 31.5.2018 (St.), dal 25.6.2016 al 30.6.2018 (S.), dal 25.5.2016 al 30.6.2018 (A.), dall'8.3.2016 al 30.6.2018 (V.), dal 25.5.2016 al 30.6.2018 (F.) senza soluzione di continuità fra le parti era intercorso nei fatti un rapporto di lavoro subordinato e che i resistenti avevano svolto attività di "Specialista di interventi tecnici" del 4 liv. CCNL Telecomunicazioni (o in subordine la minore qualifica che risulterà di giustizia), con orario part-time 24 ore settimanali; in subordine accertare e dichiarare che nei periodi sopra indicati era intercorso un rapporto ex art. 2, c. 1 DLgs. 81/15, dichiarare la non applicabilità dell'accordo collettivo del 31.7.2017 o di altri accordi collettivi di settore (di cui all'art. 2, c. 2 DLgs. 81/15), e conseguentemente qualificare il rapporto come subordinato a tempo indeterminato "ex tunc", per mansioni di 4 liv. CCNLTelecomunicazioni, qualifica di "Specialista di interventi tecnici", (o in subordine la minore qualifica ritenuta di giustizia) part time 24 ore settimanali; conseguentemente condannare la A. Customer Care Spa alla reintegra di ciascun resistente (ricorrente in riconvenzionale) nel posto di lavoro con la qualifica di "Specialista di interventi tecnici", 4 liv. CCNL Telecomunicazioni, part-time 24 ore settimanali ed alla corresponsione delle differenze retributive fra quanto percepito nel corso del rapporto di lavoro e quanto avrebbe dovuto percepire sulla base del CCNL Telecomunicazioni come specialista di interventi tecnici, 4 livello, part-time 24 ore, quantificato in € 21.054,50 (St.), in € 20.460,13 (S.), in € 18.598,80 (A.), in € 22.838,51 (V.), in € 18.598,80 (F.) o quella cifra maggiore o minore che dovesse risultare da CTU contabile, oltre alle retribuzioni maturate e maturande dall'1.6.2018 in poi, oltre interessi e rivalutazione monetaria;

condannare la (...) Spa a sanare la posizione contributiva del resistente; con il favore delle spese di lite, da distrarsi.

All'udienza del 6.5.2019 veniva disposta la riunione dei procedimenti e, previo esame delle note autorizzate, la causa veniva discussa e decisa con sentenza pronunciata ex art. 429 co. 1 c.p.c., dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto.

Osserva il giudice che preliminarmente deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità della domanda per carenza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. La Corte di Cassazione ha affermato che l'interesse ad agire con azione di mero accertamento sussiste ogni qualvolta ricorra una pregiudizievole situazione di incertezza relativa ai diritti o rapporti giuridici, la quale, anche con riguardo ai rapporti di lavoro subordinato, non sia eliminabile senza l'intervento del giudice, sicché è ammissibile la domanda del datore di lavoro diretta all'accertamento della legittimità del licenziamento, ancorché questo risulti essere già stato impugnato dal lavoratore con l'instaurazione di un precedente giudizio, salva in ogni caso l'applicabilità della disciplina della continenza delle cause ex art. 39 c.p.c.; né è configurabile un abuso dello strumento processuale da parte del datore di lavoro, in considerazione della sussistenza di un interesse degno di tutela (cfr. Cass. n. 7096 del 9.5.2012; in senso conforme Cass. n. 18819 del 16.7.2018 che in tema di lavoro a tempo determinato, ha ritenuto che la domanda volta all'accertamento della illegittima apposizione del termine richiede la prova di un interesse concreto e attuale ad agire, il quale è posto a presidio di un uso responsabile del processo e, al contempo, è manifestazione del principio di economia processuale, ovvero dalla possibilità di conseguire un risultato concretamente rilevante, in vista della tutela di una lesione non meramente potenziale, ottenibile mediante il processo e l'intervento necessario di un giudice; cfr. anche Cass. n. 30433 del 18.9.2018). Nel caso in esame è documentato che i resistenti il 18.6.2018 hanno inviato via pec alla ricorrente, a mezzo del proprio legale, una lettera con cui contestavano ed impugnavano in maniera circostanziata i contratti di collaborazione intercorsi con (...) significando che gli stessi sarebbero stati illegittimi in quanto sganciati da un progetto, illegittimi nella forma e nella misura del compenso, posti in essere per attività di back office/assistenza; altresì in tale impugnativa i resistenti asserivano che il rapporto si era svolto secondo le forme della subordinazione, rivendicando conseguentemente il diritto a percepire le relative differenze retributive. Proprio tale contestazione ha fatto insorgere, in capo alla (...) l'interesse ad agire giudizialmente per risolvere la situazione di evidente incertezza giuridica sul rapporto giuridico venutasi a creare con la predetta missiva inoltrata dai collaboratori. Peraltro la situazione di incertezza giuridica è confermata dal comportamento delle parti resistenti, le quali si sono costituite in giudizio chiedendo in via riconvenzionale l'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti e, in via subordinata, l'applicazione dell'art. 2 D.Lgs. n. 81/2015 con condanna della (...) al pagamento delle differenze retributive per mansioni e orario di lavoro concretamente svolti. Nel merito va accolto perché fondato. Sul lavoro subordinato.

