Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 aprile 2016, n. 8254

Rapporto di lavoro - Personale militare - Indennità di campagna - Spettanza

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte d'Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con la sentenza n. 637 del 2011, ha rigettato l'impugnazione proposta da Barretta Carmine e altri, nei confronti del Ministero della difesa, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Tempio Pausania il 6 ottobre 2010, n. 179/10, che non aveva riconosciuto ai ricorrenti, personale civile dipendente del suddetto Ministero, il diritto a percepire l'indennità di impiego operativo per reparti di campagna (cosiddetta indennità di campagna), di cui all'art. 3 della legge n. 78 del 1983, indennità attribuita al personale militare.

2. La Corte d'Appello ha rigettato l'impugnazione, ponendo a fondamento della decisione la seguente motivazione.

Precisa la Corte d'Appello che oggetto del contendere è la spettanza, o meno della indennità di campagna, originariamente disciplinata dall'articolo 3 della legge n. 78 del 1983, che prevede che ad ufficiali, sottufficiali (nonché graduati e militari di truppa), in servizio presso individuati luoghi, definiti unità di campagna, è concessa un'indennità denominata di impiego operativo per reparti di campagna.

La norma indicata ha chiaro ed esclusivo riferimento ai soli militari.

Il d.P.R. n. 395 del 1995 ha poi sostituito la previgente tabella di detta indennità, per i vari gradi dei militari presenti nelle forze armate, e al n. 9 dell'art. 5 ha previsto che "l'indennità di cui all'articolo 3 della legge n. 78 del 2003, compete anche personale che, nella posizione di forza amministrata, è impiegato, in maniera continuativa nelle stesse condizioni ambientali, addestrative ed operative dei soggetti che sono in forza effettiva organica presso gli Enti e i Reparti indicati nell'art. 3".

Da tale previsione gli appellanti facevano derivare il proprio diritto, in quanto dipendenti civili, a percepire la indicata indennità. La relativa domanda era stata rigettata dal Tribunale di Tempio Pausania rilevando che l'art. 1 del d.P.R. disciplina esclusivamente il personale militare, sostanzialmente, perciò, non vi sarebbe stata alcuna apertura al personale civile che presta servizio in quegli stessi luoghi riportati nella legge n. 78 del 1983.

2.1. Tanto precisato, la Corte d'Appello ha ritenuto che la premessa dalla quale muove il Tribunale di Tempio non è superabile, difatti l'art. 1 del d.P.R. n. 394 del 1995 che reca "Recepimento del provvedimento di concertazione del 20 luglio 1995 riguardante il personale delle Forze armate (Esercito, Marina e Aeronautica)" trova applicazione esclusivamente per il personale militare dell'Esercito, Marina ed Aeronautica.

L'estensione prevista dall'art. 5, comma 9, del d.P.R. n. 394 opera in favore di quei soggetti che, ai sensi dell'art. 1 appartengono alla carriera militare, sono in posizione di forza amministrata, ovvero forza effettiva, aggregata e potenziale, nella sua diversificata composizione ex d.P.R. n. 167 del 2006, e operano con le stesse modalità dei soggetti in forza effettiva organica. Dunque, si tratta di personale, sempre militare, ma che non è in forza effettiva organica.

Se pure è vero che i civili operano in connessione con i militari, che dipendono dal medesimo Comandante o devono osservare le sue direttive, ciò non è rilevante dal punto di vista del diritto all'indennità di campagna, che introdotta dalla legge n. 78 del 1983 per il personale militare in organico e in servizio in determinati luoghi, è stata estesa nel 1995 al personale militare non inserito nei ruoli organici, e ciò non può portare a censure di violazione dei principi di uguaglianza e parità di trattamento, rilevato che lo status del personale militare e di quello civile è differente.

Il d.P.R. n. 394 del 1995 ha recepito il provvedimento con il quale si è definito il trattamento economico del personale militare con le rappresentanze, appunto, del personale militare.

Tale provvedimento non avrebbe potuto riguardare il personale civile, i cui trattamenti economici, principali ed accessori, a differenza di quelli personale militare, sono regolati esclusivamente mediante contratti collettivi, che prevedono anche un fondo unico amministrazione per compensare eventuali prestazioni in situazioni disagiate, né si poteva affermare una completa equiparazione tra personale militare e personale civile del Ministero della difesa.

