Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 aprile 2016, n. 8199

Rapporto di lavoro - Cessazione dal servizio - Trattamento di fine rapporto - Recupero contributi previdenziali

 

Fatto

 

Con distinti ricorsi depositati in data 9.8.2006 davanti al Tribunale di Larino F.P.T. (in proseguo: FPT) spa proponeva opposizione avverso i decreti ingiuntivi emessi dal Giudice del Lavoro dello stesso ufficio ad istanza di A.F, D.F., D.V., D.P., F.R., L.V., V.M., C.E., G.N., G.V. - tutti già dipendenti della società opponente cessati dal servizio negli anni dal 2003 al 2005 - aventi ad oggetto il pagamento delle somme trattenute sulla liquidazione delle competenze di fine rapporto a titolo di recupero della quota di contributi previdenziali a carico del lavoratore.

Esponeva che i lavoratori erroneamente assumevano nel ricorso monitorio di non essere tenuti al pagamento dei contributi posti in recupero, in quanto beneficiari dei provvedimenti emergenziali ex lege 225/1992 - emanati a seguito degli eventi sismici ed alluvionali verificatisi in Molise nel periodo ottobre/novembre 2002 e gennaio 2003 - che prevedevano la sospensione del versamento dei contributi, da ultimo, fino al 31.12.2005 (art. 7 O.P.C.M. 29.11.2002 e successive ordinanze di proroga del termine originario); deduceva che la cessazione del rapporto di lavoro abilitava il datore di lavoro ad esercitare il proprio diritto di rivalsa ex artt. 2115 c.c. e 19 L. 218/1952 e che le somme trattenute all’ex dipendente erano state riversate interamente all’INPS.

In subordine, previa chiamata in causa dell'INPS, chiedeva la condanna dell'Istituto di previdenza alla restituzione delle somme che era stata costretta a pagare al lavoratore in esecuzione della ingiunzione opposta ovvero di quanto indebitamente versato per contributi; rappresentava che il recupero contributivo mediante trattenuta sul TFR era avvenuto in ottemperanza alle prescrizioni dell'ente previdenziale (messaggio INPS 160/2003), al quale doveva imputarsi ogni responsabilità della eventuale illegittimità della trattenuta.

Il Giudice del lavoro, autorizzata la chiamata in causa dell'INPS, con sentenza del 23.10/25.10.2007 nr. 329 rigettava la opposizione nonché le domande subordinate proposte verso l'INPS.

Con ricorso del 22.5.2008 proponeva appello FPT spa, contestando nel merito l'assunto della esistenza del diritto dei singoli lavoratori a beneficiare della sospensione del versamento dei contributi previdenziali e della rateizzazione previste dalle ordinanze di emergenza ed invocando la normativa primaria sul diritto di rivalsa contributiva.

In via gradata censurava il rigetto delle domande subordinate avanzate nei confronti dell’INPS.

Si costituivano l'INPS e gli ex dipendenti A.F., D.F., D.V., D.P., F.R., L.V., V.M., chiedendo il rigetto dell'appello.

C.E., G.N., G.V. restavano contumaci

La Corte d'Appello di Campobasso, con sentenza del 27.11/26.12 - 2009 nr. 641 rigettava l'appello.

Il giudice dell’appello, pur riconoscendo che il beneficio della sospensione dei contributi previdenziali ed assistenziali previsto dalla normativa di emergenza operava esclusivamente in favore dei datori di lavoro privati e non già rispetto ai lavoratori, confermava la illegittimità della trattenuta effettuata dalla F. in unica soluzione al momento della cessazione del rapporto ritenendo inapplicabile nella fattispecie l'autotutela di cui all'art. 19, comma 2 L. n. 218 del 1952, la quale "riconnette la trattenuta della quota di contributi non alla retribuzione comunque corrisposta, ma solo a quella che è erogata alla scadenza del periodo di paga cui il contributo si riferisce".

