Giurisprudenza - TRIBUNALE DI BRESCIA - Sentenza 13 giugno 2016, n. 782

Licenziamento - Mancanza di giusta causa - Per ritorsione - Discriminatorio - Presupposti

 

Ragioni di fatto e di diritto

 

1. Con ricorso depositato il 20 ottobre 2014 con le forme di cui all’art. 1 comma 48 L. 92/2012, la ricorrente deduceva: a) di avere lavorato alle dipendenze del dott. (...) con contratto a tempo indeterminato con mansioni di segretaria amministrativa dal 2 gennaio 2008 al 26 febbraio 2014; b) di essere stata licenziata in data 26 febbraio 2014 dopo avere richiesto il godimento dei benefici di cui alla legge 104/92 per assistere la propria madre; c) che il datore di lavoro le aveva contestato "un utilizzo del computer aziendale a fini privati"; d) che il licenziamento era meramente ritorsivo e comunque illegittimo per mancanza di giusta causa. La ricorrente chiedeva, quindi: a) di accertare la nullità e/o illegittimità del licenziamento siccome ritorsivo e discriminatorio; b) di condannare il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno subito mediante il pagamento di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettivo reintegro oltre che al pagamento dei contributi previdenziali e assicurativi dovuti; c) in subordine, di dichiarare l’illegittimità e/o nullità del licenziamento disciplinare comminato per mancanza di giusta causa o giustificato motivo e quindi condannare il resistente a reintegrarla nel posto di lavoro e al risarcimento del danno mediante il pagamento di un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto non inferiore a 12 mensilità ovvero, in alternativa, compresa tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; d) in ulteriore subordine, di condannare il resistente alla riassunzione nel posto di lavoro ovvero al pagamento di un’indennità omnicomprensiva pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; e) di condannare il resistente al risarcimento del danno per perdita di chance.

2. Si costituiva il resistente che contestava integralmente gli assunti avversari in fatto e in diritto e chiedeva il rigetto del ricorso.

3. Con ordinanza del 7 giugno 2016, il Tribunale rigettava le domande proposte ai sensi dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 e dichiarava improponibile la domanda di applicazione della tutela c.d. obbligatoria con la motivazione che di seguito si riporta.

La ricorrente ha sostenuto che la decisione del datore di lavoro di recedere dal rapporto lavorativo sarebbe stata dettata dall’intento di volerla sanzionare a seguito della domanda avanzata dalla lavoratrice di ammissione ai benefici di cui alla legge 104/92 nell’interesse della madre ammalata al fine di prestarle la dovuta assistenza. Viceversa, il resistente ha dedotto la sussistenza di una giusta causa di recesso per avere la lavoratrice fatto indebito utilizzo del computer dello studio per motivi personali estranei al contenuto dell'attività lavorativa.

Ciò premesso, va ricordato come "Il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta - assimilabile a quello discriminatorio, vietato dagli artt. 4 della legge n. 604 del 1966, 15 della legge n. 300 del 1970 e 3 della legge n. 108 del 1990 - costituisce l'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona ad esso legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullità del licenziamento, quando il motivo ritorsivo sia stato l'unico determinante e sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche con presunzioni" (Cass. sez. lav. n. 17087 del 08/08/2011).

Gli elementi acquisiti, documentali e non, hanno evidenziato come la condotta contestata alla lavoratrice sia stata effettivamente tenuta.

La stessa ricorrente, in primo luogo, non ha contestato l'addebito sollevato nei propri confronti relativo alla scoperta effettuata da parte del datore di lavoro di circa 6.000,00 accessi ad opera della segretaria negli ultimi 18 mesi lavorativi a social network, giochi, musica ed altre attività tutte estranee allo svolgimento dell'attività lavorativa della medesima.

Gli accessi compiuti dalla lavoratrice hanno trovato riscontro nella documentazione prodotta dal resistente relativa all’elenco di tali operazioni nell’arco temporale predetto e nelle deposizioni degli informatori ascoltati e, principalmente, in quella di (...) consulente del lavoro del resistente che ha riferito di come il dott. (...) avesse scoperto l’utilizzo improprio di internet da parte della segretaria e in quella di (...) altro medico del medesimo studio alle cui dipendenze lavorava la ricorrente nel medesimo periodo fino al licenziamento comunicato dallo stesso per gli identici motivi, il quale ha confermato che nel gennaio 2014 erano stati scoperti dalla cronologia del computer in uso alla segretaria numerosi accessi a face-book ed internet confermando così il doc. 15 di parte resistente, relativo alla cronologia degli accessi ad internet del p.c. di studio.

