Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 aprile 2016, n. 8333

Tributi - Accertamento sintetico - Indici di capacità contributiva - Incrementi patrimoniali - Acquisto di immobile senza corrispondere effettivamente il prezzo - Prova - Annullamento degli assegni - Pagamento eseguito l’anno successivo - Esclusione della somma dalla concorrenza al reddito dell’anno accertato - Annullamento dell’accertamento

 

Svolgimento del processo

 

1. - L'Agenzia delle Entrate di Foggia notificava al ricorrente due avvisi di accertamento, rispettivamente per gli anni 2006 e 2007, con i quali rettificava il reddito dichiarato per quelle annate, ai sensi dell'art. 38 DPR 600 del 1973.

In particolare, per l'anno 2006 a fronte di un reddito dichiarato di 6232,00 euro, l'Agenzia determinava un ammontare di 42.892,00, mentre per il 2007, a fronte di un reddito dichiarato di 3.813,00 euro, l'Agenzia riteneva prodotto un reddito di 39.431,00 euro.

La rideterminazione del reddito veniva basata su incrementi patrimoniali avuti dal contribuente in entrambi gli anni e consistenti nell'acquisto di una vettura, perfezionatosi nel 2005, e nell'acquisto di una abitazione, concluso nel 2007, per un ammontare di 76 mila euro.

Il ricorrente impugnava entrambi gli avvisi facendo valere motivi di illegittimità dello stesso sistema di presunzioni poste a base del redditometro, ed in particolare del criterio dell'accertamento sintetico, pure sotto il profilo della violazione della riserva di legge. Eccepiva altresì il difetto di motivazione dell'atto impugnato.

Più precisamente, eccepiva che la spesa per il mantenimento della vettura era stata sopravvalutata, e che l'acquisto della casa era simulato, in quanto si trattava di un atto che aveva il diverso scopo di regolare i rapporti tra fratelli; il ricorrente aveva infatti acquistato l'immobile dalla sorella, ma senza corrispondere effettivamente il prezzo, come era dimostrato dall'annullamento degli assegni e dal loro mancato incasso.

Faceva inoltre presente che l'Agenzia non aveva considerato la circostanza per cui il ricorrente viveva con l'anziana madre, che perciò contribuiva al suo tenore di vita, cosi come aveva contribuito agli incrementi patrimoniali degli anni precedenti l'accertamento.

Sia la Commissione provinciale che quella Regionale hanno rigettato il ricorso.

Il contribuente propone ora ricorso per cassazione cui resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

2. - Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell'art. 38 quinto comma DPR 600/1973, nella formulazione all'epoca vigente, nonché violazione delle norme sulla simulazione dei contratti e sull'onere della prova, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.

Sostiene che la decisione di appello ha errato nel ritenere infondato, perché non provato, il motivo addotto dal ricorrente a giustificazione dell'incremento patrimoniale costituito dall'acquisto della casa.

Il contribuente aveva eccepito la simulazione dell'acquisto della casa, che in realtà era da ritenersi atto di sistemazione dei rapporti ereditari con la sorella, da cui l'acquisto proveniva.

Nell'atto, infatti, si legge, che quanto alla cifra complessiva di 76 mila euro, 46 mila risultavano già versati prima del 4 luglio 2006 (l'atto è stipulato I'8.7.2006), mentre gli altri 30 mila venivano corrisposti con distinti assegni.

Il ricorrente fa presente di avere documentato che gli assegni non sono mai stati incassati, essendo stati annullati presso la stessa banca di traenza.

Secondo la sentenza impugnata il contribuente non ha fornito la prova della simulazione, che presupponeva l'esibizione o la dimostrazione di una controdichiarazione.

Il ricorrente ritiene che questo assunto sia errato in quanto il contribuente non deve dimostrare che il contratto è simulato, ma soltanto che egli non ha effettivamente effettuato la spesa che viene presa a base della rideterminazione del reddito, e ciò in quanto il giudizio tributario non mira ad accertare la simulazione con efficacia erga omnes, ma solo a verificare se il fatto sulla base del quale l'Agenzia opera la presunzione, ossia la spesa, sia effettivo o meno.