La Corte aggiungeva che la F. non aveva esercitato una ordinaria azione di rivalsa bensì la specifica rivalsa di cui all'art. 19, comma 2 citato ed, "ad abundantiam"che, quand'anche essa avesse esercitato una ordinaria azione di rivalsa, sarebbe stato preclusivo il rilievo del difetto dei relativi presupposti, in quanto la rivalsa è diretta al recupero di quanto già pagato in adempimento di un debito altrui laddove la F. aveva prima trattenuto le somme dai lavoratori e solo successivamente provveduto al versamento all'INPS.

Inoltre il diritto alla rivalsa non poteva comunque eccedere l'importo di quanto dovuto all'INPS dal lavoratore -per la quota di contributi a suo carico- al momento dell' esercizio della rivalsa stessa .

Infine la Corte territoriale confermava il rigetto della domanda di manleva proposta nei confronti dell'INPS, rilevando che- avendo la F. operato il pagamento di un debito non scaduto (stante la pendenza della sospensione e la previsione di una restituzione rateizzata)- la ripetizione era esclusa dall'art. 1185 c.c, comma 2. Neppure poteva individuarsi responsabilità dell'INPS per il contenuto del messaggio nr. 106/2003, con cui l'INPS dava indicazioni per il recupero della quota a carico del lavoratore in caso di cessazione del rapporto di lavoro, in quanto il messaggio, peraltro modificato con successivo messaggio n. 105 del 13.7.2004, non era atto vincolante per il datore di lavoro e neppure ineriva al rapporto previdenziale con l'Istituto.

Per la Cassazione della sentenza ricorre FPT spa, articolando cinque motivi. Resistono con unico atto L.V., V.M., C.E., A.A. ed A.G. nella qualità di eredi di A.F., F.R., che propongono altresì ricorso incidentale, articolato in un unico motivo.

Resiste con controricorso l'INPS.

Sono rimasti intimati D.F., D.V., D.P., G.N., G.V.

FPT spa ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale nonché memoria ex art. 378 cpc.

 

Diritto

 

Si precisa che il presente ricorso riguarda i soli giudizi introdotti dai già dipendenti della F.P.T. spa - odierni controricorrenti o intimati- e non anche la domanda proposta da Salerno Stefano quale ex dipendente della società F.I.S. spa, riunita nello stesso giudizio di appello.

Preliminarmente deve essere esaminata la eccezione di inammissibilità del ricorso opposta dai dipendenti controricorrenti per il decorso alla data della notifica ( il 10.12.2010) del termine dì sei mesi dalla pubblicazione della sentenza ( In data 16.12.2009).

La eccezione è infondata.

A tenore dell'articolo 58 co. 1 della legge 69/2009 la riduzione del termine lungo di impugnazione, da un anno a sei mesi dalla pubblicazione della sentenza impugnata - (disposta dal precedente articolo 46 co. 17 dello stesso testo normativo) - è applicabile ai soli giudizi instaurati successivamente al 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della stessa legge.

Va premesso che per instaurazione del giudizio deve intendersi il momento della introduzione della lite in primo grado, restando irrilevante il momento dell'instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio, come già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. II, 17 aprile 2012, n. 6007; sez. VI, 22/09/2014, n. 19943).

Nella fattispecie è pacifico che il giudizio di primo grado è stato introdotto prima della data indicata sicché resta applicabile il termine di impugnazione annuale. Sotto il profilo delle questioni preliminari deve essere poi esaminata la questione di inammissibilità del ricorso incidentale, opposta da FPT spa, sempre sotto il profilo del decorso del termine di impugnazione.

Assume la società che il capo di pronunzia oggetto dei ricorso incidentale-dichiarativo della insussistenza del diritto dei lavoratori alla sospensione dei contributi- costituiva statuizione autonoma non investita dal ricorso principale, che pertanto doveva essere oggetto di ricorso nel termine di cui all'art. 327 cpc.

La eccezione è infondata.