La condotta tenuta dalla ricorrente, per come emersa sulla base degli elementi acquisiti, integra una violazione degli obblighi di diligenza e buona fede nell’espletamento della prestazione lavorativa da parte della lavoratrice e non può, dunque, ritenersi di per sé legittima.

Sempre alla luce del complessivo quadro probatorio deve fondatamente escludersi che la decisione del datore di lavoro di porre fine al rapporto lavorativo sia stata determinata, per contro, dalla presentazione della domanda ex lege 104/92 quale motivo esclusivo del recesso datoriale.

Tanto è ritenuto alla luce della sequenza degli accadimenti emersa dalla documentazione prodotta e dal contenuto delle dichiarazioni testimoniali.

In particolare, dalle dichiarazioni degli informatori (...) e (...) è risultato come la scoperta degli indebiti accessi ad internet da parte della ricorrente risalga alla metà di gennaio 2014 e come, di conseguenza, su suggerimento del consulente (...) il resistente abbia offerto alla ricorrente dapprima una risoluzione di tipo consensuale del rapporto di lavoro inoltrandole via mail il modello di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e di accordo (v. doc. n. 3,4,5 e 6 fascicolo resistente).

Risulta, quindi, che in mancanza di adesione alla proposta de qua da parte della lavoratrice con dichiarazione dell’1.02.2014 è stata sollevata formale contestazione disciplinare alla stessa relativa all’utilizzo del computer per fini personali (v. doc. 7 fascicolo resistente).

Risulta, infine, che l’Inps con comunicazione del 3.02.2014 ricevuta dal resistente in data 10.02.2014 ha informato il datore di lavoro dell’ammissione della lavoratrice al godimento dei benefici della legge 104/92, in relazione ai quali quest’ultima aveva inoltrato domanda di ammissione al godimento all’Istituto in data 28 gennaio 2014, circostanza confermata anche dall’informatore (v. doc. 8 fascicolo resistente).

Non vi è la minima prova, per contro, di quanto affermato dalla ricorrente circa il fatto che la stessa aveva informato il resistente sin dai primi giorni di gennaio 2014 della volontà di presentare la domanda di ottenimento dei benefici della legge 104/92 e dell'improvviso mutamento di atteggiamento del datore di lavoro nei riguardi della lavoratrice.

In conclusione, la domanda di accertamento della nullità del licenziamento ritorsivo e discriminatorio e di conseguente applicazione della tutela di cui all’art. 18 statuto dei lavoratori comma 1 va respinta, siccome infondata.

Circa le domande di cui alle lettera c) sopra enunciata, con cui la lavoratrice ha impugnato il licenziamento per mancanza di giusta causa chiedendo l’applicazione delle tutele di cui all’art. 18 comma 4 e, in alternativa, comma 5 della legge 300/1970, le stesse vanno parimenti rigettate perché proposte nei confronti di datore di lavoro privo del requisito dimensionale necessario per l’applicazione dell’art. 18.

Va, infine, dichiarata l’improponibilità delle domande di cui alle lettere d) ed e), siccome estranee alle controversie suscettibili di essere trattate e decise con il rito speciale ex art. 47 comma 1 legge 92/2012.

L’art. 1 comma 47 legge 92/2012, come noto, stabilisce che "le disposizioni dei commi da 48 a 68 si applicano alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, e successive modificazioni anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro".

Il successivo comma 48, poi, stabilisce che si propone con ricorso nelle forme del rito accelerato "la domanda avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento di cui al comma 47" e che "con il ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al comma 47 del presente articolo, salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi".

Il requisito dimensionale di cui all’art. 18 Statuto dei lavoratori non rappresenta fatto costitutivo della domanda formulata sub c) ai sensi dell'art. 8 legge 604/1966 e la domanda sub d) di risarcimento del danno da perdita di chance è del pari del tutto estranea alle controversie aventi ad oggetto la impugnativa del licenziamento nei casi previsti dall’art. 18.

Né si ritiene sia possibile una conversione del rito in relazione a tali domande in quanto l’art. 1 commi 48-50 l. 92/2012 non prevede tale possibilità nell'ambito della fase sommaria del procedimento di impugnazione del licenziamento di cui all’art. 18 l. 300/70.