E la dimostrazione che la spesa non è effettiva, il contribuente l'avrebbe fornita provando di non avere pagato la somma, dal momento che gli assegni sono stati annullati.

3. - Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia motivazione apparente e nuovamente violazione delle regole sull'onere delta prova.

Censura in particolare l'affermazione contenuta nella decisione di secondo grado per la quale la dimostrazione dell'avvenuto annullamento degli assegni non è prova sufficiente del fatto che il prezzo non è realmente stato pagato.

Secondo la CTR la circostanza che gli assegni sono stati annullati non esclude che la somma possa essere stata pagata con altri mezzi.

Questa motivazione, secondo il ricorrente, oltre ad essere insufficiente, tradisce violazione delle regole sull'onere della prova. Infatti, il contribuente ha dimostrato, attraverso la prova dell'annullamento degli assegni, che il pagamento non è avvenuto, e dunque era semmai onere dell'Agenzia provare il contrario, vale a dire che quel pagamento potesse essere stato fatto con altri mezzi, o diversamente.

4. - Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia omessa pronuncia su una circostanza fatta valere con l'atto di appello.

Anche a ritenere effettivo il pagamento dell'immobile, la sentenza appellata non ha tenuto conto della censura mossa al calcolo effettuato dall'Agenzia.

Nel contratto infatti si dava atto che 46 mila (dei 76 mila) euro erano stati già corrisposti prima della stipula, ed in particolare, prima del 4,7.2006, e che invece nel 2007 veniva pagata solo la rimanente somma di 30 mila euro.

Conseguentemente, il contribuente aveva eccepito che, anche a voler ritenere come corrisposta la somma portata dagli assegni, l'esborso per l'anno 2007 era di 30 mila euro, che, spalmati tra il 2007 ed i quattro anni precedenti, indicavano un reddito di 6 mila euro.

5. - Con il quarto motivo si censura la violazione sempre dell'art. 38 DPR 600/1973 e dell'art. 2729 c.c.

Secondo il ricorrente l'Agenzia ha fatto applicazione del DM sul c.d. redditometro, ed ha stimato che il possesso di una vettura, acquistata usata dal ricorrente nel 2005 (la vettura era del 2002) per un prezzo di 17 mila euro, indica un reddito per il 2006 di circa 27 mila euro e per il 2007 di circa 24 mila.

Il ricorrente contesta l'attendibilità e la fondatezza di tali presunzioni, peraltro previste dal DM, in quanto, da un lato, esse varrebbero per ogni contribuente indistintamente, e dunque a prescindere dall'uso che si fa della vettura, che è poi ciò che comporta la spesa indice di reddito, e per altro verso in quanto basate su coefficienti del tutto arbitrari.

Il giudice di appello, dunque ritenendo affidabili i criteri del redditometro, ha deciso, in violazione delle regole sulla presunzione, e segnatamente dell'art. 2729 c.c., poiché ha ritenuto quei criteri quali validi elementi presuntivi, in realtà del tutto privi di capacità indicativa.

6. - Con il quinto motivo è denunciata motivazione apparente nella parte relativa all'apporto che la madre convivente del ricorrente poteva dare al reddito di quest'ultimo.

Il contribuente aveva evidenziato tale circostanza, unitamente al rilievo per cui occorreva considerare l'apporto dato dalla madre. La decisione di secondo grado, secondo il ricorrente, si limita a dire che tale contributo è insignificante ai fini dell'accertamento, posto che lo stesso reddito della madre era inferiore alle spese sostenute dal figlio e, lungi dunque dal poterle giustificare, non rendeva neanche conto dei 14 appartamenti che le risultano intestati.

Secondo il ricorrente la motivazione è solo apparente poiché non spiega per quale ragione sia stato trascurato l'apporto che la madre poteva fornire alle spese imputate dall'Ufficio al figlio.

La motivazione poi farebbe leva sulla circostanza che lo stesso reddito della madre non dà conto della capacità di mantenimento delle 14 unità immobiliari, e non considera che esse erano locate e dunque le loro spese a carico dei conduttori, cosi che il reddito della madre era a disposizione del figlio.

7. - Ulteriore motivo fa valere l'illegittimo ricorso all'accertamento sintetico. Il ricorrente assume che l'art. 38 che qui si assume violato, prevede che si possa ricorrere all'accertamento sintetico solo se il reddito ricostruito supera del 25% quello dichiarato nei precedenti due anni di imposta.

A dire del ricorrente, se si considera la somma dei redditi complessivamente disponibili (tra il ricorrente e la madre) e il presunto reddito ritenuto dall'Agenzia, quella proporzione non è superata.

 

Motivi della decisione

 

1. - I primi tre motivi possono essere congiuntamente esaminati.

Con il primo motivo, assume il ricorrente che non occorre che il contribuente dimostri con controdichiarazioni che un atto oneroso, dal quale l'Ufficio ricava una certa capacità di reddito, è simulato. E' sufficiente che dimostri che la spesa che quell'atto importa non è stata effettuata. Ciò significa che ai fini fiscali, la simulazione, può essere, nel relativo giudizio, accertata solo "incidenter tantum" e non già necessariamente "erga omnes".

Va premesso che la circostanza che la simulazione venga accertata "incidenter tantum" significa soltanto che l'accertamento vale solo nell'ambito del giudizio in cui è fatto ed agli specifici scopi di quel giudizio (nel nostro caso significa che vale ai soli fini tributari). Ma non significa che la prova sia diversa.

Il ricorso censura la sentenza impugnata, conseguentemente, quanto al contenuto della prova della simulazione.

L'assunto del ricorrente è che la sentenza di appello avrebbe ritenuto che l'unico modo per provare la simulazione è l'esibizione di una controdichiarazione, oltre alla quale non vi sarebbero altri mezzi di prova.

In realtà, la decisione impugnata è nel senso che la controdichiarazione è un elemento "fondamentale" della simulazione, non che essa ne costituisca l'unica prova. Piuttosto assume che la controdichiarazione, "coincidendo" con l'accordo simulatorio, finisce con l'essere, essa stessa, oggetto di prova. Meglio detto, secondo la sentenza appellata, provare la simulazione vuol dire provare l'accordo simulatorio e conseguentemente provare la controdichiarazione, atto in cui è espresso l'accordo simulatorio.

Ciò premesso, la decisione impugnata assume che le prove offerte dal ricorrente non sono sufficienti a fornire prova dell'accordo simulatorio, in quanto consistono nella dimostrazione del mancato incasso degli assegni , elemento di per sé non significativo.

Conseguentemente, il primo motivo di appello non censura la vera ratio decidendi, poiché assume che la decisione impugnata abbia ritenuto che la simulazione si provi solo con la controdichiarazione e non con altri mezzi di prova.

Ed invece, la ratio decidendi è altra, ossia sta nel ritenere non già che la controdichiarazione è l'unico mezzo di prova, ma che è l'oggetto della prova della simulazione. Non mezzo di prova ma oggetto di prova, ferma restando la possibilità, ammessa dalla sentenza impugnata, di provare la simulazione con i mezzi consentiti dalla legge, e la convinzione che però quelli cui ha fatto ricorso il ricorrente non sarebbero sufficienti.

Proprio perché non denuncia la vera ratio decidendi il motivo è inammissibile.

1.1. - Il secondo motivo è in parte ripetitivo della questione affrontata con il primo, in altra parte anticipa il terzo motivo, dunque può ritenersi assorbito in tali due.