L'art. 334 c.p.c.consente alle parti contro le quali è proposta impugnazione di proporre impugnazione incidentale anche se per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza. La ratio della disposizione sta nell'opportunità di consentire alla parte di accettare la decisione, in condizione di reciproca soccombenza, solo se l'abbia accettata anche controparte e di attenderne quindi l'iniziativa senza dover proporre impugnazione. In difetto di limitazioni oggettive tale facoltà opera in relazione a qualsiasi capo della sentenza.

Del resto in difetto della impugnazione della controparte difettava anche l’interesse alla impugnazione del ricorrente incidentale, in quanto parte vittoriosa nel merito su una domanda alternativa sicché la sua soccombenza era soltanto teorica.

L'interesse all'impugnazione incidentale tardiva sorge infatti solo dall'impugnazione principale e può ritenersi soddisfatto solo se il soccombente può impugnare qualsiasi parte della sentenza a lui sfavorevole sia essa quella già investita dall'impugnazione principale sia essa esterna a tale ambito.

Tale esegesi è conforme all'orientamento già espresso da questa Corte - da ultimo con sentenza 27/06/2014, n. 14609 - secondo cui l'impugnazione incidentale mira a rimettere in termini la parte non totalmente vittoriosa, consentendole di chiedere a sua volta di censurare la decisione in relazione ai capi che la vedono soccombente.

In una simile evenienza, che va riferita ad ogni statuizione espressa nella sentenza, non solo dipendente ma anche autonoma rispetto alla censura principale, il termine cui occorre aver riguardo al fine dello scrutinio della tempestività del ricorso incidentale tardivo è perciò quello sancito dall'art. 370 c.p.c. ; l'unica conseguenza sfavorevole dell'impugnazione cosiddetta tardiva è che essa perde efficacia se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile (ex plurimis: Cass. 11 giugno 2008 n. 15483; Cass. 13 febbraio 2012 n. 2026).

1. Con il primo motivo la società lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 112 - 416 e 437 cpc.

Assume che il titolo azionato in sede monitoria consisteva nel diritto dei lavoratori a beneficiare della sospensione e della rateizzazione dei contributi di previdenza previsti dall'art. 7 O.P.C.M. 3253/2002, diritto che il Tribunale nel giudizio di opposizione aveva riconosciuto; la Corte d'Appello, pur ritenendo fondato il motivo di appello proposto sul punto da F.P.T. spa, aveva mutato d'ufficio il titolo della domanda, facendo valere il diritto dei dipendenti alla integrità della retribuzione, che non era stato azionato dai lavoratori.

2. Con il secondo motivo F.P.T. spa assume violazione e falsa applicazione degli articoli 2115 cc., 19 L. 218/952 e dei principi sulla rivalsa contributiva; deduce altresì insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo.

A giudizio della Corte territoriale il datore di lavoro non poteva avvalersi della forma di autotutela prevista dall'articolo 19 co. 2 L. 518/1952 (ndr articolo 19 co. 2 L. 218/1952), in quanto esercitabile soltanto sulla retribuzione erogata alla scadenza del periodo di paga cui i contributi si riferivano.

La ricorrente, premesso che il datore di lavoro nel sistema previdenziale è l’unico debitore dell’intero importo dei contributi e che tale onere trova un punto di equilibrio negli articoli 2115 c.c. e 19 L. 218/1952, che gli attribuiscono diritto di rivalsa verso il lavoratore, assume che il non riconoscere la rivalsa del datore di lavoro sulle competenze dovute alla cessazione del rapporto avrebbe alterato detto equilibrio, imponendo un recupero dai tempi lunghi (la norma di emergenza prevedeva una dilazione in 25 anni) e dall’esito elatorio (per la definitiva assenza di un credito di riferimento su cui operare la trattenuta).

Aggiunge che i precedenti di questa Corte che affermano la possibilità della trattenuta ex lege 218/1952 sulla sola retribuzione corrisposta alla scadenza del periodo di paga cui i contributi si riferiscono attengono a fattispecie di versamento tardivo o parziale dei contributi da parte del datore di lavoro, per le quali opera il disposto sanzionatorio dell'art. 23 L. 218/1952; nella ipotesi di causa era invece pacifico il rituale ed integrale versamento all'INPS della quota di contributi a carico dei lavoratori.