Il mutamento del rito, del resto, non potrebbe essere disposto neanche in forza degli artt. 426- 427 c.p.c., o dell’art. 4 d.lgs. 150/11: gli art.li 426 e 427 c.p.c., disposizioni di carattere eccezionale come tali non suscettibili di applicazione analogica, disciplinano il mutamento del rito da ordinario a rito del lavoro mentre l’art. 4 del d.lgs. 150/11 riguarda la diversa ipotesi del mutamento tra i riti previsti dal d.lgs. 150/11, nel cui ambito non rientra il rito ex art. 1 comma 47 L. 92/2012.

4. Con ricorso depositato il 12 agosto 2015, (...) proponeva opposizione ai sensi dell’art. 1 co. 51 legge n. 92/2012 avverso la citata ordinanza deducendo: a) di avere fin da subito negato di avere effettuato gli accessi ad internet contestati escludendo la validità delle prove offerte dal datore di lavoro, peraltro acquisite in violazione della sua privacy; b) che le era sempre stato consentito di usare internet del tutto liberamente soprattutto nei tempi morti e di recarsi permanere in studio anche fuori dagli orari tassativi di lavoro; c) che il teste (...) non era imparziale, trattandosi di altro medico del medesimo studio alle cui dipendenze aveva lavorato nel medesimo periodo fino al licenziamento comunicato dallo stesso per gli identici motivi, mentre il teste (...) si era limitato a riferire quanto appreso dal datore di lavoro; d) che non era l’unica persona ad utilizzare il computer in questione; e) che i testi (...) e (...) avevano confermato la sua tesi circa la natura ritorsiva del licenziamento; f) che la domanda, proposta in via subordinata, di applicazione della tutela c.d. obbligatoria era ammissibile e andava, quindi, esaminata nel merito.

5. Si costituiva chiedendo il rigetto dell’opposizione.

6. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

6.1. Va confermato il rigetto della domanda di applicazione dell’art. 18 co. 1 della legge n. 300 del 1970 fondata sull’allegato carattere ritorsivo del licenziamento.

Non vi è, infatti, alcuna prova della circostanza, negata dal datore di lavoro, che questi fosse a conoscenza della domanda della ricorrente di congedo ai sensi della legge n. 104 del 1992 allorché ha manifestato l’intenzione di licenziare la lavoratrice. In particolare, la ricorrente si è limitata a dedurre di avere più volte preannunciato al (...) la prossima domanda all’Inps, ma non ha indicato alcun teste che fosse stato presente in tali occasioni.

È vero che la teste (...) ha dichiarato che la ricorrente il 28 gennaio 2014 le aveva riferito che i datori di lavoro le avevano chiesto di firmare una lettera di dimissioni. Tuttavia, tale circostanza è compatibile anche con la versione dei fatti sostenuta dal convenuto, e confermata dal teste (...) secondo la quale a quella data erano già stati scoperti gli accessi ad internet e le parti stavano trattando per una soluzione bonaria della questione. Non può quindi escludersi che la ricorrente abbia riferito alla (...) soltanto i fatti a sé favorevoli e non l’esistenza di una possibile causa di licenziamento.

Né, d’altronde, l’intento ritorsivo può essere ricollegato al fatto che con una mail la ricorrente avesse chiesto al consulente del lavoro (...) informazioni circa i permessi previsti dalla legge n. 104, trattandosi di un fatto avvenuto più di un anno prima del licenziamento ed avendo la stessa ricorrente, al punto 17 dell’atto, dedotto che fino alla fine del 2013 aveva in realtà preferito avvalersi delle ferie e dei permessi ordinari.

Ed allora, i fatti non possono che essere ricostruiti secondo quanto risulta dai documenti e dalle testimonianze in atti, e cioè che il datore di lavoro veniva a conoscenza degli accessi a internet già prima del 22 gennaio 2014 (teste ...) e che il (...), in conseguenza di ciò, esternava la sua volontà di licenziare la lavoratrice già il 25 gennaio 2014 (doc. 4 ricorrente), e cioè ben prima che la (...) il 29 gennaio 2014 lo mettesse a conoscenza della domanda inoltrata all'Inps (doc. 7 ricorrente).

Ne segue che il carattere ritorsivo del licenziamento non può neppure essere ipotizzato, in assenza di prova della conoscenza in capo al datore di lavoro del fatto che l’avrebbe determinato nel momento in cui ha manifestato la volontà di recedere.

6.2. Altrettanto infondata è la domanda di applicazione dell’art. 18 co. 2 della legge n. 300 del 1970 per insussistenza di una giusta causa di licenziamento, essendo pacifico che il convenuto ha meno di 15 dipendenti.