1.2. - Risulta invece fondato il terzo motivo, con il quale si lamenta la mancata considerazione del fatto che, in ipotesi, l'unica somma che risulta effettivamente versata, e dunque spesa è la rimanente somma di 30 mila euro (e non di 76 mila). Ammesso allora che l'atto di vendita deve ritenersi come effettivo e non simulato, l'Agenzia avrebbe dovuto tener conto della circostanza che nell'atto dì vendita la somma di 46 mila euro si dà per corrisposta prima del 4 luglio 2006. Se l'atto, come assume la decisione impugnata è effettivo, e non simulato, allora lo è in tutto il suo contenuto. E da tale contenuto si ricava che una parte della somma (46 mila euro) è stata versata nel 2006, con la conseguenza che non può concorre alla determinazione del reddito per l'anno 2007.

Su questo punto la decisione va cassata con rinvio affinché si tenga conto nella determinazione della pretesa della Agenzia delle Entrate del fatto che quella somma non può concorrere a costituire il reddito per l'anno preso in accertamento, ossia il 2007.

2. - Con il quarto motivo il ricorrente fa valere violazione dell'art. 38 IV° comma contestando alla sentenza di avere fatto ricorso, ai fini del l'accerta mento del reddito, a decreti ministeriali illogici o comunque inattendibili.

Il motivo è infondato.

Invero è lo stesso articolo 38, IV° comma ad autorizzare l'Agenzia a fare applicazione dei decreti ministeriali e dei coefficienti in essi stabiliti.

Nell'applicare i coefficienti ministeriali, dunque, la sentenza impugnata non ha affatto violato o falsamente inteso l'art. 38, che invece quella facoltà riconosce all'Ufficio. E' del resto principio già affermato diverse volte da questa Corte quello per cui In tema di accertamento delle imposte sui redditi, il potere dell'Ufficio di determinare sinteticamente il reddito complessivo sulla scorta di indizi,, in base all'art. 38, comma quarto, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, implica l'utilizzo di coefficienti presuntivi e, pertanto, legittima il riferimento a redditometri anche se contenuti in decreti ministeriali successivi" (Cass. 22285 del 2011).

3. - Il quinto motivo denuncia anche esso una motivazione apparente relativamente alla questione dell'apporto della madre del ricorrente al reddito di quest'ultimo.

Il motivo è infondato.

Invero la sentenza considera il rilievo relativo al cumulo del reddito con la madre, e non omette affatto di pronunciarsi sul punto, né rende una motivazione insufficiente, quanto piuttosto rende esplicite le ragioni della decisione presa.

La CTR infatti illustra i motivi per i quali ritiene, confermando l'accertamento fiscale, che il concorso della madre è irrilevante a dimostrare l'illegittimità dell'accertamento; ed infatti dice che, anche a considerarli, i redditi della convivente madre, sono inferiori o comunque non tali da coprire le spese imputate al ricorrente.

Così che la motivazione rende esplicite o comunque comprensibili le ragioni della decisione.

4. - Il sesto motivo di impugnazione è pure infondato.

Si censura la sentenza nella parte in cui avrebbe ritenuto legittima la rideterminazione del reddito, assumendo uno scarto tra il reddito dichiarato e quello presunto di più del 25%. Secondo il ricorrente quello scarto non vi sarebbe comunque. A dimostrazione della inesistenza del presupposto, il ricorrente illustra quale è l'ammontare del reddito del nucleo familiare (lui e la madre) complessivo e quale il reddito presunto dalla Agenzia, per concludere che lo scarto sarebbe minore della percentuale che rende legittima la rideterminazione del reddito.

Tuttavia, il motivo è infondato in quanto lo scostamento, detratta l'eventuale capacità di spesa giustificata dal reddito dei familiari, va valutato rispetto al reddito singolo imponibile e non a quello lordo e complessivo del nucleo familiare, come invece, visti i conteggi allegati dal ricorrente, quest'ultimo sembra sostenere.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo motivo, dichiara inammissibile il primo e assorbito il secondo. Rigetta ogni altro motivo di ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale di Bari, sezione di Foggia, in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.