D'altronde il disposto letterale dell'articolo 19 L. 518/1952 non esclude la operatività del meccanismo di autotutela sulle competenze di fine rapporto.

Da ultimo la ricorrente evidenzia la contraddittorietà del decisum rispetto al riconoscimento, contenuto in sentenza, della possibilità del datore di lavoro di operare le trattenute sulla retribuzione in pendenza del periodo di sospensione dei pagamenti contributivi.

3. Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2115 e 1180 cc., dell'art. 112 cpc e del principio del conguaglio tra contrapposte ragioni creditorie nel medesimo rapporto obbligatorio; violazione e falsa applicazione dell'art. 7 O.P.C.M. 3253/2002 e succ. mod. e dell'articolo 6 co.1 bis L. 290/2006; contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La censura investe il punto della sentenza in cui viene affermata la inapplicabilità della rivalsa ordinaria.

La società ricorrente espone di avere allegato sin dal ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo:

- di avere riversato all'INPS, prima della richiesta di ingiunzione, la quota di contribuzione a carico del dipendente trattenutagli all'atto della liquidazione delle competenze di fine rapporto

- di avere diritto a recuperare detta somma a titolo di rivalsa.

Era stato pertanto opposto il proprio diritto alla rivalsa quale fatto impeditivo della pretesa azionata dal lavoratore e sulla relativa eccezione la Corte era tenuta a rendere pronunzia ex art. 112 cpc. (e non ad abundantiam, come affermato in sentenza).

Nel merito deduce la erroneità della pronunzia impugnata laddove, pur riconoscendo al datore di lavoro in linea teorica il diritto alla rivalsa secondo i principi generali, aveva negato la sua invocabilità nella fattispecie concreta inquadrandola come pagamento di debito altrui, che impediva al solvens di pretendere la restituzione di importi eccedenti il debito principale.

La società argomentata trattarsi invece di pagamento di debito proprio del datore di lavoro, unica parte obbligata al pagamento dei contributi, per il quale l’esclusiva norma di riferimento resta l’articolo 2115 c.c. e manca un debito principale del datore costituente limite della rivalsa.

Tale vizio investiva anche il successivo sviluppo logico del decisum, in quanto la sentenza dopo avere dichiaratamente escluso la invocabilità da parte dei lavoratori del beneficio della sospensione contributiva e della restituzione rateale di cui alla normativa di emergenza, di fatto aveva finito per riconoscerlo, con conseguente violazione e falsa applicazione dell'art. 7 OPCM 3253/2002 e dell'art. 6 co.1 bis L. 290/06.

La società assume, dunque, di essere titolare di un credito verso i dipendenti- in ragione del versamento all'Istituto di previdenza della quota dei contributi a loro carico esercitabile in tutte le forme previste dall'ordinamento, inclusa la sua contrapposizione, costituente compensazione impropria, alle richieste di pagamento della retribuzione avanzate dai lavoratori.

4. Con il quarto motivo la società denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cpc. 1241-1242-1243 c.c. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Con tale motivo, in via gradata, la società espone di avere sollevato sin dal primo grado l'eccezione di compensazione, deducendo dì avere operato la trattenuta ai sensi dell'art. 2115 c.c.; tale eccezione era stata reiterata nel ricorso in appello come motivo specifico di impugnazione. Ne conseguiva che - anche a non a volere riconoscere il conguaglio d'ufficio tra le reciproche ragioni creditorie - il credito azionato dal lavoratore andava dichiarato estinto per compensazione - ex artt. 1241 e segg. c.c. - stante la liquidità ed esigibilità del proprio credito di rivalsa.

5. Con il quinto motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 cpc. , 1185 co. 2 cc. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo.

