Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 febbraio 2019, n. 3749

Tributi - IVA - Importazioni - Gruppo di società - Applicazione nel sistema giuridico italiano della disciplina fiscale del Regno Unito, fondata sulle previsioni della direttiva europea IVA - Illegittimità

 

Rilevato che

 

- con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l'appello del contribuente sancendo l'illegittimità dell'avviso di accertamento per IVA, IRPEG ed IRAP 2001 a suo tempo impugnato;

- avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione l'Amministrazione Finanziaria con atto affidato a un unico motivo; il contribuente non ha svolto attività difensiva nel presente grado di giudizio;

 

Considerato che

 

- va premesso, quanto all'ammissibilità del ricorso, che con l'ordinanza del 18 aprile 2012 in atti questa Corte ha ritenuto, confermando il proprio orientamento sul punto, che (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 6587 del 2011; Cass., Sez. un., n. 17352 del 2009) in tema di notificazioni degli atti processuali qualora la notificazione dell’atto da effettuarsi entro un termine perentorio non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l'onere

- anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio - di richiedere all'ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio;

- in tal caso, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto;

in seguito precisato da S.U. 14594/16 e nel caso concreto, rispettato

- ciò risolto, e ritenuta quindi valida la notifica del ricorso per cassazione, può questa Corte procedere all'esame del ricorso;

- con l'unico motivo l'Agenzia delle Entrate denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 19, 73 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all'art. 4 della direttiva 388/77 CEE e all'art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere erroneamente la CTR ritenuto di fare applicazione nel sistema giuridico italiano della disciplina fiscale del Regno Unito, in quanto ritenuta fondata sulle previsioni della direttiva sopra citata e corrispondente a quanto stabilito dall'art. 73 d.P.R. n. 633 del 1972, disposizione del diritto interno italiano, a nulla rilevando l'osservanza di altri obblighi al di fuori di tal disciplina normativa del Regno Unito;

- il motivo è fondato;

- è pacifico in atti che la società intimata non abbia mai azionato la procedura di diritto interno sopra richiamata, limitandosi, semmai, ad iscrivere nel proprio libro degli acquisti bollette doganali intestate ad altre società estere dalla stessa controllate per poi detrarre dall’IVA assolta sulle importazioni; orbene, è pur vero che l’art. 4 della sesta direttiva CEE consentiva ai singoli Paesi membri di considerare, ai fini IVA, un gruppo di società come unico soggetto passivo, ma è altrettanto vero che l'avere il Regno Unito introdotto un tal regime nel proprio sistema giuridico interno non consente di poterlo automaticamente estendere all'Italia; nel nostro sistema giuridico, invece, l'art. 73 d.P.R. n. 633/1972 ha previsto anzitutto - unica disposizione attuativa della Direttiva alla quale si deve nel presente caso far riferimento - che le società facenti parte di un gruppo costituiscano ciascuno un autonomo soggetto passivo ai fini IVA, mentre la società capogruppo può unicamente presentare, oltre alla propria dichiarazione IVA, anche quelle delle società controllate, effettuando i versamenti periodici sulla base di quanto dovuto dall'intero gruppo per poi operare, alla fine dell'anno, gli eventuali versamenti o chiedendo il rimborso spettante in restituzione;

- deve quindi escludersi che le società inglesi appartenenti ad un gruppo possano considerarsi - nelle relazioni con il sistema tributario v. per Cass. 20708/14 come unico soggetto passivo; ne deriva che il diritto alla detrazione dell'IVA spetta solo alla società importatrice, la quale poteva detrarre l'IVA portata dalla bolletta doganale alla stessa intestata e sempre che fosse dotata di partita IVA, in mancanza della quale doveva considerarsi consumatore finale;

- per quanto quindi le società menzionate nelle bolle di importazione fossero tutte parte di un gruppo di società, secondo la disciplina UK costituito come single taxable person ai sensi dell'art. 4 comma 4 della dir.CEE 388/1977, nondimeno la CTR ha errato nel ritenere illegittima la pretesa fiscale avanzata nei confronti della società capogruppo;

- l'elemento di fondo del ragionamento del secondo giudice consiste infatti nel ritenere che tal soggetto (come avviene per la disciplina di siffatti gruppi secondo il diritto interno UK) in quanto dotato di un'unica partita IVA sia munito di soggettività tributaria autonoma nelle relazioni con il sistema tributario italiano in forza dell'art. 4 della sesta direttiva CEE e dell'art. 73 dpr n. 633/1972; tal affermazione non è corretta in diritto;