Il primo continua ad essere militare, anche in periodo di pace, è assoggettato alla giurisdizione del giudice amministrativo, i trattamenti economici e normativi sono determinati per legge, è soggetto ad una particolare differenziata disciplina, alle attività di vigilanza e di addestramento che non coinvolge il personale civile. Il secondo vede, ai sensi del d.P.R. n. 165 del 2001, i trattamenti definiti per contrattazione collettiva.

La Corte d'Appello ha evidenziato, altresì, che la indennità di cui si discute è parametrata per gradi militari, ulteriore riprova del fatto che i destinatari sono soli militari e delle impossibilità di riferire detta parametrazione al personale civile.

3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorrono i lavoratori, prospettando tre motivi di ricorso.

4. Resiste con controricorso il Ministero della difesa.

5. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 78 del 1983 e del d.P.R. n. 394 del 1995; degli artt. 1 e 5, comma 9, in collegamento con l'art. 65 del d.P.R. n. 1076 del 1976 e con l'art. 18 del d.P.R. n. 167 del 2006, che contiene la definizione normativa di forza amministrata, laddove spiega che "il personale militare e civile amministrato dagli enti costituisce forza amministrata".

Assumono i ricorrenti che il riconoscimento nei loro confronti dell'indennità di campagna in questione trova fondamento nell'estensione della medesima, sancita dall'art. 5, comma 9, del d.P.R 354 del 1995, alla forza amministrata che ricomprende sia il personale militare che quello civile, come si evince dall'art. 65 del d.P.R. n. 1076 del 1976.

Il diritto a un trattamento paritario nel lavoro di impiego pubblico trova, peraltro, riscontro nella giurisprudenza di legittimità e in quella costituzionale, nonché nella giurisprudenza di merito, in ragione del principio di parità di trattamento che informa il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, che va coniugato con il canone di buon andamento dell’amministrazione.

La sentenza di Appello, operava una mera interpretazione letterale, senza considerare la situazione di fatto esistente, e che erano gli Enti/Reparti (tra cui quello cui appartengono i ricorrenti i cui colleghi militari, che svolgono anche mansioni amministrative, percepiscono l'indennità di campagna) ad esser considerati ab origine dal Ministero della difesa aventi diritto all'indennità di campagna/supercampagna, con proprio provvedimento. Da ciò discende che tale indennità compete a tutta la forza amministrata impiegata in detti Enti/Reparti.

La disciplina in esame deve essere oggetto di interpretazione evolutiva, diversamente incorrendosi in contraddizione, atteso che il legislatore fa uso di un concetto ampio ed elastico quale quello di forza amministrata, senza ulteriori specificazioni, non escludendo il personale civile.

Né una interpretazione estensiva sarebbe impedita dall'art. 1, comma 1, del dPR n. 394 del 1995, in quanto lo stesso perimetra solo l'ambito militare d'applicazione della normativa al solo fine d'escludere al suo interno alcune categorie (quali i Carabinieri).

1.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

Occorre precisare, in via preliminare, che i ricorrenti (personale civile operante alle dipendenze del Ministero della difesa presso l'Ente Marina Militare de La Maddalena) hanno chiesto l'applicazione in loro favore dell'art. 5, comma 9, del d.P.R. 394 del 1995 (Recepimento del provvedimento di concertazione del 20 luglio 1995 riguardante il personale delle Forze armate - Esercito, Marina e Aeronautica), che ha previsto l'erogazione della indennità di campagna di cui all'art. 3, comma 1, della legge n. 78 del 1983, anche al personale che nella posizione di forza amministrata è impiegato in maniera continuativa nelle stesse condizioni ambientali, addestrative ed operative dei soggetti che sono in forza effettiva organica presso gli Enti ed i Reparti elencati nel medesimo art. 3.

Pertanto, il thema decidendum verte sul riconoscimento dell'indennità di campagna, restando estranea al presente giudizio ogni questione relativa alla distinta indennità di supercampagna, istituto incidentalmente richiamato nel primo motivo di ricorso.