Ai fini della distinzione fra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo, assume valore determinante - anche a voler accedere ad una nozione più ampia della subordinazione, con riferimento a sistemi di organizzazione del lavoro improntati alla "esteriorizzazione" di interi cicli del settore produttivo - l'accertamento della avvenuta assunzione, da parte del lavoratore, dell'obbligo contrattuale di porre a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative e di impiegarle con continuità, fedeltà e diligenza, secondo le direttive di ordine generale impartite dal datore di lavoro e in funzione dei programmi cui è destinata la produzione, per il perseguimento dei fini propri dell'impresa datrice di lavoro (cfr. Cass. n. 2842 del 26.2.2002 che ha escluso la subordinazione in relazione ad una lavoratrice che, facendo parte di un gruppo di giovani che prestavano di sera la propria attività di camerieri presso un ristorante, veniva indirizzata presso l'esercizio secondo turni giornalieri e settimanali organizzati dalla stessa lavoratrice secondo accordi con il suo gruppo, a seconda delle proprie esigenze, senza obbligatorietà della prestazione). È innegabile che, a seguito della stipula del contratto di lavoro, in capo al lavoratore sorge l'obbligazione principale di eseguire la prestazione lavorativa, sottostando, entro i limiti sanciti dalla legge e dai contratti collettivi, al potere direttivo e al potere disciplinare del datore di lavoro. Nel caso di specie è pacifico che il collaboratore (cioè i resistenti) poteva prenotarsi in fasce orarie di quattro ore e che una volta prenotata la postazione, egli poteva decidere di non presentarsi e di non rendere alcuna prestazione o di lavorare meno delle quattro ore prenotate, Conseguentemente il ricorrente poteva disporre della prestazione lavorativa dei resistenti solo se questi decidevano di prenotare la postazione lavorativa nell'ambito delle fasce orarie stabilite.

È vero che si trattava di fasce orarie predeterminate dalla società, (...) ma è anche vero che la stessa non aveva il potere di imporre ai collaboratori di lavorare nelle ore prenotate o di non revocare la disponibilità data, a dimostrazione della insussistenza del vincolo della subordinazione. Alla luce di quanto sopra sottolineato assume allora rilevanza (anche se non decisiva ma comunque rafforzativa circa la valutazione autonoma dei rapporti di lavoro oggetto di causa) il nomen juris concordemente adoperato dalle parti in sede di conclusione dell'accordo, proprio ai fini della qualificazione del rapporto medesimo. Pertanto deve escludersi la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti. In relazione alla riconducibilità o meno del rapporto de quo alla fattispecie prevista dall'art. 2 DLgs. n. 81/2015, si osserva che tale norma dispone: "A far data dal 1 gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavorò". La norma in questione individua un terzo genere (le co.co.org.), che si viene a porre tra il rapporto di lavoro subordinato di cui all'articolo 2094 c.c. e la collaborazione coordinata e continuativa come prevista dall'art. 409 n. 3 c.p.c.