- il sistema eurounitario ha invero consentito agli Stati membri di considerare come un unico soggetto passivo soggetti passivi distinti che soddisfacevano i presupposti ivi elencati in forza dell'art. 4 paragrafo 4, secondo comma della sesta direttiva CEE secondo il quale "ogni Stato membro ha la facoltà di considerare come unico soggetto passivo le persone residenti all'interno ' del paese che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi"; detta disciplina è stata ribadita ed in parte integrata dall'art. 11 della più recente Direttiva 2006/112 CEE secondo cui: «previa consultazione del comitato consultivo dell'imposta sul valore aggiunto (in seguito denominato "comitato IVA"), ogni Stato membro può considerare come un unico soggetto passivo le persone stabilite nel territorio dello stesso Stato membro che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi»;

- tale regime costituisce per i singoli Stati membri un'opzione facoltativa, ben scolpita dall'utilizzazione delle espressioni "può" nell'art. 4 della sesta direttiva cit. ed "ha la facoltà" nell'art. 11 della Direttiva 112/2006/CEE, che può essere scelta da uno Stato membro secondo modalità che vanno previamente messe a conoscenza del comitato IVA;

- proprio sulla portata di detta disciplina proprio questa Corte (Cass. ord. n. 5503/2007) ha sollecitato alla Corte di giustizia una richiesta di chiarimenti relativa alla portata del ricordato art. 4, alla quale è seguita la sentenza CGUE 22 maggio 2008 nel procedimento C - 162/07, Ampliscientifica; la Corte di Lussemburgo ha risposto chiarendo che l'art. 4 n. 4 della sesta direttiva CEE"...può trovare applicazione solamente in seguito a consultazione del comitato consultivo IVA", e dando atto che rispetto al decreto del 1979, la Repubblica italiana non aveva proceduto a tale consultazione. Nella stessa occasione il giudice di Lussemburgo ha precisato che "... l'attuazione del regime previsto dall'art. 4, n. 4, secondo comma, della sesta direttiva implica che la normativa nazionale adottata sul fondamento di tale disposizione autorizzi i soggetti, segnatamente le società, caratterizzati da vincoli di carattere finanziario, economico e organizzativo, a non essere più considerati quali soggetti passivi distinti ai fini dell'IVA per essere considerati quale unico soggetto passivo.";

- da quanto sopra deriva che non esiste, all'interno del medesimo art. 4 n. 4, un obbligo degli Stati ad attuare il regime in tema di IVA di gruppo, laddove si scrive che solo "...qualora uno Stato membro applichi tale disposizione, il soggetto o i soggetti giuridicamente dipendenti ai sensi della disposizione medesima non possono essere considerati soggetti passivi ai sensi dell'art. 4, n. 1, della sesta direttiva"; pertanto, secondo il Giudice eurounitario, in tanto l'assimilazione ad un soggetto passivo unico esclude che detti soggetti giuridicamente dipendenti continuino a presentare separatamente dichiarazioni IVA e continuino ad essere individuati, tanto all'interno quanto all'esterno del loro gruppo, quali soggetti passivi, in quanto i singoli Stati membri abbiano deciso di seguire la procedura di attuazione in tema di IVA di gruppo prevista dall'art. 4 cit.;

- è quindi diretta conseguenza di quanto sopra il fatto che la disciplina eurounitaria prevista dall'art. 4 cit. non è di efficacia immediata e diretta negli ordinamenti dei singoli Paesi membri dell'Unione, potendo ciascun ordinamento nazionale adottare o meno una disciplina compatibile con l'art.4, seguendo le indicazioni contenute nella stessa disposizione; d'altronde al luglio 2009, erano stati solo 15 Paesi ad introdurre una disciplina sull’IVA di gruppo secondo le indicazioni contemplate dall'art. 4 della sesta direttiva CEE e dall'art. 11 della direttiva CE n. 112/2006;

