Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 aprile 2016, n. 8413

Contenzioso - Impugnazione cartella di pagamento - Soccombenza del contribuente - Escluso l’addebito delle spese processuali se l’agente di riscossione è rappersentato e difeso da un proprio funzionario

 

Svolgimento del processo

 

D.S.R. proponeva opposizione al Giudice di pace di Milano avverso una cartella esattoriale concernente 24 sanzioni amministrative per divieto di sosta, deducendo di non aver mai ricevuto notificazione né dei verbali di contestazione delle infrazioni, risalenti al 1996, né della stessa cartella esattoriale, di cui aveva avuto contezza solo il 1 aprile 2005, a seguito dei chiarimenti richiesti con riferimento ad avvisi di mora e intimazioni di pagamento provenienti dall'agente di riscossione E.E.T. s.p.a..

Il Giudice di pace accoglieva l'opposizione.

Proponeva appello E. deducendo sia l'errore del primo giudice, il quale aveva ritenuto insufficiente la prova circa l'avvenuta notificazione della cartella esattoriale, sia l’applicabilità, nella fattispecie, di un termine di prescrizione decennale, il cui decorso era stato validamente interrotto.

L'appellato eccepiva la tardività dell'appello, il difetto di interesse di E., avendo il Comune di Milano prestato acquiescenza alla sentenza impugnata, la genericità dell'appello e, infine, l'infondatezza dello stesso.

Il Tribunale di Milano, con sentenza depositata il 15 febbraio 2011, accoglieva l'impugnazione e dichiarava inammissibile l'opposizione proposta, condannando l'appellante al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio. Il giudice del gravame riteneva che l'avviso di ricevimento depositato in giudizio documentasse la notifica della cartella esattoriale, che si era perfezionata mediante consegna del plico al portiere. In conseguenza, rilevava che D.S. avrebbe dovuto proporre opposizione ex art. 22 l. n. 689/1981 nel termine di 30 giorni dalla notifica: ciò che non era avvenuto.

R. D.S. ha proposto ricorso per cassazione contro detta pronuncia articolando quattordici motivi. Né il Comune, né E. si sono costituiti.

 

Motivi della decisione

 

La trattazione di alcuni motivi può essere accorpata, tenuto conto che le censure sollevate con riferimento alle singole questioni che le investono sono connesse, se non sovrapponibili.

Il primo motivo denuncia nullità del procedimento ex art. 81 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 4 c.p.c.: il tribunale non aveva rilevato il difetto delle condizioni di ammissibilità dell'appello per difetto di legittimazione dell'appellante, posto che il Comune aveva prestato acquiescenza alla sentenza di annullamento, sicché era venuta meno la materia del contendere in ordine all'opposizione alle sanzioni e alla relativa cartella di pagamento.

Col secondo motivo è lamentata violazione e falsa applicazione dell'art. 81 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3.p.c.: l'appellato aveva eccepito che l'appellante mancava della legittimazione ad impugnare una statuizione su diritti che erano riferibili esclusivamente al Comune, il quale aveva prestato acquiescenza alla pronuncia del giudice di pace, né E. era destinataria di domande di manleva o di risarcimento da parte del Comune per le sue eventuali responsabilità; la stessa società di riscossione aveva semmai interesse ad appellare la sentenza limitatamente alla condanna solidale al pagamento delle spese di lite, laddove non fossero state spontaneamente e integralmente corrisposte dal Comune, come invece era avvenuto.

Il terzo motivo censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c.: l'appellante era carente di interesse ad impugnare una statuizione incidente solo sui diritti del Comune, non avendo la sentenza pronunciato sulla domanda ex art. 615 c.p.c., che avrebbero potuto astrattamente implicare una responsabilità dell'appellante.

Con il quarto motivo viene fatta valere l'omessa motivazione sull'interesse all'azione dell'appellante, ai sensi dell'art. 360, n. 5 c.p.c.: il tribunale aveva affermato l'interesse all'impugnazione, rilevando l'eventualità di un'azione di rivalsa del Comune per vizi dell'attività notificatoria, senza considerare che l'accoglimento della domanda di annullamento delle sanzioni impugnate era incompatibile con l'accertamento dell'estinzione del diritto per intervenuta prescrizione, l'unica che avrebbe potuto comportare una responsabilità dell'odierna intimata.

Il quinto motivo denuncia nullità della sentenza ex art. 111, 6° co. Cost., 132, n. 4 c.p.c.e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 4 c.p.c.:

- sul punto della carenza di interesse non era stato infatti rispettato il prescritto obbligo di motivazione.

Questi motivi sono infondati.

Il tribunale ha riconosciuto l'interesse ad impugnare da parte di E. nonostante il Comune avesse prestato acquiescenza alla sentenza del giudice di pace: ha rilevato, in proposito, che l'ente impositore ben avrebbe potuto agire in via di regresso dell'esattore in ipotesi di manchevolezze di quest'ultimo nella riscossione.

Come è noto, il principio contenuto nell'art. 100 c.p.c., secondo il quale per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, in cui l'interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dall'utilità giuridica che dall'eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone (per tutte: Cass. 27 gennaio 2012, n. 1236; Cass. 3 settembre 2005, n. 17745; Cass. 9 dicembre 2003, n. 18736).

L'accoglimento del gravame attribuiva senz'altro ad E. un risultato utile, dal momento che escludeva che il Comune potesse addebitarle in futuro negligenze nella riscossione di cui trattasi. Che il Comune stesso non avesse fatto valere, nel corso del procedimento, rivalse nei confronti dell'odierna intimata non è del resto significativo, rilevando, piuttosto, l'eventualità che ciò potesse accadere in futuro. Il titolo di una responsabilità di E. avrebbe potuto ravvisarsi, in un ipotetico giudizio intentato dal Comune nei confronti dell'agente di riscossione a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, proprio nella mancata tempestiva notifica della cartella esattoriale da parte dell’intimata.

Col sesto motivo viene lamentata nullità del procedimento ex art. 342, 1° co. c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 4 c.p.c.: il tribunale non aveva rilevato il difetto delle condizioni di ammissibilità dell'appello, malgrado il palese difetto di specificità dei motivi dell'impugnazione.

La censura non può trovare accoglimento.

Il ricorrente ha riprodotto, alla pag. 7 del ricorso, i motivi di impugnazione, incentrati sulla inammissibilità del ricorso - stante la documentazione dell'avviso di ricevimento della cartella esattoriale - il quale conteneva un preciso riferimento all'atto inoltrato dall'esattore - e sul mancato apprezzamento, da parte del giudice di prime cure, dell'avvenuta interruzione della prescrizione, attuatasi con la notificazione della cartella in questione.

Ciò posto, l’onere di specificità dei motivi di appello deve ritenersi assolto quando, anche in assenza di una formalistica enunciazione, le argomentazioni contrapposte dall'appellante a quelle esposte nella decisione gravata siano tali da inficiarne il fondamento logico giuridico (Cass. 18 settembre 2015, n. 18307); esso cioè prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice

siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l'impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano anche indicate, oltre ai punti e ai capi formulati, e seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell'impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure (Cass. 20 marzo 2013, n. 6978). Ora, i motivi esposti soddisfano tali condizioni, dal momento che valgono a individuare le precise ragioni di dissenso rispetto alla sentenza impugnata che, ad avviso della parte appellante, ne avrebbero dovuto giustificare la riforma.

Col settimo motivo viene sollevata una censura per violazione e falsa applicazione dell'art. 26 d.p.r. n. 602/1973, in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c.: la sentenza impugnata non aveva considerato che il detto articolo conteneva delle precise prescrizioni (riguardanti la persona incaricata della notificazione, l'esibizione, assieme all'avviso di ricevimento, della matrice o della copia della cartella notificata, la legittimazione della persona diversa dal destinatario a mani della quale la consegna dell'atto poteva essere eseguita), che non erano state rispettate.

Con l'ottavo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 2697, 2° co. c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c.: il tribunale aveva accolto la domanda dell'appellante, benché questi non avesse dato prova del proprio assunto con l'esibizione della matrice o della copia della cartella e con la sottoscrizione dell'avviso di ricevimento da parte di un soggetto legittimato.

Il nono motivo lamenta omessa motivazione sull'avvenuta notificazione della cartella di pagamento, a norma dell'art. 360, n. 5 c.p.c.. La sentenza impugnata aveva ritenuto la rituale notificazione della cartella sulla base di affermazioni apodittiche e di mere supposizioni.

Col decimo motivo si prospetta una nullità della sentenza ex art. 111, 6° co. Cost., 132, n. 4 c.p.c.e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 4 c.p.c.: anche con riguardo al profilo concernente la notificazione della cartella di pagamento viene ravvisata la violazione dell’obbligo di motivazione.

Occorre anzitutto osservare che i denunciati vizi dell'attività notificatoria (con riferimento alla persona incaricata della notificazione e alla consegna del plico a soggetto che non vi sarebbe stato legittimato) presentano carattere di novità, in quanto non risulta siano stati fatti valere avanti al giudice di pace, a seguito del deposito dell'avviso di ricevimento della cartella: essi, per la verità, non risultano nemmeno prospettati con la comparsa di risposta avanti al tribunale (allorquando, peraltro, la deduzione di tali questioni doveva ritenersi preclusa).

Con specifico riferimento al contenuto del plico notificato, il tribunale, con motivazione congrua, che si sottrae a censura, ha poi rilevato che l'avviso di ricevimento attestava che l'atto recante un preciso numero identificativo era stato ricevuto il 13 marzo 2001 e che l'odierno ricorrente non aveva chiarito quale diverso atto, recante quel numero, fosse contenuto all'interno del plico recapitato: da ciò ha fatto discendere che il suddetto numero fosse riferito proprio alla cartella esattoriale di cui si dibatte.

Si osserva, in proposito, che questa Corte, con riferimento alla notifica del verbale di accertamento e dell'ordinanza ingiunzione, ha affermato che la loro rituale notificazione a mezzo del servizio postale attestata dai rispettivi avvisi di ricevimento, implica la conoscenza legale di tali atti in capo al destinatario, dovendosi, pertanto, escludere che spetti al mittente l'onere di fornire la prova anche del contenuto del plico notificato (Cass. 30 luglio 2013, n. 18252): e tale conclusione è del resto in linea con quanto comunemente affermato, sul piano del diritto sostanziale, in tema di spedizione di atti a mezzo di lettera raccomandata (per tutte: Cass. 25 novembre 2015, n. 24054; Cass. 24 giugno 2013, n. 15762).

Né vale obiettare alcunché con riguardo alla documentazione della matrice o della copia della cartella, dal momento che spettava al giudice del merito, il cui accertamento è insindacabile nella presente sede, la verifica della riferibilità degli elementi probatori sottoposti al proprio esame alla cartella esattoriale che si assumeva notificata, e a cui si riconnetteva la pretesa dell'ente impositore.

L'undicesimo motivo censura la pronuncia impugnata per una sua nullità ex art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 4 c.p.c.: l’appellato aveva fatto valere nelle proprie conclusioni in appello la subordinata domanda di accertamento dell'intervenuta prescrizione delle sanzioni ex art. 28 l. n. 689/1981, su cui il tribunale non aveva pronunciato.

Il motivo non coglie nel segno e va disatteso.

Il mezzo è veicolato dal richiamo dall'art. 112 c.p.c., ma nella fattispecie l'omessa pronuncia è da escludere, in quanto il giudice di appello ha qualificato la domanda come recuperatoria, ritenendola finalizzata al reimpiego dell'esercizio del mezzo di tutela operante nei confronti degli atti sanzionatori (artt. 21 ss. l. n. 689/1981). In tal senso va infatti intesa l'affermazione del tribunale secondo cui era decorso infruttuosamente il termine contemplato dall'art. 22 l. n. 689/1981 per l'impugnativa dell'intimazione di pagamento. Ora, il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurabile allorché manchi completamente l'esame di una censura mossa al giudice di primo grado, mentre non ricorre nel caso in cui il giudice d'appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda (Cass. 14 gennaio 2015, n. 452; Cass. n. 25 settembre 2012, n. 16254). L'istante avrebbe dovuto dunque semmai aggredire la decisione censurando la qualificazione spesa dal giudice del gravame. In base a detta qualificazione, difatti, risultava precluso, una volta accertata la tardività dell'opposizione ex l. n. 689/1981, di prendere in esame il merito delle questioni prospettate nel ricorso.

Col dodicesimo motivo è proposta una censura per violazione e falsa applicazione dell'art. 91, 1° co. c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c.: il tribunale aveva condannato l’appellato al pagamento delle spese del primo grado di giudizio liquidando d'ufficio, in mancanza di nota spese, € 707,00 per diritti e onorari, senza considerare che E. era rappresentata avanti al giudice di pace da un proprio dipendente.

Col tredicesimo motivo si deduce omessa motivazione sulla liquidazione delle spese di soccombenza del primo grado, in relazione all'art. 360, n. 5 c.p.c.: il tribunale non aveva infatti motivato la liquidazione operata per diritti, onorari e spese generali con riguardo al primo grado di giudizio.

Il quattordicesimo motivo contiene una censura per nullità della sentenza ex art. 111, 6° co. Cost., 132, n. 4 c.p.c.e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 4 c.p.c.: doveva ravvisarsi una nullità della pronuncia per l'omessa motivazione in punto di spese processuali.

I motivi sono da accogliere.

L'autorità amministrativa che ha emesso il provvedimento sanzionatorio, quando - come nel caso in esame - sta in giudizio personalmente o avvalendosi di un funzionario appositamente delegato (il che è consentito dall'art. 23, 5° co. l. n. 689/1981), non può ottenere la condanna dell'opponente, che sia soccombente, al pagamento dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, difettando le relative qualità nel funzionario amministrativo che sta in giudizio, per cui sono, in tal caso, liquidabili in favore dell'ente le spese, diverse da quelle generali, che abbia concretamente affrontato in quel giudizio e purché risultino da apposita nota (Cass. 24 maggio 2011, n. 11389; Cass. 27 agosto 2007, n. 18066). Deve escludersi, dunque, che il ricorrente potesse essere condannato al pagamento delle spese processuali sostenute da E., costituita in primo grado senza il ministero di difensore, per diritti e onorari.

La sentenza va quindi sul punto cassata, con eliminazione, dalla sentenza di appello, della statuizione di condanna alle spese del giudizio avanti al giudice di pace.

L'esito complessivo del giudizio di legittimità consente di compensarne le spese.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il 12°, il 13° e il 14° motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e decidendo nel merito dispone nulla sia dovuto dal ricorrente per spese processuali con riferimento al primo grado del giudizio; compensa le spese del giudizio di legittimità.