1.2. L'art. 1 della citata legge n. 78 del 1983, che disciplina le indennità operative del personale militare (l'evoluzione del quadro normativo deve tener conto anche della legge 6 marzo 1958, n. 192 e del la legge 5 maggio 1976 n. 187, oggi abrogate), prevede che a quest'ultimo - personale militare dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica - compete un particolare trattamento economico in relazione alla peculiarità dei doveri che distinguono la condizione militare nelle sue varie articolazioni, determinando uno speciale stato giuridico, di carriera e di impiego contrassegnato da particolari requisiti di idoneità psico-fisica, dalla assoluta e permanente disponibilità al servizio ed alla mobilità di lavoro e di sede, dalla specialità della disciplina, dalla selettività dell'avanzamento e dalla configurazione dei limiti di età.

In particolare, quale compenso per il rischio, per i disagi e per le responsabilità connessi alle diverse situazioni di impiego derivanti dal servizio sono istituite le indennità dì impiego operativo di cui alla medesima legge, tra le quali l'indennità di impiego operativo per i reparti campagna, per cui è causa.

Può, in proposito, ricordarsi la ratio delle indennità, nelle quali rientra l'indennità di campagna, della cui estensione si discute, come chiarita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 278 del 1995, che ha affermato: «le indennità di impiego operativo disciplinate dalla legge 23 marzo 1983 n. 78 (radicalmente modificativa del previgente regime) si atteggiano, secondo la stessa definizione legislativa, come un peculiare trattamento economico da porsi in relazione col particolare "status" dei militari, quale compenso per il rischio, per i disagi e per le responsabilità connesse alle diverse situazioni di impiego. Queste ultime sono valutate, in una molteplicità di previsioni normative, con riguardo alle specializzazioni ed alle attività dei militari, e comportano l'erogazione di svariati incrementi percentuali dell'indennità operativa di base nonché l'eventuale attribuzione di alcune indennità supplementari, nonché una serie di maggiorazioni percentuali in connessione con l'espletamento di specifiche e più gravose mansioni».

1.3. Dunque, l'indennità in questione è attribuita in relazione alla peculiarità dei doveri che distinguono la condizione militare nelle sue varie articolazioni, determinando uno speciale stato giuridico contrassegnato da particolari requisiti.

Ritiene il Collegio che l'attribuzione della indennità di campagna ex art. 5, comma 9, d.P.R. 394 del 1995, ha come presupposto lo status di militare del dipendente (Esercito, Marina, Aeronautica), e proprio perché in presenza di tale medesimo status giuridico, il legislatore ha inteso parificare il trattamento retributivo di coloro che operano nelle stesse condizioni ambientali, addestrative e operative, come specificato nella disposizione da ultimo richiamata.

L'art. 5, comma 9, del d.P.R. n. 394 del 1995, opera pur sempre con riguardo al personale militare e, dunque, non attribuisce ai ricorrenti, personale civile, il diritto a percepire l'indennità in esame, né detta norma sollecita dubbi di costituzionalità, né si presta ad una interpretazione estensiva o evolutiva.

1.4. Va rilevato che il d.P.R. n. 394 del 1995, che recepisce il provvedimento di concertazione del 20 luglio 1995, riguardante il personale delle Forze armate, si applica, come espressamente previsto dall'art. 1, al personale militare dell'Esercito (esclusa l'Arma dei Carabinieri), delta Marina e dell'Aeronautica, con esclusione dei dirigenti e del personale di leva.

La presenza nelle Forze armate di personale civile e di personale militare non esclude la distinta disciplina dei rapporti di impiego e del trattamento economico.

Il significato che, nell'art. 5, comma 9, del d.P.R. 394 del 1995, assume il riferimento alla forza amministrata non può essere determinato solo con riguardo alla nozione generale della stessa, che si rinveniva già nell'art. 18 del d.P.R. n. 167 del 2006 e, ora, nell'art. 455 del d.P.R. n. 90 del 2010, come richiamata dai ricorrenti: "La forza amministrata è composta dal personale militare e civile amministrato dagli organismi", ma tenendo presente la nozione di forza effettiva organica nell'ambito della forza amministrata.

L'indennità di campagna è stata estesa al personale militare nella posizione di forza amministrata impiegato in maniera continuativa nelle stesse condizioni ambientali, addestrative ed operative del personale militare della forza amministrata in forza effettiva organica presso gli Enti ed i Reparti elencati ne! medesimo art. 3 della legge n. 78 del 1983.

Quindi il rilievo del citato art. 5, comma 9, ai fini del riconoscimento del diritto all'indennità di campagna, è nell'equiparazione, in presenza di determinate condizioni, del personale militare della FOAM - forza amministrativa, al personale militare della FOAM che costituisce FEO - forza effettiva organica, e non all'equiparazione tra personale civile e personale militare della FOAM.

Il giudice amministrativo ha così letto l'art. 5, comma 9, del d.P.R. 394 del 1995, nel senso che lo stesso ha esteso il beneficio anche al personale militare in servizio presso le strutture di supporto necessarie al funzionamento di quelle menzionate nell'art. 3 della legge n. 78 (cfr. CdS, decisione n. 2046 del 2011; TAR Piemonte, sentenza n. 1218 del 2012; TAR Campania, sentenza n. 7735 del 2009).

1.5. In ragione dei tenore e della ratio della norma, non può procedersi all'interpretazione evolutiva chiesta dai ricorrenti o ad una interpretazione estensiva.

Ciò, considerato che l’interpretazione estensiva tende a comprendere nella portata concreta della norma tutti i casi da essa anche implicitamente considerati, quali risultanti non solo dalla lettera ma anche dalla ratio della disposizione (v. Cass., S.U., n. 11930 del 2010), e l’interpretazione evolutiva, tende ad adeguare la formula legislativa ai mutamenti economico-sociali o tecnici intervenuti nel tempo. Nella sostanza l'estensione in questione, non ha mutato la ratio per cui l'indennità di campagna veniva riconosciuta al personale militare.

1.6. Né l'art. 5, comma 9, si presta a dubbi di costituzionalità sia pure sotto il profilo della non manifesta infondatezza, con riguardo ai principi di uguaglianza e parità di trattamento.

Occorre considerare che la Corte costituzionale ha, infatti, affermato che «il parametro della eguaglianza non esprime la concettualizzazione di una categoria astratta, staticamente elaborata in funzione di un valore immanente dal quale l'ordinamento non può prescindere, ma definisce l'essenza di un giudizio di relazione che, come tale, assume un risalto necessariamente dinamico» (sentenza n. 89 del 1996). Pertanto, poiché «il principio di eguaglianza esprime un giudizio di relazione in virtù del quale a situazioni eguali deve corrispondere l'identica disciplina e, all'inverso, discipline differenziate andranno coniugate a situazioni differenti, ciò equivale a postulare che la disamina della conformità di una norma a quel principio deve svilupparsi secondo un modello dinamico, incentrandosi sul "perché" una determinata disciplina operi, all'interno del tessuto egualitario dell'ordinamento, quella specifica distinzione, e quindi trarne le debite conclusioni in punto di corretto uso del potere normativo» (sentenza n. 241 del 2014).

La giurisprudenza costituzionale ha, altresì, affermato (Corte cost. n, 155 del 2014) che la violazione del principio di uguaglianza sussiste qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili (ex plurimis: sentenza n. 108 del 2006, n. 340 e n. 136 del 2004).

Particolarmente significativa, nell'applicare tali principi con riguardo al lavoro pubblico contrattualizzato e non (come nella specie) è la sentenza n. 178 del 2015, che nell'escludere una disparità di trattamento afferma: «Il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere in tutto e per tutto assimilati (sentenze n. 120 del 2012 e n. 146 del 2008) e le differenze, pur attenuate, permangono anche in séguito all'estensione della contrattazione collettiva a una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

La medesima eterogeneità dei termini posti a raffronto connota l'area del lavoro pubblico contrattualizzato e l'area del lavoro pubblico estraneo alla regolamentazione contrattuale. Tale eterogeneità preclude ogni plausibile valutazione comparativa sul versante dell'art. 3, primo comma, Cost. e risalta ancor più netta in ragione dell'irriducibile specificità di taluni settori (forze armate, personale della magistratura), non governati dalla logica del contratto».

