Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE BOLOGNA - Sentenza 28 aprile 2017, n. 1415

Tributi - Imposta di registro - Cessione d’azienda - Determinazione valore imponibile - Contratto di mutuo non registrato - Assenza di data certa - Passività non deducibile

 

Ritenuto in fatto

 

Con avviso di rettifica e liquidazione, l’Agenzia delle Entrate - Direzione provinciale di Cento rideterminava, ai sensi degli artt. 51 e 52, d.P.R. n. 131/1986, i valori relativi alla cessione, da parte della società L.Z.P. Spa, di un ramo d’azienda comprendente tutti i beni costituenti il comparto commerciale del marchio "L.Z.P. materie plastiche" che contraddistingue una linea di prodotti plastici speciali, ivi compresa l’organizzazione di vendita.

Il prezzo della cessione, determinato in euro 200.000,00 al momento della registrazione dell’atto a rogito notaio G. dell’11/12/2007, era rideterminato dall’Agenzia in euro 700.000 posto che, a dire dell’ufficio, non poteva essere confermato il valore della passività indicata in euro 500.000.

L’esclusione era motivata dalla circostanza che non risultavano agli atti gli estremi del contratto di mutuo e che lo stesso non era inerente all’attività del ramo di azienda ceduto: il mutuo è stato stipulato il 25 settembre 2007, appena due mesi prima della cessione, al fine di costituire una posta passiva in capo al patrimonio aziendale, operazione quest’ultima ritenuta poco credibile dall’ufficio e realizzata al solo scopo di abbattere la base imponibile ai fini del computo dell’imposta di registro.

Nel ricorso innanzi alla Commissione di primo grado di Ferrara si adduceva il difetto di motivazione dell’accertamento, non sorretto dalla locuzione "poco credibile" dell’illegittimità della pretesa dell’ufficio, sia perché il contratto di mutuo non deve essere obbligatoriamente registrato, sia perché nella contabilità aziendale era ostensibile la fattura n. 1231/08, di euro 700.000 più Iva, a carico della società D. srl, avente per oggetto il corrispettivo dell’utilizzo del marchio.

L’accollo del mutuo in capo alla cessionaria è motivato dalla circostanza che il sodalizio, per poter decollare, s’abbisognava di un sostegno finanziario altrimenti non acquisibile direttamente dalla società D. srl. L’inerenza era giustificata dall’esigenza di costituire una base economica, alla data di nascita del nuovo ente, che è stato poi l’elemento indefettibile del ramo d’azienda.

L’accollo del mutuo avrebbe perciò costituito la premessa strategica della cessionaria per acquisire elementi aziendali attivi, sostenibili dal correlato indebitamento ottenuto grazie la premessa solvibilità della società cedente che, all’epoca, godeva in ambito bancario. Il denunciato "breve spazio tempo" rilevato dall’Agenzia tra l’acquisizione del prestito e la cessione del ramo di azienda, non poteva costituire elemento dirimente e conferente con le motivazioni addotte.

L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio chiedendo conferma del proprio operato e adducendo l’inconferenza delle giustificazioni addotte da parte ricorrente circa l’inerenza del mutuo perché non sorretta da elementi oggettivi certi verificabili: anche a voler seguire il percorso giuridico-economico indicato dalla ricorrente a conforto della necessità strategica del mutuo, tale circostanza avrebbe potuto essere agevolmente superata, ad avviso dell’ufficio, con un supporto di una semplice garanzia da parte della società L.Z.P. Spa a favore della concessionaria in funzione dell’assunzione del contratto di mutuo in prima persona.

Di fatto non esisteva alcuna relazione ed inerenza tra le attività e la passività patrimoniale cedute. Il breve lasso di tempo (46 giorni) tra l’accensione del mutuo e la cessione del ramo d’azienda non può essere un elemento conferente, ma costituisce una "spia d’allarme" per accertare un comportamento elusivo posto in essere al solo scopo di conseguire un indebito risparmio di imposta.

Con la sentenza in epigrafe la Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso.

La Commissione, in particolare, riteneva infondata l’eccezione di difetto di motivazione, ma accoglieva la censura di inesistenza dell’elusione fiscale poiché il risparmio fiscale, nel quadro dell’art. 37 bis, d.P.R. n. 600/1973, deve essere considerato una valida ragione economica della scelta imprenditoriale se obiettivamente giustificato dalla cosiddetta "tax planning".

Ad avviso della Commissione, parte ricorrente aveva giustificato l’inerenza dell’operazione in ragione di un’esigenza economico-finanziaria, a fronte della quale le eccezioni mosse dall’ufficio non erano sufficienti per comprovare l’esistenza dell’elusione.

L’ufficio appella chiedendo conferma del proprio operato.

 

Considerato in diritto

 

La sentenza impugnata ha accolto il ricorso proposto da L.Z.P. s.p.a. sull’assunto che l’accordo di joint-venture fra due società non possa essere oggettivamente considerato come elusivo per il solo fatto che persegua finalità indirizzate all’economia di mercato: l’inerenza non deve essere riferita all’oggetto finale perseguito e, pertanto, le passività possono essere collocate in testa alla società costituita anche se sopportate dalle società partecipanti. L’esigenza degli accordi non può essere finalizzata al solo scopo del risparmio fiscale, ma dalla condivisione di progetti industriali la cui realizzazione richiede il possesso di tecnologia che spesso manca in uno solo dei contraenti. L’inerenza è soddisfatta quando il costo sostenuto sia correlato, anche in senso ampio, all’impresa in quanto tale e lo stesso costo sia stato sostenuto al fine della produzione di utili.