6.3. Infine, va confermata l’improponibilità con il rito introdotto dalla legge n. 92 del 2012 della domanda di applicazione della tutela c.d. obbligatoria, dovendosi condividere il principio affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 16662 del 10 agosto 2015, principio secondo il quale "in caso di domanda di reintegra nel posto di lavoro avanzata ai sensi dell'art. 1, comma 48, della legge n. 92 del 2012, il cumulo di domande diverse è ammesso solo se siano basate su fatti costitutivi identici a quelli fondanti la richiesta di tutela reale, rispondendo la "ratio" della norma all'esigenza di assicurare una tutela reintegratoria sollecita e di evitare un ampliamento dell'ambito di applicazione del rito speciale, suscettibile di ricadute sulla qualità della risposta giudiziaria, sicché è improponibile la domanda di riassunzione ex art. 8 della legge n. 604 del 1966, proposta dal lavoratore in via subordinata all'applicazione dell’art. 18 st. lav., attesa la diversità (in particolare, quanto al numero dei dipendenti e alla natura delle imprese datrici) dei rispettivi fatti costitutivi."

In ogni caso, anche volendo entrare nel merito, si ritiene che il licenziamento sia fondato su giusta causa.

In primo luogo, va precisato che il datore di lavoro si è limitato a stampare la cronologia ed il tipo di accesso ad internet dal computer della dipendente, il che non richiede l’installazione di alcun dispositivo di controllo, né implica la violazione della privacy, trattandosi di dati che vengono registrati da qualsiasi computer e che sono stati stampati al solo fine di verificare l’utilizzo di uno strumento messo a disposizione dal datore di lavoro per l’esecuzione della prestazione. Né può ipotizzarsi una violazione dell’art. 4 della legge n. 300 del 1970, trattandosi di attività di controllo non della produttività ed efficienza nello svolgimento dell’attività lavorativa, ma attinenti a condotte estranee alla prestazione.

In secondo luogo, occorre dare atto che la (...) con l’originario ricorso non ha contestato la navigazione, limitandosi a lamentare la violazione della sua privacy e sostenendo anzi che la navigazione era consentita, affermazione questa ribadita nell’atto di opposizione, senza peraltro che ne sia stata offerta prova (si vedano in particolare, i punti a1) e a2) della parte in diritto del ricorso "sommario", dove, tra l’altro, si legge, sotto la rubrica "assenza di inadempimento, il fatto contestato non sussiste", che "è sempre stato consentito alla sig.ra (...) di usare internet del tutto liberamente soprattutto nei c.d. tempi morti e di recarsi/permanere in studio anche fuori dagli orari tassativi di lavoro").

La ricorrente si è limitata a negare un numero di accessi esiguo rispetto al totale, irrilevante ai fini della valutazione della condotta complessiva.

Ne segue che la condotta in sé deve ritenersi anche in questa sede sostanzialmente pacifica, in quanto non tempestivamente e specificamente contestata, con conseguente irrilevanza della c.t.u. informatica richiesta con il ricorso in opposizione. D’altronde, si tratta nella maggior parte dei casi di accessi alla mail ed alla pagina facebook della ricorrente, generalmente protetti da password, sicché può ragionevolmente ritenersi che la ricorrente ne sia l’autrice.

Detto questo, la condotta appare senza dubbio grave se si tiene conto che si tratta di circa 6.000 accessi in 18 mesi, di cui 4.500 circa a facebook, effettuati durante l’orario di lavoro, pari a circa 16 accessi al giorno (secondo i calcoli della stessa ricorrente) su tre ore in media di lavoro (tenuto conto di entrambi i rapporti di lavoro alle dipendenze sia di (...) che di (...) e che gli accessi duravano anche decine di minuti, senza che la ricorrente abbia specificamente e tempestivamente dedotto la riconducibilità degli accessi alle sole ore lavorate per il dott. (...), e ciò pur essendole stati messi a disposizione l’ora e la durata di ogni singolo accesso.

Si tratta di comportamento idoneo ad incrinare la fiducia del datore di lavoro, avendo la (...) costantemente e per lungo tempo sottratto ore alla prestazione lavorativa ed utilizzato impropriamente lo strumento di lavoro, approfittando del fatto che il datore di lavoro non la sottoponesse a rigidi controlli.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo tenuto conto del valore della causa da una parte e della riproposizione delle medesime questione già affrontate nella fase sommaria dall’altra.

 

P.Q.M.

 

Definitivamente pronunciando, ogni ulteriore domanda, istanza ed eccezione rigettata e disattesa,

1) rigetta il ricorso;

2) condanna (...) alla rifusione delle spese di lite sostenute dal convenuto, che si liquidano in euro 1.800,00 per compensi oltre accessori di legge.