Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 dicembre 2017, n. 30820

Tributi - ICI - Esenzione - Art. 7, co. 1, lettera i), D.Lgs. n. 504/1992 - Condizione - Utilizzazione diretta del bene da parte dell'ente possessore

 

Svolgimento del processo

 

La Famiglia Discepoli Istituto Religioso propone ricorso per cassazione, notificato in data 9.9.2010 affidato a tre motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale dell'Umbria n. 24/04/10, del 22.2.2010 depositata il 15 marzo 2013, la quale rigettava l’appello dalla medesima proposto contro la decisione di quella provinciale n. 100/02/2008 notificata il 29.7.2008.

La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di accertamento per ICI anni 2002, 2003, 2004 e 2005 relativo ad una unità immobiliare di proprietà dell'Istituto religioso sito in Orvieto (destinato a "chiesa, albergo, bar e ristorante ecc." foglio 153 particella 442) e affidato in gestione con apposito contratto di locazione - ad esclusione della chiesa destinata in maniera esclusiva al culto della Chiesa cattolica - alla società H.S. s.r.l. per l'attività di albergo, bare ristorante.

L'Istituto religioso, posto in evidenza che all'interno dell'immobile era ubicata una chiesa destinata in maniera esclusiva al culto della Chiesa cattolica, reclamava l'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lettera i), d.lgs. n. 504 del 1992, «secondo l'interpretazione autentica» fornita con il d.l. n. 203 del 2005, non potendo costituire ostacolo al riconoscimento di tale trattamento agevolato il fatto che per i servizi resi fossero previsti corrispettivi (trattandosi di attività svolte per fini sociali e non di profitto) né che l'immobile fosse stato locato a terzi (in quanto tanto l'Istituto aveva fatto non per trarne "guadagno", ma proventi da reinvestire integralmente nella realizzazione delle proprie finalità istituzionali).

Resisteva il Comune di Orvieto con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con i primi due motivi di ricorso che si possono trattare congiuntamente, si duole il ricorrente della violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. e l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360 n. 5 cpc, in quanto la CTR nulla avrebbe detto in ordine al fatto che parte dell'unità immobiliare in contestazione è utilizzata dalla stessa Amministrazione Comunale.

I motivi sono infondati.

2. La CTR ha rigettato l'appello evidenziando che l'esenzione compete solo nel caso di utilizzazione diretta dell'immobile da parte dell'ente per l'esercizio dell'attività religiosa e di culto.

L’orientamento di questa Corte è saldamente ancorato al concetto di utilizzazione diretta del bene da parte dell'ente possessore come condizione necessaria perché a quest'ultimo spetti il diritto all'esenzione prevista dall'art. 7, d.lgs. n. 504 del 1992, nel caso di esercizio delle attività considerate normativamente "esentabili".

È infatti, insegnamento di questa Corte, quello secondo cui, "In tema d'imposta comunale sugli immobili (ICI), l'esenzione dall'imposta che l'art. 7, comma 1, lett.i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, prevede per gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'art. 87, primo comma, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917 (enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato e non aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio d'attività commerciali), purché destinati esclusivamente - fra l'altro - allo "svolgimento d'attività assistenziali", esige la duplice condizione dell'utilizzazione diretta degli immobili da parte dell'ente possessore e dell'esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito.

L'esenzione non spetta, pertanto, nel caso di utilizzazione indiretta, ancorché assistita da finalità di pubblico interesse".(cfr Cass. 18838/2006, 8496/2010, 2821/2012, più recentemente, Cass. n. 10483/2016).

in particolare, secondo Cass. n. 4502/2012 "In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l'esenzione prevista dall'art. 7, comma primo, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è subordinata alla compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell'immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, e di un requisito soggettivo, costituito dal diretto svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (art. 87, comma primo, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato art. 7 rinvia). La sussistenza del requisito oggettivo deve essere accertata in concreto, verificando che l'attività cui l'immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un'attività commerciale".

Nel caso di specie, l'assunto difensivo della ricorrente, che mira a interpretare il disposto dell'art. 7 comma 1 lett. i) del d.lgs. n. 504/92, nel senso che anche un "utilizzo indiretto" attraverso un diverso soggetto giuridico, ancorché anch'esso senza finalità di lucro, rientrerebbe nel perimetro normativo dell'esenzione fiscale richiesta, non può essere accolta.

Non ignora il collegio la pronuncia di Cass. n. 25508/15 che a (in cui, tuttavia, tra i due enti - comodante e comodatario - esisteva "un rapporto di stretta strumentalità nella realizzazione dei suddetti compiti, che autorizza a ritenere una compenetrazione tra di essi e a configurarli come realizzatori di una medesima "architettura strutturale", circostanza nella specie non sussistente. Ciò alla luce del disposto degli artt. 52 e 59 comma 1 lett. c) del d.lgs. n. 446/97 (chiarito dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 429/2006), che consente ai comuni, previo regolamento di regolare l'esenzione oggetto nel presente giudizio, nel senso di riconoscerla soltanto per i fabbricati utilizzati da enti non commerciali, a condizione che questi ultimi siano oltre che utilizzati anche posseduti dall'ente commerciale che ne fruisce, in ragione della titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale.

2.a. La questione relativa alla cosiddetta "dependance", appare invece del tutto nuova non essendo stato nemmeno indicato quando sia stata dedotta nelle pregresse fasi di merito e in quali atti difensivi.

3. Con il terzo motivo, l'Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare della interpretazione autentica della norma agevolativa data dal d.l. n. 203 del 2005.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha osservato che «in materia di ICI, l'esenzione di cui all'art. 7, comma 1, lett. i), d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, anche in base alla evoluzione di cui all'art. 7, comma 2 bis, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, conv. dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 (come sostituito dall'art. 39,comma 1, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), impone di considerare realizzate in senso non esclusivamente commerciale le attività sanitarie e assistenziali che, in ciascun ambito territoriale e secondo la normativa ivi vigente per le concrete modalità di svolgimento, non siano orientate alla realizzazione di profitti, senza che rilevi il mero fatto dell'esistenza di una convenzione pubblica alla base di tale attività.

Consegue che il contribuente ha l'onere di dimostrare l'esistenza, in concreto, dei requisiti dell'esenzione, mediante la prova che l'attività cui l'immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti (poiché di tipo assistenziale e sanitario), non sia svolta con le modalità di un'attività commerciale ed abbia quelle finalità solidaristiche alla base delle ragioni di esenzione, mentre spetta al giudice di merito l'obbligo di accertare in concreto le circostanze fattuali, senza far ricorso ad astrazioni argomentative» (Cass. n. 6711 del 2015).

Si tratta di posizioni già esaminate e decise in analoghe controversie tra le stesse parti (ordinanza n. 23584/2011; ordinanza n. 19016/2015 e sent. n. 2099/2017.

Nel caso di specie è indiscusso, che l'immobile di proprietà dell'Istituto sia stato locato a terzi, nella specie una società che gestisce l'albergo e il ristorante, situazione che esclude possa spettare l'esenzione reclamata.

4) Il ricorso deve essere respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo in favore del Comune di Orvieto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al rimborso delle spese a favore del Comune di Orvieto, che liquida in complessivi € 7.000,00 per onorario, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.