Il motivo, in via ulteriormente gradata, investe il rigetto della domanda subordinata proposta nei confronti dell'INPS per la restituzione delle somme versate; la Corte territoriale motivava la statuizione in applicazione dell'art. 1185 co.2 c.c., sulla non ripetibilità dell'adempimento spontaneo di un debito non scaduto ed evidenziando il carattere non vincolante del messaggio dell'INPS.

La società lamenta il mancato esame del motivo di appello con cui si deduceva la ripetibilità delle somme corrisposte in applicazione della seconda parte del comma 2 dell'art. 1185 cc., essendo stati allegati nel ricorso di primo grado gli elementi di fatto che provavano, da un lato, la perdita subita (quota dei contributi versata, il cui pagamento era sospeso) dall'altro, l'arricchimento dell'INPS (disponibilità anticipata della somma).

Lamenta, altresì, la violazione dell'art. 115 cpc, per avere la Corte territoriale utilizzato nella decisione un documento non presente in atti ovvero il messaggio INPS nr. 105 del 13.7.2004, che aveva asseritamente modificato il precedente messaggio 160/2003, da essa depositato in primo grado.

Deduce la incongruità della affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui essa società non avrebbe dovuto tenere conto del messaggio dell'INPS nr 160, in quanto non vincolante; fa rilevare che il messaggio, per la provenienza e per il tenore prescrittivo, ingenerava un ragionevole affidamento nel datore di lavoro, fonte per l'ente previdenziale di un obbligo risarcitorio.

Il primo motivo è fondato e deve essere accolto.

Preliminarmente va disattesa la eccezione, opposta nel controricorso, di inammissibilità del motivo per mancanza di specificità.

Le norme violate sono state chiaramente indicate in ricorso e la qualificazione del vizio denunziato ai sensi del numero 4 dell'articolo 360 cpc. ben può essere effettuata da questa Corte. Dalla articolazione del motivo è altresì evidente che la denunzia attiene alla modifica della causa petendi operata dal giudice dell'appello rispetto alla domanda articolata dai lavoratori nei rispettivi ricorsi per ingiunzione, fondata sulla sospensione contributiva ex art. 7 OPCM 29.11.2002.

Questa Corte si è già pronunziata in fattispecie del tutto sovrapponibili a quella in esame (Cass. sez. lav. 30 maggio 2012, n. 8646; n. 4963/2012), con indirizzo cui si intende dare in questa sede continuità.

In particolare nei precedenti citati si è rilevato, come secondo un indirizzo già consolidato "anche all'interno del rito di lavoro il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si configura come giudizio ordinario di cognizione e si svolge secondo le norme del procedimento ordinario dinanzi al giudice adito, con la conseguenza che la memoria difensiva dell'opposto, attesa la sua posizione sostanziale di attore, deve osservare la forma della domanda (di cui all'art. 414 cod. proc. civ.) e, pertanto, deve recare, tra l'altro, la determinazione dell'oggetto di essa e l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda; ne consegue che, nella stessa memoria difensiva, è possibile specificare e meglio chiarire detti elementi, al fine di adeguare al carattere e ai principi della cognizione ordinaria la pretesa azionata in via monitoria, nonché modificare, nei limiti della emendati°, e non della mutatio libelli, la domanda proposta in sede monitoria" (v. Cass. 22-4-2004 n. 7688, cfr. fra le altre Cass. 13-9-2003 n. 13467).

Nella fattispecie di causa con il ricorso in sede monitoria i già dipendenti, sulla premessa di avere diritto alla sospensione del pagamento dei contributi, avevano sostenuto che la illegittimità della trattenuta consisteva sia nell’aver avviato il recupero prima del 31-12-2005 sia nell’aver recuperato i contributi sospesi in un’unica soluzione e non nelle 304 rate mensili previste.

Tale tesi, a seguito della opposizione della società, è stata ribadita da parte dei lavoratori opposti con le rispettive memorie difensive ed è stata poi accolta dal primo giudice.