L'art. 2, comma 1, individua quindi tre elementi che devono sussistere contemporaneamente perché alla collaborazione si possa applicare la disciplina del lavoro subordinato. Come prima caratteristica le prestazioni di lavoro devono essere "esclusivamente personali", elemento, questo, tipico del lavoro subordinato implicante l'impossibilità sia di delegare ad un altro soggetto sia di farsi aiutare da lavoratori assunti e retribuiti direttamente dal lavoratore. Anche nel lavoro autonomo, però, la prestazione oggetto del contratto d'opera o libero-professionale può essere esclusivamente personale per volontà delle parti o perché coessenziale all'oggetto della prestazione, senza che ciò si traduca nella mutata qualificazione del rapporto da autonomo a subordinato. A tal proposito si rammenta l'art. 2232 c.c. il quale dispone che "il prestatore d'opera deve eseguire personalmente l'incarico assunto. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l'oggetto della prestazione"', viceversa, l'art. 2222 c.c. richiede che il lavoro sia "prevalentemente proprio" e l'art. 409 n. 3 c.p.c. riguarda le collaborazioni che si concretino in una prestazione di opera "(...) prevalentemente personale", con possibilità, quindi, per il collaboratore di avvalersi anche di collaboratori o di mezzi particolari, che però non sfociano nell'organizzazione di impresa. Ulteriore caratteristica prevista dall'art. 2 comma 1 citato è che queste collaborazioni debbano anche essere "continuative". Tratto, anche questo, tipico del lavoro subordinato ma non incompatibile con il lavoro autonomo e caratteristica propria delle co.co.co. di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c.; di per sé quindi si tratta di un elemento non dirimente per la qualificazione del rapporto nell'area della subordinazione o dell'autonomia, anche parasubordinata. Ai fini della norma in esame, la continuatività deve peraltro intendersi come non occasionalità e dall'altro, riguardo alla esecuzione della prestazione, come svolgimento di attività che vengono (anche se intervallate) reiterate nel tempo al fine di soddisfare i bisogni delle parti (cfr. Corte Appello Lavoro Torino n. 26 del 4.2.2019). Infine, tali rapporti di collaborazione si devono concretare in prestazioni di lavoro "le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro", così enucleando l'elemento della "etero-organizzazione", che appare certamente qualcosa di più invasivo rispetto al mero "coordinamento" con il committente, tipico delle co.co.co. di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c., nelle quali le modalità di esecuzione della prestazione sono il frutto di un accordo delle parti, ma rappresentando necessariamente qualcosa di meno rispetto all'esercizio del potere direttivo e di conformazione (eterodirezione) della prestazione da parte del datore di lavoro.

La norma postula quindi un concetto di etero-organizzazione in capo al committente che viene così ad avere il potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore e cioè la possibilità di stabilire i tempi e i luoghi di lavoro. Pur senza "sconfinare" nell'esercizio del potere gerarchico, disciplinare (che è alla base della eterodirezione) la collaborazione è qualificabile come etero-organizzata quando è ravvisabile un'effettiva integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazione produttiva del committente, in modo tale che la prestazione lavorativa finisce con l'essere strutturalmente legata a questa (l'organizzazione) e si pone come un qualcosa che va oltre alla semplice coordinazione di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c., poiché qui è il committente che determina le modalità della attività lavorativa svolta dal collaboratore. Abbiamo così l'esercizio del potere gerarchico - disciplinare - direttivo che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato ex art 2094 c.c. (in cui il prestatore è comunque tenuto all'obbedienza), l'etero-organizzazione produttiva del committente che ha le caratteristiche sopra indicate (e rientra nella previsione di cui all'art. 2 DLgs. n. 81/2015) e la collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409 n. 3 c.p.c. in cui è il collaboratore che, pur coordinandosi con il committente, organizza autonomamente la propria attività lavorativa (in questo caso le modalità di coordinamento sono definite consensualmente e quelle di esecuzione della prestazione autonomamente). Giova evidenziare che l'applicazione dell'art. 2 comma 1 DLgs. n. 81/2015 in ogni caso non comporta la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti (cfr. Corte Appello Torino sentenza del 4.2.2019 n. 26).