- inoltre, risulta indicativa dell'insussistenza dell'obbligo in parola anche la circostanza che sono ben conosciute da tempo dalle istituzioni comunitarie " ...le notevoli differenze fra i diversi regimi di IVA di gruppo attuati negli Stati membri" (Comunicazione del Parlamento europeo del 2 luglio 2009 - COM 2009-325, p.l); anche in forza di tal elemento di fatto, non poteva né si può, all'evidenza, sostenere che la disciplina di attuazione prescelta da un singolo Stato possa trovare applicazione in un ordinamento giuridico interno diverso ed autonomo, anche se sottordinato in forza dei principi dei Trattati, rispetto a quello eurounitario, da quello in cui la normativa è stata attuata (Cass. Sent. Sez. 5 Num. 19740 Anno 2013);

- è infatti prerogativa dello stesso legislatore eurounitario, in una prospettiva che è rivolta a fissare delle regole "minime" di armonizzazione salvaguardando le discipline interne spesso caratterizzate da notevole disarmonia, a trovare un punto di equilibrio fra regime comunitario e regime interno teso a realizzare non un'uniformazione totale quanto un sistema armonizzato che consente diversità di regimi in talune materie; questo è, dunque, il caso dell'IVA di Gruppo che in tanto consente ai singoli Stati di adottare una disciplina in deroga alle regole precettive contemplate a livello comunitario in materia di soggettività passiva ai fini IVA, in quanto siano rispettati i meccanismi voluti dallo stesso legislatore, appunto imperniati sulla consultazione preliminare con il comitato consultivo IVA;

- Tali argomenti consentono quindi di concludere per l'erroneità in diritto della decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la disciplina UK in tema di Iva di gruppo potesse operare per le operazioni di importazioni compiute dalla società capogruppo in Italia, risultando dette operazioni soggette alla disciplina interna in materia di IVA;

- questa Corte (Cass. sent. n. 6105/2009) ha del resto già ritenuto, secondo orientamento al quale si intende nella presente sede aderire, che l'art. 73 comma 3 d.p.r. 633 del 1972 non può essere considerato un recepimento del modello comunitario in quanto "...se si ritenesse la disciplina dettata col d.m. del 13 dicembre 1979 una trasposizione dell'art. 4, comma 1, n. 4 della sesta direttiva, tale normativa non potrebbe trovare applicazione. Si tratterebbe, infatti, di un diritto (e cioè quello di espletare le formalità in materia di IVA con i diritti conseguenti, e soprattutto quello di detrazione, da parte dì un soggetto diverso dell'ordinario debitore d'imposta) che non potrebbe fondarsi sulla norma della direttiva, giacché questa non è di immediata applicazione, essendo condizionata al previo interpello del comitato consultivo IVA. In tale ipotesi, infatti, trattandosi dell'esercizio di un diritto, non si verificherebbe alcun aggravamento degli obblighi fiscali del contribuente (quale potrebbe verificarsi nel caso di un contrasto tra disciplina nazionale e norma di una direttiva incondizionata), e la disciplina nazionale non potrebbe trovare applicazione".

- nella medesima circostanza questa Corte, oltre a dare atto che l'Italia non ha sperimentato il preventivo ricorso alla consultazione preventiva presso il comitato IVA ha pure ritenuto che "il regime in contestazione non costituisce una misura di trasposizione della direttiva, non dando vita ad una vicenda giuridica nella quale la società controllata perde totalmente la sua qualità di soggetto passivo d'imposta." Inoltre, nella Comunicazione della Commissione UE del 2 luglio 2009 l'Italia non è stata indicata fra i soggetti che hanno attuato l'art. 4 della sesta direttiva e l'art. 11 della dir. 112/2006 CE, che dal ricitato art. 4 discende. Deve dunque ritenersi che la società controllante, sostituendosi alle controllate, non aveva titolo a corrispondere i diritti di confine e l'IVA all'importazione. Alle conclusioni qui rassegnate non sembrano ostare né le sentenze CGUE (sent. 08/05/2008, Ecotrade, Causa C-96/07, (cause riunite C-95/07, C-96/07); sent. (Terza Sezione) 30/09/2010, Uszodaépitó kft contro APEH Kòzponti Hivatal Hatósàgi Foosztàly, Causa C-392/09) rese in contesti diversi e in presenza di fattispecie non sovrapponibili a quelle che hanno caratterizzato l'odierno procedimento nel quale non è in discussione l'esistenza di un mero errore di carattere formale quanto l'esistenza stessa del diritto alla detrazione da parte di soggetto diverso dal titolare della licenza di importazione. Parimenti irrilevante sembra il richiamo al principio di neutralità dell'IVA valendo le medesime considerazioni appena esposte. Devesi infatti ritenere che la volontaria utilizzazione di documentazione afferente ad un'importazione compiuta dalla società controllata da parte della controllante in difformità alla disciplina e degli obblighi nascenti dalla normativa comunitaria ed interna esclude la situazione di buona fede in capo alla controllante e della relativa tutela che l'ordinamento comunitario appresta a tale posizione (sul punto CGUE sent. 6/07/2009, in cause riunite C-439/04 e C- 440/04 e Corte cass. n. 5912/2010);

