Prassi - MINISTERO LAVORO E POLITICHE SOCIALI - Nota 16 marzo 2016, n. 5199

Deposito presso le DTL di verbali di conciliazione in sede sindacale ex art. 411 c.p.c.. Richiesta di parere.

 

Codesto Ufficio ha inoltrato alla scrivente il quesito relativo alla ampiezza della verifica demandata alle Direzioni Territoriali del Lavoro ai fini del deposito ex art. 411 c.p.c.. La richiesta di parere è stata occasionata dal diniego di codesto Ufficio al deposito di verbali di conciliazione in sede sindacale redatti dall'USI (Unione Sindacale Italiana) di Foggia. Il diniego è stato motivato in base all'assenza, nella lettura dei verbali, dell'elemento "...di ammissibilità della procedura del deposito ovvero che la conciliazione sia stata raggiunta nel rispetto delle procedure previste nei contratti o accordi collettivi, in riferimento alla circolare ministeriale n. 1138/G/77 del 17.03.1975, nonché, in via sussidiaria, dal momento che "l'associazione sindacale non risulta firmataria di CCNL (settore commercio, metalmeccanico, lavoro domestico)".

Tale motivazione sarebbe censurabile, secondo l'opposta ricostruzione del sindacato coinvolto, in ragione delle modifiche apportate al codice di rito nella materia de qua, particolarmente in seguito alla profonda revisione dell'art. 410 c.p.c. (art. 31, L. 4 novembre 2010, n. 183 - cd. collegato lavoro), che renderebbero sul punto ormai inconferente la citata circolare del 1975. La stessa, infatti, nel trattare il procedimento di conciliazione in sede sindacale alla luce della normativa allora vigente, individua un "collegamento implicito" fra l'art. 411, co. 3, c.p.c., e l'art. 410 c.p.c., e richiede di conseguenza che le conciliazioni in sede sindacale, rispetto alle quali si chiede il deposito del verbale presso la DTL territorialmente competente, avvengano "secondo le procedure previste da contratti o accordi collettivi" (richiamando quanto allora previsto esplicitamente dall'art. 410 c.p.c.). La riforma dell'art. 410 c.p.c., la cui formulazione attuale non contempla più il riferimento alle conciliazioni in sede sindacale, avrebbe travolto l'implicito collegamento individuato dalla circolare in commento, e non richiederebbe più la verifica del rispetto delle "procedure previste da contratti o accordi collettivi", limitando il controllo del Direttore territoriale all'autenticità dell'atto. Di conseguenza, il deposito di verbali di conciliazione in sede sindacale presso la DTL, ancora previsto dall'art. 411 c.p.c., non potrebbe essere negato, se non in caso di accertata non autenticità del verbale. Pertanto, sarebbe illegittimo il diniego opposto dall'Ufficio territoriale al deposito di una conciliazione avvenuta in sede sindacale che non fosse esclusivamente motivato in riferimento all'inciso dell'art. 411 c.p.c..

In riferimento a tale ricostruzione, d'intesa con la Direzione generale delle relazioni industriali, la scrivente ritiene tuttavia che, in caso di deposito presso la DTL dei verbali di conciliazione in sede sindacale, il Direttore dell'Ufficio territoriale debba verificare - oltre all'autenticità dell'atto, come espressamente richiesto dall'inciso dell'art. 411, co. 3, c.p.c. - anche, e in primo luogo, la stessa integrazione della fattispecie della valida conciliazione in sede sindacale, che deve avvenire "presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative", come dispone l'art. 412-ter c.p.c.

Infatti, il collegamento fra il momento del deposito e quello di una verifica del rispetto delle procedure di fonte contrattual-collettiva, che la circolare del 1975 ricostruiva in via interpretativa, mantiene la sua validità anche in relazione all'attuale contesto ordinamentale, nel quale è stato espunto dall'art. 410 c.p.c. il richiamo esplicito alle "procedure di contratto o accordo collettivo", risultando anzi tale collegamento, nel mutato contesto, maggiormente incisivo nel riferimento dell'art. 412-ter c.p.c. a sedi e modalità "previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative". La revisione della disposizione di cui all'art. 410 c.p.c. non ha infatti comportato il venir meno della norma in esso espressa nella previgente formulazione, che impone il rispetto, in caso di conciliazioni sindacali, di procedure di fonte contrattual-collettiva, e che resta presente nell'ordinamento indipendentemente dalla sedes materiae, attualmente traslata nella autonoma disposizione dell'art. 412 ter c.p.c.

Tale impostazione è altresì sorretta da ulteriori incisivi argomenti.

In primo luogo, il riferimento alla stessa fattispecie di diritto sostanziale alla base delle disposizioni procedurali, cioè la norma sulle rinunzie e transazioni ex art. 2113 c.c., in cui l'invalidità dell'atto dispositivo, prevista in generale, soffre un'eccezione ove esso sia posto in essere in una delle cc.dd. "sedi protette" previste dal Legislatore, cioè nel caso in cui la conciliazione sia "intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, e 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile" (cfr. art. 2113 c.c., ult. co.).

Il riferimento, fra gli altri, all'art. 412-ter c.p.c. rende evidente la scelta ordinamentale di limitare le conciliazioni ex art. 2113 c.c. a sedi che garantiscano un certo gradiente di "istituzionalizzazione".

In secondo luogo l'art. 410 c.p.c., laddove fa riferimento all'"associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato", senza ulteriori specificazioni, si riferisce evidentemente al soggetto che può proporre il tentativo di conciliazione presso le commissioni di conciliazione, in via peraltro solo eventuale e non necessaria, trattandosi di facoltà riconosciuta direttamente in capo al lavoratore.

Nell'economia della norma, quindi, tale riferimento individua il soggetto sindacale nello svolgimento di una funzione di consulenza e assistenza e non di una funzione propriamente conciliativa, che può esplicarsi solo nelle "sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative", secondo la chiara disposizione dell'art. 412-ter c.p.c.

Infine, il controllo previsto dall'art. 411 c.p.c. circa l'accertamento della autenticità del verbale di conciliazione in sede sindacale, lungi dal limitare la verifica richiesta al Direttore degli uffici territoriali ad un rilievo esclusivamente "notarile", non costituisce argomento determinante in senso contrario alla ricostruzione qui proposta, dato che la previsione richiamata era presente anche nel testo previdente dell'articolo in commento.

Pertanto, è possibile, rispondere in modo affermativo al quesito posto da codesto Ufficio, nel senso che per l'utile espletamento dell'attività di deposito di verbali ex art. 411 c.p.c., il soggetto sindacale deve risultare in possesso di elementi di specifica rappresentatività. In riferimento alle difficoltà operative che comporterebbe per gli Uffici la verifica di tale requisito, espressamente segnalate da codesta Direzione, si ritengono ancora pienamente valide le indicazioni offerte sul punto dalla citata circolare ministeriale del 1975, la quale prevede (punto C, in chiusura) che "al fine di svolgere l'accertamento d'ufficio, il Direttore può richiedere alle parti sindacali di apporre sul verbale espressa dichiarazione di avere adottato le predette procedure", intendendosi per tali non più meramente quelle "previste da contratti o accordi collettivi" del testo previgente dell'art. 410 c.p.c., bensì quelle "previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative" di cui all'art. 412-ter c.p.c..

Tale indicazione appare infatti coerente con la necessità di "sistemizzare" le modifiche dell'istituto sedimentatesi negli anni, e condivide la linea di "responsabilizzazione" del sistema di relazioni industriali propria della circolare del 1975, non smentita dalle profonde modifiche che hanno interessato tale sistema, la quale non impone ai Direttori degli Uffici territoriali verifiche tecnicamente complesse e suscettibili di incidere virtualmente sulle prerogative sindacali (in specie nel mutato quadro attuale di valorizzazione del criterio della maggiore rappresentatività), ma, nel pieno rispetto dell'art. 39 Cost., sposta al livello dell'autoregolamentazione sindacale la responsabilità del rispetto e della corretta applicazione delle indicazioni di fonte legislativa.