Invero la norma stabilisce solo che a far data dal 1 gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione autonoma etero-organizzata (in essere), che però continuano a mantenere la loro natura. Ciò significa che il lavoratore etero-organizzato resta, tecnicamente, "autonomo" ma per ogni altro aspetto, e in particolare per quel che riguarda sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (quindi inquadramento professionale), limiti di orario, ferie e previdenza, il rapporto è regolato nello stesso modo. Viene, pertanto, fatto salvo l'assetto negoziale stabilito dalle parti in sede di stipulazione del contratto con l'estensione delle tutele previste per i rapporti di lavoro subordinato. Mette conto osservare che i rapporti di collaborazione intercorsi tra le parti presentano tutti e tre gli elementi sopra evidenziati, caratterizzanti la fattispecie prevista dall'art. 2 DLgs. n. 81/2015; peraltro nello specifico non è applicabile la disciplina del rapporto di lavoro subordinato per effetto dell'ipotesi derogatoria prevista dall'art. 2 comma 2 DLgs. n. 81/2015.

Tale norma stabilisce che: "la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento: a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore; b) alle collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali; c) alle attività prestate nell'esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni; d) alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002 n. 289". La prima ipotesi derogatoria, unica rilevante ai fini di causa, corrobora indubbiamente l'interpretazione del comma 1 sopra esposta e cioè che le co.co.org. non modifichino, in senso espansivo, l'area della subordinazione ma restino nell'area del lavoro parasubordinato, assimilato, quanto alla disciplina del rapporto, al lavoro subordinato. Tale conclusione si ricava dalla considerazione che se fosse vero che le co.co.org. allargano la fattispecie del 2094 c.c. venendo comunque in essa risucchiate, allora la contrattazione collettiva non potrebbe disporre così liberamente delle tutele per tali lavoratori senza alcun tipo di limite o paracadute, costituendo ciò violazione dei principi generali in tema di inderogabilità delle norme poste a tutela del lavoratore subordinato, indisponibilità dei diritti del lavoratore e probabilmente violazione dell'art. 3 Cost., per irragionevolezza della disparità di trattamento con il lavoro etero-diretto; si consentirebbe una deroga alle norme di legge addirittura più ampia di quella consentita dall'art. 8 DL n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011. Ritenendo invece che le co.co.org. non subiscono una mutazione genetica e non perdono la loro natura di lavoro autonomo parasubordinato, allora diventa perfettamente ammissibile che "gli accordi collettivi nazionali" - si noti che il legislatore non usa nemmeno il termine "contratti collettivi" - stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedano "discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore".

Giova osservare che il legislatore non fa riferimento ai contratti collettivi nazionali dei lavoratori subordinati ma a quelli dei lavoratori parasubordinati, che vengono convenzionalmente indicati proprio attraverso la suddetta espressione.