La Corte costituzionale ha, altresì, escluso «la possibilità di istituire un utile raffronto, a causa della mancanza di omogeneità, tra le categorie degli appartenenti a Corpi diversi, anche se caratterizzati dalla comune appartenenza all’ordinamento militare» (ordinanza n. 83 del 2009), e che «non è configurabile una violazione dell'art. 3 della Costituzione in relazione al principio di uguaglianza invocato dal giudice rimettente in quanto, in ragione della specialità degli ordinamenti posti a confronto in relazione alle funzioni assolte dalle singole Armi, le posizioni poste in comparazione non sono tra loro omogenee, così che la scelta compiuta dal legislatore con la norma censurata non può considerarsi arbitraria».

Nella specie, quindi, il diverso status del personale militare e di quello civile, che determina l'attribuzione dell'indennità in questione solo al primo, in ragione della ratio della medesima, esclude che il differente trattamento dia luogo a dubbi di legittimità costituzionale.

1.7. La decisione della Corte d'Appello è dunque corretta e adeguatamente motivata, tenuto conto, in particolare, che il giudice di secondo grado nell'escludere l'attribuzione della indennità di campagna ha affermato che non può operarsi una completa equiparazione tra personale militare e civile del Ministero della difesa, in ragione del differente status giuridico.

2. Con il secondo motivo di ricorso viene prospettata la violazione e falsa applicazione del contratto - accordo collettivo nazionale del comparto ministeri 1998/2001, art. 28 lettere f-h.

La contrattazione del Comparto ministeri, all'art. 28, rubricato "struttura della retribuzione", indica quali componenti oltre allo stipendio tabellare (lettera a), anche altre indennità previste da specifiche disposizioni di legge (lettera h), con fonte e predeterminazione legale (tra le quali può rientrare, ad avviso dei ricorrenti, l'indennità di campagna). Pertanto, è proprio l'art. 28, lettera h), che prevede che nella struttura della retribuzione possa essere inserita l'indennità operativa di campagna di cui si controverte.

Non è dunque corretta l'affermazione della Corte d'Appello secondo cui il trattamento principale ed accessorio del personale civile sarebbe esclusivamente disciplinato dalla contrattazione collettiva. Né è pertinente il richiamo al Fondo unico amministrazione per compenso eventuali prestazioni in situazione disagiate, dato che detto Fondo è percepito anche dai militari e quindi ha una ratio diversa dall'indennità di campagna.

Ad avviso dei ricorrenti, quindi, la suddetta indennità deve essere riconosciuta e deve essere parametrata in ragione della tabella di corrispondenza dei ruoli, delle qualifiche, ed oggi, ai profili del personale civile ex CCNL del 14 settembre 2007.

2.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato. Ed infatti, in ragione del rigetto del primo motivo di ricorso, manca il presupposto - indennità prevista da specifiche disposizioni di legge - posto dai ricorrenti a fondamento dell'operatività della disposizione convenzionale richiamata, e il riferimento al Fondo unico esula dalla ratio decidendi della sentenza di appello, come precisata nell'esaminare il primo motivo di ricorso, ed integra un mero obiter dictum.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta omessa, contraddittoria ed illogica, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia ex art. 360, n. 5, c.p.c.. (si applica il nuovo art. 360, n. 5, c.p.c.).

Assumono i ricorrenti che si è in presenza di motivazione apparente e che la Corte d'Appello non ha vagliato i sei motivi di appello e i precedenti richiamati (tra cui Corte d'Appello di Lecce, passata in giudicato), e non ha operato una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni in esame.

3.1. Il motivo in parte è non fondato, e in parte è inammissibile, e deve essere rigettato.

Non è ravvisabile il dedotto vizio quanto al contenuto, peraltro riportato in modo sintetico ai limiti dell'autosufficienza del ricorso, dei motivi dì appello 1-5, come indicati dai ricorrenti, atteso che la Corte d'Appello, investita con gli stessi della interpretazione della disciplina regolatrice della fattispecie in esame, procedeva con articolata motivazione alla ricognizione e definizione del contenuto normativo della stessa, prendendo in esame, altresì, i parametri costituzionali di uguaglianza e parità di trattamento.

Il motivo si presenta inammissibile con riguardo alla dedotta mancata motivazione sulla richiesta di ammissione di mezzi istruttori, atteso che quest'ultimi non sono precisati, anche al fine del vaglio di decisività degli stessi da parte di questa Corte.

4. Il ricorso deve essere rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento di euro tremilacinquecento per compensi professionali oltre spese prenotate a debito.