Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE PALERMO - Sentenza 12 settembre 2018, n. 3767

COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI PALERMO - Sez. staccata di Catania - Sez.VI - Sentenza 12 settembre 2018, n. 3767

Agevolazioni fiscali - Credito d’imposta - Accertamento - Istanza di rimborso - Termini - Condono

 

Svolgimento del processo

 

Ricorre il sig. F.M., nei confronti dell'Agenzia delle Entrate, Ufficio di Modica, avverso l'atto di recupero del credito di imposta n.RJSCR0200001/2007, notificato in data 12/12/2007, con il quale l'Ufficio recupera il credito di imposta indebitamente utilizzato negli anni 2000 e 2001, a seguito di pvc redatto in data 12.10.2003 dal quale emerge che il contribuente ha utilizzato un credito di £. 16.142.000, maggiore di quello spettante in relazione a due dipendenti, l'uno non iscritto nelle liste di collocamento e l'altro licenziato nel periodo agevolato.

Deduce l'inesistenza della notifica; la nullità dell'atto impugnato in quanto si è avvalso della definizione automatica ex art. 9 L. n. 289/2002; l'intervenuta decadenza e nel merito l'infondatezza della pretesa in quanto il credito era stato legittimamente usufruito.

Si costituisce in giudizio l'Agenzia delle Entrate, Ufficio di Modica, insistendo nella pretesa, e deducendo in particolare che il comma 10 dell'art. 9 L. n. 289/2002 preclude l'accertamento dei debiti tributari dei contribuenti che hanno usufruito del condono, ma non dei crediti posti a base delle richieste di rimborso, richiamando sul punto l'ordinanza n. 340/05 della Corte Costituzionale. In ordine alla eccepita decadenza, rileva che nella fattispecie operava la proroga dei termini prevista dall'art. 10 della L. n. 289/2002.

La Commissione Tributaria Provinciale di Ragusa, con sentenza n. 367/02/11 del 16-21.06.2011, ha accolto il ricorso e compensato le spese.

Propone appello l'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Ragusa, deducendo l'illegittimità della sentenza per travisamento della normativa applicabile. Infatti, con l'invocato condono, il contribuente ha definito le maggiori imposte dovute, e difatti l'Ufficio non ha emesso alcun provvedimento di rigetto o di inammissibilità, mentre non poteva definire l'illegittimo utilizzo di un credito inesistente, che è disciplinato dall'art. 9 bis della L. n. 289/2002.

Si costituisce in giudizio il sig. F.M., deducendo che l'Ufficio, qualora la fattispecie fosse equiparabile all'omesso versamento, si sarebbe limitato all'iscrizione a ruolo e non a emettere un dettagliato atto di recupero equiparabile ad un accertamento. Osserva che il comma 9 del richiamato art. 9 letteralmente dispone la definizione automatica delle agevolazioni, ed insiste sulla decadenza, in quanto la proroga biennale prevista dall'art. 10 si applica solo ai contribuenti che non si sono avvalsi delle disposizioni contenute negli artt.7, 8 e 9 della stessa Legge, e quindi, al momento della notifica dell'atto impugnato, l'Ufficio era già decaduto. Reitera quindi per l'effetto devolutivo i motivi di ricorso e in via incidentale impugna il capo della sentenza relativo alle spese processuali.

 

Motivi della decisione

 

Osserva questo Collegio che l'appello è infondato, e va, conseguentemente, rigettato.

Da un lato, dopo lungo dibattito, con recente arresto le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 16692 del 6 luglio 2017), ha stabilito che se l'adesione del contribuente al condono fiscale elide, in tutto o in parte, il debito tributario, non opera sui crediti che il contribuente possa vantare nei confronti del Fisco, i quali restano soggetti al potere di accertamento e di contestazione dell'ufficio.

E tuttavia, nella fattispecie l'Ufficio è decaduto dalla pretesa in quanto, avendo il ricorrente aderito al condono ex art.9 comma 10 della L. n. 289/2002, non opera nei suoi confronti la proroga biennale prevista dall'art. 10 della legge citata, come esattamente statuito dal Giudice ibleo.

Argomentando infatti da Cassazione Civile, 17 gennaio 2018, n. 1007, "questa Corte ....ha già avuto modo di statuire che "in tema di condono fiscale, la proroga biennale dei termini di accertamento, accordata agli uffici finanziari dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 10 opera, «in assenza di deroghe contenute nella legge» sia nel caso in cui il contribuente non abbia inteso avvalersi delle disposizioni di favore di cui alla suddetta legge, pur avendovi astrattamente diritto, sia nel caso in cui non abbia potuto farlo, perché raggiunto da un avviso di accertamento notificatogli prima dell'entrata in vigore della legge" (3782/16; 8142/2016; 16613/15; 22921/14)".

Diversamente argomentando, il contribuente rimarrebbe esposto all'incertezza in ordine alla definizione dei propri rapporti tributari.

In definitiva, la proroga opera solo per i soggetti che non abbiano ritenuto di avvalersi delle disposizioni agevolative.

A prescindere dalla chiaro orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale il Collegio non ritiene di discostarsi, occorre rilevare che in ordine alla dichiarata decadenza l'Ufficio non ha appellato la sentenza di primo grado, e pertanto sul punto si è formato il giudicato.

Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo, mentre appare ragionevole la compensazione operata in primo grado, atteso il dibattito giurisprudenziale sulla materia, risolto con sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione successiva alla pubblicazione della sentenza di primo grado.

 

P.Q.M.

 

Rigetta l'appello. Condanna l'Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del grado, che liquida in € 1.500,00 oltre accessori di legge.