L'ipotesi esclusa finisce allora per confermare la lettura che si è proposta del comma 1 e cioè che non si vuole riqualificare la fattispecie ma solo individuare la disciplina applicabile che è quella del lavoro subordinato, salva diversa previsione degli accordi collettivi nazionali, trattandosi comunque di disciplina migliorativa rispetto a quella davvero scarna applicabile al lavoro autonomo parasubordinato non etero-organizzato, cioè alle co.co.co., e quindi senza che si pongano problemi di inderogabilità delle norme o indisponibilità dei diritti e nemmeno di parità di trattamento ex art. 3 Cost., ma di valorizzazione dell'autonomia contrattuale (ex art. 1322 c.c.) che comunque nel corso degli anni ha prodotto alcuni accordi collettivi per i parasubordinati. Le associazioni sindacali vengono quindi autorizzate a disapplicare la normativa che regola il rapporto di lavoro subordinato se sussistono determinati presupposti: 1) le collaborazioni oggetto dell'intervento devono essere co.co.org. di cui al comma 1, pur ovviamente potendosi estendere la tutela anche alle co.co.co. proprio in virtù di quanto sopra detto; 2) i soggetti stipulanti devono essere comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, in modo da garantire la loro forza e genuinità; 3) la deroga deve essere giustificata da particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore, che quindi dovranno essere esplicitate e comprovate e consentiranno di ammorbidire l'impatto dell'equiparazione disposta dal comma 1 in certi settori in cui il rischio di un aumento repentino del costo (in senso lato) del lavoro parasubordinato può addirittura essere quello della delocalizzazione; 4) l'alternativa alla disciplina legale deve essere una disciplina specifica riguardante sia il trattamento economico sia normativo, quindi non solo una tutela economica con riferimento al compenso minimo, come era per l'art. 63 DLgs. n. 276/03, ma anche con la previsione di tutele sul piano normativo. Il potere demandato ai sindacati nella ideazione di uno statuto protettivo alternativo a quello legale è ampio, pur dovendosi evidenziare che la selezione dei contraenti, la necessaria giustificazione dell'intervento della normazione autonoma e il fatto che la disciplina contrattuale debba essere specifica e riguardare sia il trattamento economico sia normativo, fanno dedurre che la voluntas legis sia quella di porre dei limiti ben chiari, anche di carattere sostanziale, all'autonomia sindacale, con l'obiettivo di fornire una maggior tutela ai collaboratori. Nello specifico settore delle collaborazioni out bound le OO.SS hanno sottoscritto un primo Accordo collettivo nazionale l'1.8.2013 (doc 4 ricorso), espressamente richiamato nel successivo Accordo del 30.7.2015 (doc. 5) dove è stato espressamente previsto che, "agli effetti dell'art. 2, comma 2, lett. a) del citato DLgs. 81/2015, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative, le previsioni e i trattamenti economici e normativi fissati dall'Accordo 1 agosto 2013, in virtù di sopravvenuta normativa, devono intendersi riferiti ai contratti di collaborazione esclusivamente personale e continuativa stipulati per lo svolgimento delle stesse attività out bound ivi regolate".

Con gli Accordi collettivi nazionali successivi, e segnatamente con l'accordo del 28.6.2016 (doc. 6) e del 31.7.2017 (doc. 7), le parti sociali hanno, poi, espressamente ribadito ed integrato ulteriormente la disciplina economica e normativa dei collaboratori di call center già disciplinata dai precedenti accordi appena sopra ricordati. L'Accordo dell'1.8.2013 era stato espressamente adottato "ai sensi e per gli effetti dell'art. 61 del DLgs. 276/2003", norma quest'ultima che esentava dall'indicazione del progetto, gli agenti di commercio nonché le "attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso il call center out boundper le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definite dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento. L'art. 7, comma 2-bis del DL 28.6.2013, n. 76 ha poi chiarito che: «l'espressione "vendita diretta di beni e di servizi" contenuta nell'art. 61, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso di ricomprendere sia le attività di vendita diretta di beni sia le attività di servizi». Pertanto l'attività out bound di call center riconducibile alla collaborazione è sia quella attraverso la quale il collaboratore effettua attività di vendita, sia quella attraverso la quale il collaboratore eroga un servizio puro anche completamente sganciato dalla vendita di qualcosa. Peraltro l'Accordo collettivo dell'1.8.2013 si utilizza proprio la definizione usata dalla norma e il collaboratore viene definito come il soggetto che svolge "in modalità outbound le attività di vendita diretta di beni e di servizi e le attività a essa correlate e accessorie come la creazione di agenda per appuntamenti della forza vendita di prodotti e servizi propedeutica alla vendita stessa, nonché le attività di sollecito e recupero crediti e le attività a esse correlate".

Anche nella parte afferente il corrispettivo, l'Accordo predetto si riferisce al collaboratore che "svolga attività di vendita diretta di beni, servizi, agenda presa di appuntamenti, recupero crediti e ricerche di mercato...." Le parti sociali hanno quindi voluto riferirsi anche alle attività pure e semplici afferenti la fornitura di un servizio anche sganciato dalla vendita, come del resto non possono non essere il recupero credito, le ricerche di mercato, la creazione di un agenda presa appuntamento, enunciate a titolo esemplificativo dalla norma proprio al fine di fugare ogni dubbio al riguardo. Tutti gli Accordi successivi stipulati in materia di collaborazioni out bound si pongono in piena ed espressa continuità con le determinazioni e le intese già assunte proprio con l'Accordo iniziale del 1 agosto 2013; anche l'ultimo Accordo collettivo nazionale del 31 luglio 2017 (doc. 7) espressamente richiama l'Accordo del 2013 ("le parti confermano la volontà di realizzare un testo coordinato dell'Accordo 1 agosto 2013 e delle successive modifiche e integrazioni").