- inoltre, osserva la Corte come l'adempimento di un debito fiscale altrui, in assenza di una disciplina interna che autorizzi il riconoscimento del sistema della c.d. IVA di gruppo, porrebbe in discussione il requisito della inerenza rispetto al pagamento effettuato dalla controllante in favore della società controllata, se è vero che "il diritto alla detrazione non sorge comunque per il solo fatto dell'avvenuta corresponsione dell'imposta formalmente indicata in fattura richiedendosi, come è noto, l'inerenza all'impresa, requisito mancante in relazione all'IVA corrisposta al soggetto interposto, trattandosi di costo non inerente all'attività istituzionale dell'impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza." (cosi Corte Cass. n. 735 del 19/01/2010);

- alla luce della questione esaminata, ritiene la Corte che "l'art. 4 della sesta direttiva CEE consentiva ai singoli Paesi membri di considerare, ai fini IVA, un gruppo di società come unico soggetto passivo, ma il fatto che l'Inghilterra avesse deciso di applicare un simile regime non ne autorizza l'estensione all'Italia. In tema di IVA, quindi, deve escludersi che le società inglesi appartenenti ad un gruppo possano essere considerate in Italia come unico soggetto passivo; ne discende che al rappresentante fiscale della società capogruppo spetta la detrazione dell'IVA derivante dalle proprie operazioni, a nulla rilevando che le società menzionate nella documentazione relativa agli acquisti siano erano tutte parte di un gruppo di società - delle quali la contribuente è capogruppo - costituito come single taxable person ai sensi dell'art. 4 comma 4 della dir. CEE 388/1977 nel Regno Unito. E' ben vero che l'art. 4 paragrafo 4, secondo comma della sesta direttiva CEE prevede che ogni Stato membro ha la facoltà di considerare come unico soggetto passivo le persone residenti all'interno del paese che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi; tale regime costituisce però per i singoli Stati membri un'opzione facoltativa, chiaramente definita tale dall'utilizzazione del termine "può" della sesta direttiva e confermata ulteriormente dalla presenza dell' omologo termine "ha la facoltà" nell'art. 11 dir. 112/2006/CEE. Quando, infatti, la disciplina comunitaria lascia ai singoli Stati un certo margine di apprezzamento in ordine alle modalità di attuazione di una disposizione UE - che assume generalmente la veste formale della direttiva comunitaria - la normativa di trasposizione di un singolo Paese non è certo destinata ad operare al di fuori dei confini territoriali, ammettendo lo stesso legislatore proprio con l'utilizzo di tal fonte normativa che i diversi meccanismi di trasposizione potranno offrire meccanismi protettivi non omogenei nei singoli ordinamenti nazionali, a patto che gli stessi siano coordinati e conformi alle indicazioni minime fissate a livello comunitario e comunque siano conformi ai principi fondamentali dell'Unione. Conclusivamente, la disciplina interna, non abilita in alcun modo la società controllante a beneficiare della detrazione dell'IVA all'importazione per le operazioni poste in essere dalle società controllate, non avendo il legislatore interno italiano - a differenza di quello del Regno Unito - eliminato l'autonomia giuridica fra i soggetti facenti parte del gruppo ai fini degli obblighi scaturenti dalla disciplina in tema di IVA";

- sulla base delle sopra esposte considerazioni, in conclusione, la censura proposta dall'Agenzia delle Entrate merita accoglimento essendo la CTR incorsa nelle erronee valutazioni in diritto sopra evidenziate;

- infine, stante l'assenza di necessità di ulteriori valutazioni nel merito, la causa può decidersi con il rigetto del ricorso originario del contribuente;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; decidendo nel merito rigetta il ricorso originario del contribuente; liquida le spese in euro 4.100 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente.