Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 aprile 2019, n. 10123

Tributi - ICI - Unità immobiliare destinata a casa di cura in regime di convenzione per lo svolgimento di attività sanitaria - Qualificazione di attività economica - Assoggettamento ad imposta

 

Fatto e diritto

 

Con sentenza nr. 13 depositata in data 27.2.2012 e non notificata la CTR Toscana rigettava l'appello proposto dal Comune di Arezzo per la riforma della pronuncia di primo grado della CTP di Arezzo, che aveva accolto il ricorso proposto dall'Istituto M. S. S.C. nei confronti del Comune di Arezzo avverso gli avvisi di accertamento ICI per gli anni 2000, 2001 e 2002 con i quali l'Amministrazione Comunale aveva contestato l'omesso versamento del tributo relativamente ad una unità immobiliare destinata a casa di cura in regime di convenzione per lo svolgimento di attività sanitaria.

La sentenza della CTR della Toscana rilevava che era pacifico tra le parti - il possesso da parte dell'Istituto M. S. del S.C. del requisito soggettivo necessario per poter usufruire dell'esenzione dal pagamento in base alle vigenti disposizioni legislative - . La pronuncia aggiungeva che risultava accertato che la massima parte delle prestazioni erano svolte dal suddetto Istituto in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale -ed in quanto tali non erano ostative per dichiarare non dovuta l’ICI sugli immobili in cui tale attività si esplica - .

Ciò posto, la decisione impugnata pare ritenere che in una situazione quale quella di specie - di prevalenza ma non di esclusività delle prestazioni svolte in regime di convenzione - l'esenzione dall'ICI spetta , secondo l'articolo 39, comma 1 della legge 248 del 2006, solo nel caso in cui lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 7, comma 1 lettera i) del decreto legislativo 504 del 1992 non abbia natura commerciale.

Nella specie, era stato accertato, sulla scorta della documentazione prodotta, che l'Istituzione religiosa aveva svolto una quantità non indifferente di prestazioni sanitarie al di sopra del tetto finanziario concordato con la Usl nr. (...) di Arezzo - che non aveva formato oggetto di rimborso con riflessi negativi sui bilanci di esercizio risultati in deficit.

Da questo dato la Commissione tributaria regionale ha dedotto che l'attività svolta presentava quei caratteri di solidarietà sociale indicati nella Circolare Ministeriale n 2/Df del 26.1.2009 secondo la quale non è configurabile la natura commerciale in assenza di elementi tipici dell'economia di mercato.

Avverso tale pronuncia il Comune di Arezzo ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso l'Istituto religioso e successivo deposito di memoria integrativa.

In particolare il Comune ricorrente ha denunciato la violazione e la falsa applicazione dell'art. 7 comma 1 lett. i) del D.lgs 504/92 in relazione all’art. 360, primo comma nr 3 c.p.c.. dell'art. 16 lett. a) e b) della I. 222/85, dell'art. 7 comma 2 bis del D.L. 203/05, dell’art. 39 comma 1 del D.L. 223/2006, degli art. 55, 73 e 143 del DPR 917/86 e dell'art. 2195 c.c.

Ha ribadito la natura commerciale della attività propria della casa di cura gestita dall'Istituto.

In questo senso ha osservato che l'attività sanitaria svolta all'interno di una casa di cura in quanto diretta alla produzione di beni e servizi dovrebbe essere correttamente inquadrata nell'ambito di quelle che rivestono carattere commerciale.

Il motivo nelle sue molteplici articolazioni prescindendo dalla superfluità e dalla inconferenza di talune delle argomentazioni esposte a suo sostegno, è nella sostanza fondato.

In primo luogo vanno esclusi i profili di inammissibilità dedotti dalla controricorrente in relazione ad una pretesa contestazione che investe valutazioni di fatto.

Infatti a prescindere dalla genericità dell'espressione impiegata ("una quantità non indifferente 'di prestazioni sanitarie al di sopra del tetto concordato con l'unità sanitaria non rimborsate e quindi gratuite - ) la critica mossa dal ricorrente investe unicamente la qualificazione giuridica dell'attività svolta.

Va parimenti rigettata l'eccezione di inammissibilità formulata dalla controricorrente la quale con la memoria integrativa deduce una pretesa violazione del principio dell'autosufficienza ex art. 366 c.p.c. dovendosi ritenere ben enucleate le tematiche sottoposte all'attenzione della Corte.

Ai fini di un corretto inquadramento della fattispecie in esame appare opportuno svolgere un preliminare chiarimento.

Il riconoscimento del diritto all'esenzione prevista dall'art. 7 comma 1 lett. i) del decreto nr. 504/1992 (che nella fattispecie va applicato, ratione temporis, nella sua formulazione originaria: v. Cass. 24500 del 2009, Cass. 14530 del 2010, Cass. 14795 del 2015) secondo l'orientamento ormai consolidato di questa Corte (v. tra le più recenti, Cass. n. 14226 del 2015; 13970 del 2016) è condizionato alla verifica di due requisiti che debbono necessariamente coesistere uno soggettivo, costituito dal possesso dell'immobile da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma lett. c). cui il citato art. 7 rinvia) ed un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell'immobile di una o più delle attività indicate dalla norma (immobili destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'articolo 16, lettera a) della legge 20 maggio 1985, n. 222) dette attività, il cui accertamento deve essere operato in concreto, verificando rigorosamente che l'attività cui l'immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un'attività commerciale (v. tra le più recenti, Cass. n. 14226 del 2015; 13970 del 2016). Occorre inoltre tenere nel debito conto la decisione adottata dalla Commissione dell'Unione Europea del 19.12.2012 la quale, nel valutare se il decreto legislativo nr. 504/1992 art. 7 comma 1, lett. i) in tema di esenzione ICI, concretizzasse una forma di aiuto di Stato in violazione del diritto dell'Unione, ha precisato che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica, cioè offrire beni o servizi sul mercato.