Il fatto che l'art. 61 DLgs n. 276/03 (richiamato dall'Accordo del 2013) sia stato successivamente abrogato non rileva ai fini di causa, atteso che l'Accordo del 2017 continua a prevedere il riferimento al "collaboratore che svolga attività di vendita diretta di beni, servizi, agenda presa di appuntamenti, recupero crediti e ricerche di mercato.... Dunque, secondo il tenore letterale dell'Accordo collettivo, rientra nella previsione contrattuale anche l'attività call center out bound di assistenza tecnica sganciata dalla vendita. Ne consegue quindi la scarsa rilevanza sul punto dell'assunto del resistente di aver svolto principalmente attività di call center out bound di assistenza tecnica e solo marginalmente di vendita di servizi. Infine, in relazione al trattamento economico corrisposto al resistente, deve rilevarsi l'infondatezza delle lamentale di quest'ultimo, secondo cui la società ricorrente non avrebbe in concreto applicato ai collaboratori i compensi previsti dalla contrattazione collettiva, ciò che conseguentemente trasformerebbe il contratto in una fattispecie di quelle di cui al comma 1 dell'art. 2 DLgs. 81/2015.

Invero l'art. 2 comma 2 DLgs. n. 81/2015 dispone che il comma 1 non trova applicazione alle collaborazioni "per le quali gli accordi collettivi nazioni stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione di particolari esigenze economico e produttive". Giova osservare che la norma non prevede una conversione del rapporto in altra tipologia contrattuale nell'ipotesi di non corretta applicazione dei compensi contrattuali. Pertanto in tali ipotesi si configurerebbe unicamente il diritto del collaboratore alle differenze retributive. Quanto al fatto che la ricorrente (...) avrebbe illegittimamente decurtato le pause volontarie, si deve rilevare che l'Accordo del 31 luglio 2017 (sub doc. 7 ric.), in materia di corrispettivo, al comma 2, sancisce espressamente che: "il livello retributivo orario è il minimo tabellare del 2 livello di inquadramento del CCNL TLC tempo per tempo vigente, rapportato alle ore di effettiva prestazione (ivi incluse le sospensioni richieste dall'azienda funzionali allo svolgimento dell 'attività di vendita, di recupero credito o di survey, le pause previste dalla legge, le attività preparatorie, il tempo di chiamata e le attività di after call work)".

Alla luce della contrattazione collettiva, quindi, il committente è tenuto a rendicontare unicamente il tempo di chiamata effettivo, comprensivo delle pause strettamente funzionali alla prestazione di cui sopra, ma non anche le pause volontarie che il collaboratore può decidere di fare quando crede ma che non sono funzionali strettamente all'attività. Alla luce di siffatti rilievi, in accoglimento del ricorso, devono quindi escludersi profili di illegittimità dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa intercorsi tra le parti.

Si impone pertanto il rigetto della domanda riconvenzionale. Ai sensi dell'art. 91 c.p.c., i resistenti in solido vanno condannati a rifondere alla ricorrente le spese di lite che, visto il DM n. 55/2014, si liquidano in € 4.417,00 per compensi di avvocato (aumentati ai sensi dell'art. 4 DM n. 55/2014), oltre rimborso spese generali del 15%, iva e cpa.

 

P.Q.M.

 

Disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione: in accoglimento del ricorso dichiara legittimi i rapporti di Collaborazione coordinata e continuativa intercorsi tra le parti. Dal 8.3.2016 al 31.5.2018 (...), dal 25.6.2016 al 30.6.2018 (...), dal 25.5.2016 al 30.6.2018 (...), dall'8.3.2016 al 30.06.2018 (...) dal 25.5.2016. Al 30.6.2018 (...).

Rigetta la domanda riconvenzionale.

Condanna in solido i resistenti a rifondere alla ricorrente le spese di lite che liquida in € 4.417,00 per compensi di avvocato, oltre rimborso spese generali del 15%, iva e cpa.