L’onere della prova per dimostrare il comportamento elusivo rimane a carico dell’Amministrazione finanziaria mentre al contribuente spetta l’onere di dimostrare e motivare l’esigenza di ragioni economiche che possono concretamente giustificare l’operazione indagata.

Nel caso di specie la sentenza impugnata ha ritenuto che parte ricorrente abbia motivato e giustificato l’inerenza dell’operazione in ragione di un’esigenza economico-finanziaria: al contrario, le eccezioni mosse dall’Agenzia non sono state considerate sufficientemente suffragate da una dimostrazione certa e probante in relazione all’ipolizzata elusione.

Nell’appello l’Agenzia afferma che i primi giudici non hanno neanche analizzato la normativa in materia di Imposta di registro sulla valutazione delle aziende e gli articoli del codice civile cui la stessa rinvia.

Hanno invece ritenuto giustificata l’esigenza economico-finanziaria sostenuta dall’avversa difesa (che sarebbe stato, cioè, necessario costituire una dote in favore della nuova società da parte della cedente L.Z.P.) e hanno escluso che le argomentazioni dell’ufficio fossero probanti, senza però spiegarne i motivi, pur avendo l’Agenzia: a) dimostrato che non esiste un documento certo sulla data sull’esistenza del mutuo chirografario; b) evidenziato che non rientra nella logica commerciale contrarre una passività prima di cedere il ramo aziendale con accollo del mutuo a carico del cessionario; c) asserito che l’unica ragione per effettuare una simile operazione è quella di diminuire il valore dell’azienda e ottenere un maggior risparmio di imposta possibile.

Ad avviso del Collegio l’appello è fondato nella parte in cui afferma che i primi giudici non avrebbero fatto applicazione delle disposizioni fiscali e civilistiche in tema di Imposta di registro nel verificare l’eventuale inerenza del debito.

Correttamente l’ufficio afferma che a mente dell’art. 51, quarto comma, d.P.R. n. 131/1986, le passività in grado di ridurre la base imponibile devono esistere in modo inequivocabile.

Da qui la necessità della loro dimostrazione da atti aventi data certa secondo i criteri da utilizzare per la valutazione delle aziende e per il controllo dei valori dichiarati dai contraenti nell’ambito della cessione d’azienda. Se così non fosse, sarebbe possibile detrarre a proprio piacimento dei beni il cui importo potrebbe, in ipotesi, azzerare le attività e di conseguenza la base imponibile.

Nella specie la scrittura privata portante il debito considerato rilevante per la detrazione è priva della certezza che si raggiunge o tramite la registrazione (che nel caso di specie non è avvenuta) o tramite la sua riproduzione all’interno di un atto pubblico ai sensi dell’articolo 2699 c.c.: fatto idoneo a stabilire in modo altrettanto obiettivo è sicuro l’anteriorità della data di formazione del documento.

È invero possibile che nella prassi commerciale si figuri un finanziamento di natura chirografaria e non lo si registri ma è anche vero che nulla vieta di registrare volontariamente un tale atto per dagli data certa, così da renderlo opponibile anche ai terzi. In questo caso non c stata né opponibilità né pubblicità dell’atto.

Secondo giurisprudenza di legittimità, in tema di determinazione della base imponibile dell'Imposta di registro, per gli atti che hanno ad oggetto aziende o diritti reali su di esse, l'art. 51, comma 4, d.P.R. n. 26 aprile 1986 n. 131, secondo il quale il valore dichiarato "è controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l'azienda", "al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie", non pone deroghe al criterio, dettato in generale al comma 2 dello stesso articolo, dell’accertamento del valore secondo il parametro del "valore venale in comune commercio", nel senso che non sussiste alcun vincolo alle scritture contabili, se non con riferimento alle eventuali passività di cui l’ufficio finanziario deve tenere conto (Cass. civile, sez. trib., 07/05/2007, n. 10341).

Affinché l’Ufficio sia obbligato a tenere conto dei debiti contratti dall’azienda che abbiano concorso a deprimerne il valore, è necessario quantomeno che gli stessi risultino da atti aventi data certa: l’esistenza di un valore di avviamento dell'azienda ceduta non può essere esclusa sulla base della sola circostanza che l'impresa cedente abbia subito perdite negli esercizi precedenti.

In tema di determinazione della base imponibile dell'Imposta di registro, l'art. 51, comma 4, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, specifica che l'accertamento di quel valore costituisce l'oggetto di un giudizio di fatto, ma richiede anche che le passività risultino da scritture contabili obbligatorie o da altri atti che abbiano "data certa a norma del codice civile" (Cass. civile, sez. VI, 23/02/2012, n. 2747).

La scrittura privata portante il debito detratto è priva della certezza che l’ordinamento affida alla registrazione o a una prova certa quale è la sua riproduzione all’interno di un atto pubblico dal quali risulti l’anteriorità alla cessione.

La sentenza di primo grado deve essere conclusivamente riformata, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio.

Le spese del doppio grado possono tuttavia compensarsi.

 

P.Q.M.

 

Definitivamente decidendo sull’appello in premessa, lo accoglie, riformando la sentenza impugnata.

Respinge per l’effetto il ricorso di primo grado.

Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado.