Giurisprudenza - TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE FRIULI VENEZIA GIULIA - Sentenza 21 aprile 2016, n. 140

Stranieri - Permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo - Rinnovo - Diniego

 

Agisce in giudizio il ricorrente, cittadino marocchino, avverso il provvedimento del questore di Pordenone notificatogli in data 22 gennaio 2016 che gli ha negato il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo. Fa presente di essere in Italia dal 1997 e di aver intrapreso l’attività del commercio ambulante assieme al padre.

Il motivo del diniego risiede nella mancanza di reddito sufficiente.

Egli considera illegittimo il diniego innanzitutto per falsa applicazione di legge, eccesso di potere, ingiustizia grave e manifesta, violazione degli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 286 del 1998 e successive modifiche. Tra i motivi che impediscono il rinnovo del permesso di soggiorno non vi è l’omesso versamento dell’imposta e dei contributi previdenziali; l’amministrazione non ha effettuato un’adeguata istruttoria e non ha affatto dimostrato che il ricorrente non avesse un reddito sufficiente.

Fa poi presente come i suoi legami familiari in Italia siano indiscutibili.

Deduce poi l’illegittimità dell’atto per violazione dell’articolo 3 della legge 241 del 1990, per carenza di istruttoria e di motivazione; l’amministrazione non ha provato la mancanza di redditi sufficienti e si è limitata a ragionamenti apodittici e non dimostrati.

Resiste in giudizio il ministero che, in particolare con la memoria depositata il 16 aprile 2016, confuta l’intero ricorso concludendo per il suo rigetto.

Il Collegio ritiene innanzitutto sussistenti i presupposti di legge per definire il giudizio nella presente sede cautelare con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 del c.p.a., come preannunciato alle parti nel corso della discussione.

Viene all’esame di questo tribunale il ricorso del ricorrente, cittadino marocchino, avverso il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo.

Il presente ricorso non può essere accolto.

Al riguardo, occorre osservare, in punto di diritto, che l'articolo 5, comma 5 del decreto legislativo del 25 luglio 1998, n. 286, dispone che "il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili."

Tra i requisiti richiesti per l'ingresso in Italia è inclusa, ai sensi dell'art. 4, comma 3, del medesimo testo normativo, la disponibilità da parte dello straniero di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno, la cui sufficienza viene positivamente valutata, a norma degli artt. 26, comma 3, del d.lgs. 286/1998 e 39, comma 3, del d.P.R. 349/1999, quando lo straniero produce annualmente un reddito almeno pari al minimo di pensione sociale, come, a suo tempo, previsto anche dall’art. 4, comma 8, del d.l. 30.12.1989, n. 416, convertito con integrazioni nella legge n. 39 del 28.2.1990, che - tra l’altro - subordinava il rilascio del permesso di soggiorno ovvero il suo rinnovo anche all’accertamento che lo straniero possedesse un reddito minimo pari all’importo della pensione sociale, precisando che detto reddito poteva derivare sia da lavoro dipendente, anche a tempo parziale, sia da lavoro autonomo, ovvero da altra legittima fonte.

L'articolo 6, comma 5, del decreto legislativo citato stabilisce, inoltre, che "per le verifiche previste dal presente testo unico o dal regolamento di attuazione, l'autorità di pubblica sicurezza, quando vi siano fondate ragioni, richiede agli stranieri informazioni e atti comprovanti la disponibilità di un reddito, da lavoro o da altra fonte legittima, sufficiente al sostentamento proprio e dei familiari conviventi nel territorio dello Stato".

Norme analoghe vigono per i soggiornanti di lungo periodo.

Trattasi, all’evidenza, di disposizioni volte ad assicurare che lo straniero, autorizzato a soggiornare in Italia, abbia, al momento in cui l'Autorità amministrativa è chiamata a pronunciarsi sull’istanza dal medesimo presentata (Cassazione, Sez. I, sent. n. 2417 del 3 febbraio 2006), i mezzi indispensabili per poter vivere in maniera dignitosa, senza dedicarsi ad attività illecite o criminose (C.d.S., sez. VI, n. 2518/2006; sez. IV, n. 5495/2004; sez. IV, n. 1753/1999), nonché ad evitare lo stabile inserimento nella collettività di soggetti che non offrano un'adeguata contropartita in termini di partecipazione fiscale alla spesa pubblica e soprattutto che finiscano per gravare sul pubblico erario come beneficiari di assegno sociale, in quanto indigenti.

Da quanto sopra indicato risulta evidente come la percezione di un reddito lecito e adeguato è una condizione necessaria per ottenere e per rinnovare il permesso di soggiorno.

Nel caso in esame, in cui bisogna prendere in considerazione non solo i redditi del ricorrente ma altresì quelli del padre con cui è convissuto per anni; sulla base della documentazione citata nel provvedimento impugnato e non contestata dal ricorrente, risulta palese come il ricorrente (e anche il padre) non abbia per anni versato i contributi e le ritenute fiscali, e come le stesse dichiarazioni dei redditi risultino strumentali ai rinnovi del permesso di soggiorno.

Le dichiarazioni rese inoltre appaiono chiaramente inconsistenti per quanto riguarda i guadagni ottenuti, tra l’altro per la abnorme differenza tra il costo delle merci e gli incassi. Si tratta di dati non solo non dimostrati ma palesemente inattendibili.

In sostanza, il ricorrente per tutto il periodo in cui ha operato in Italia non solo non ha mai versato imposte, tasse e contributi previdenziali obbligatori, ma non ha nemmeno in modo realistico dimostrato un reddito sufficiente e comunque lecito. Lo stesso vale per il padre del ricorrente.

Il pagamento delle imposte e dei contributi risulta un elemento indispensabile per chi intende usufruire dei servizi pubblici, e comunque per quanto riguarda lo straniero è un elemento di valutazione del suo inserimento sociale.

In altri termini, il fondamento del diniego in questa sede impugnato risulta basato su un comportamento reiterato per anni dallo straniero (e dal padre) e che non viene smentito in ricorso.

Va infine aggiunto come il provvedimento ha tenuto conto dei legami dello straniero anche con riferimento al paese di origine.

In sostanza, la motivazione del diniego in questa sede impugnato appare congrua in relazione alle circostanze; ogni altra considerazione riguarda il merito di scelte discrezionali non sindacabili.

Il ricorso va quindi rigettato laddove le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna il ricorrente al pagamento a favore dell’amministrazione delle spese di giudizio che liquida in euro 1.000 oltre agli oneri accessori.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.