La Commissione ha infatti osservato che anche laddove una attività abbia finalità sociale questa non è sufficiente ad escluderne la classificazione di attività economica.

L'unico criterio rilevante al riguardo è se il soggetto interessato svolga o meno un'attività economica sottolineando che l'applicazione della normativa sugli aiuti di Stato non dipende dal fatto che un soggetto venga costituito per conseguire utili, poiché anche un ente senza fine di lucro può offrire beni e servizi sul mercato.

Orbene rientra nella nozione di attività svolta con modalità commerciali - ovvero nella nozione di attività economica, secondo il linguaggio della Commissione UE: - qualunque attività organizzata per la prestazione di servizi a terzi dietro pagamento - da parte dell'utente o di altri, compresi lo Stato, le regioni o altre pubbliche amministrazioni - di un corrispettivo funzionale ed adeguato alla copertura dei costi e alla remunerazione dei fattori della produzione (ivi compresi i capitali investiti). Di converso non è commerciale l'attività di prestazione di servizi che vengano offerti gratuitamente, ovvero dietro pagamento di corrispettivi o contributi meramente simbolici o comunque radicalmente inferiori ai costi di produzione.

Tali principi devono essere applicati anche con riferimento all'attività sanitaria convenzionata .

Infatti anche in questo settore non vi è alcun profilo che consenta di affermare che l'attività sia svolta in forma gratuita o semigratuita, dovendosi ritenere che le tariffe convenzionali siano comunque. dirette a coprire i costi e a remunerare i fattori della produzione. salvo che in ragione di specifiche circostanze fattuali aventi, nel caso di specie assenti. possa dirsi che l'immobile viene destinato ad attività sanitaria svolta con modalità non commerciali escludendo la logica del profitto e del mercato.

Né assume rilievo ai fini in questione l'osservazione che la prestazione sanitaria sia stata svolta in un mercato non concorrenziale dal momento che la qualifica dell'attività non dipende dal suo essere esercitata in regime di libero mercato.

Né è dirimente il fatto che l'attività sanitaria svolta in regime di convenzionamento si inserisca nel servizio pubblico (Servizio Sanitario Nazionale) gestito direttamente da una Istituzione pubblica.

Il Servizio Sanitario infatti è attività pubblica ed eventualmente gratuita per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione ed i suoi rapporti con il cittadino utente ma nel caso in cui la P.A. si avvalga dell'opera di privati l'attività svolta da questi ultimi è attività commerciale ove sia prestata dietro corrispettivi pattuiti o stabiliti in funzione dei costi e dell'adeguata remunerazione dei fattori di produzione dei servizi demandati al privato stesso.

Non può avere effetto vincolante la contraria qualificazione enunciata nella circolare 26.1.2009 secondo cui 'lo svolgimento di attività assistenziali e attività sanitarie si ritiene effettuato con modalità non commerciali quando le stesse (...) sono accreditate, e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato le Regioni e gli enti locali e sono svolte (...) in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico trattandosi di una circolare amministrativa che ha una valenza interna e non può influire sulla qualificazione giuridica dell'attività che è invece demandata al giudice.

Per completezza di esposizione può osservarsi che nessun valore vincolante può essere attribuito sul punto al decreto del Ministero del Ministero dell'Economia e delle Finanze n. 200 del 19 novembre 2012, articolo 4, comma 2.

Esso non ha valore di legge, tanto più che lo stesso appare, per questa parte, essere stato emanato ultra vires, dato che l'articolo 91 bis del decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1 non demandava al decreto ministeriale il compito di definire autoritativamente il concetto di "modalità non commerciali - ma solo il compito di stabilire modalità e procedure da seguire in caso di utilizzazione mista di un immobile, al fine di individuare il rapporto percentuale tra utilizzazione commerciale e utilizzazione non commerciale dell'immobile stesso.

Si tratta comunque di una normativa che, quale che ne sia l'efficacia, è posteriore al periodi cui si riferiscono gli accertamento qui in discussione.

Alla luce di tali considerazioni non assume valenza significativa ai fini dell'inquadramento il riferimento da parte della Commissione tributaria regionale Toscana allo svolgimento da parte dell'Istituzione religiosa di "una quantità non indifferente" di prestazioni sanitarie al di sopra del tetto concordato con l'unità sanitaria, come tali non rimborsate e quindi gratuite.

Infatti a prescindere dall'indeterminatezza del dato, va osservato che tali prestazioni appaiono non essere state rimborsate per questioni contrattuali e non perché svolte a titolo gratuito .

Neppure può essere valorizzato il fatto che l'esercizio si sia chiuso in termini negativi essendo di tutta evidenza che questo non è elemento che consente di escludere la natura commerciale dell'attività.che rimane tale anche se non produce per qualche contingenza, utili.

Il ricorso merita quindi accoglimento e può essere deciso nel merito rigettando l'originario ricorso del contribuente non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto art. 384, secondo comma.

Le spese delle precedenti fasi di merito vanno compensate in ragione del progressivo consolidarsi della giurisprudenza richiamata.

Gli oneri processuali di questa fase invece vanno posti a carico dell'Istituto controricorrente secondo il principio della soccombenza e liquidate in dispositivo in base si criteri del D.M. 37/2018.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l'originario ricorso del contribuente che lo condanna al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di € 5.000,00 per compensi oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge; dichiara compensate le spese del giudizio di merito.