Avverso tale pronuncia, con il primo, principale e assorbente, motivo di appello la società ribadiva l'infondatezza delle tesi attoree e l'insussistenza del presupposto della domanda ovvero il preteso diritto alla sospensione dei contributi ed alla conseguente rateizzazione.

Tale motivo è stato espressamente ritenuto fondato dalla Corte d'Appello, la quale, legittimamente ha affermato che beneficiario della sospensione contributiva non è il lavoratore ma il datore di lavoro; la Corte territoriale, anziché accogliere semplicemente il detto motivo e con esso la opposizione della società, con conseguente revoca dei decreti ingiuntivi e rigetto delle domande, ha respinto l'appello considerando assorbente la ritenuta infondatezza delle ulteriori tesi difensive avanzate dalla società, con il secondo motivo di gravame, contro le argomentazioni ad abundantiam svolte dal primo giudice.

In tal modo la Corte di merito, ribaltando le posizioni sostanziali delle parti, ha, in definitiva, accolto le domande sulla base di una causa petendi diversa da quella prospettata ed azionata dall' attore- opposto, in effetti scaturita soltanto dalle citate ulteriori tesi difensive della società.

Pertanto la Corte territoriale è incorsa nel vizio di violazione degli artt. 112, 416 e 437 c.p.c., denunciato con il primo motivo del ricorso principale, che va accolto, restando così assorbiti gli altri motivi dello stesso ricorso (riguardanti le dette ulteriori argomentazioni difensive).

Con l’unico motivo del ricorso incidentale si deduce violazione falsa applicazione dell’art. 7 O.P.C.M. 3253/2002 e dell’art. 6 co. 1-bis della legge 290/2006.

I ricorrenti lamentano che erroneamente la Corte territoriale abbia ritenuto quali unici beneficiari i datori di lavoro sicché i dipendenti ne risulterebbero esclusi.

Al riguardo i ricorrenti incidentali evidenziano che, sul piano letterale, l’art. 7 dell’ordinanza citata si riferisce ai "soggetti", nonché alla "residenza" e alla "sede legale od operativa", espressioni comprensive sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori e rilevano inoltre che sotto il profilo della ratio legis la norma è finalizzata a sostenere le popolazioni colpite dal sisma, sia essi lavoratori o datori di lavoro.

Nel contempo i ricorrenti incidentali sostengono che la O.P.C.M. n. 3253 del 2002 non è stata interessata dalla interpretazione autentica di cui al D.L. n. 263 del 2006, art. 6, comma 1-bis, conv. in L. n. 290 del 2006, che attiene alla legge 225/1992 laddove la OPCM 3253/2002 risultava emanata, come si leggeva nella norma, anche ai sensi del D.L. 245/2002, che disponeva in via autonoma benefici emergenziali.

Del resto la interpretazione autentica si riferiva solo alla quota di contributi a carico dei datori di lavoro, di guisa che la norma sopravvenuta non determinava alcun mutamento della situazione previdente e lasciava inalterato il diritto del lavoratore a percepire la propria retribuzione, comprensiva della quota di contribuzione a proprio carico.

Il motivo è infondato.

Come è stato affermato da questa Corte e va qui ribadito, "la O.P.C.M. 29 novembre 2002, n. 3253, art. 7, comma 1 - che prevede la sospensione dei versamenti di contributi previdenziali per i soggetti residenti nelle zone colpite dagli eventi sismici iniziati il 31 ottobre 2002 - va interpretato alla stregua del disposto del D.L. 9 ottobre 2006, n. 263, art. 6, comma 1 bis, convertito in L. 6 dicembre 2006, n. 290 e, pertanto, come riferibile soltanto ai datori di lavoro privati, essendo finalizzata la disciplina alla liberazione di risorse economiche da destinare al sostegno delle attività imprenditoriali e non anche all'incremento delle retribuzioni dei dipendenti" (v. Cass. 28-03-2012 n. 4963 Cass. 24-11-2011 n. 4526).

Questa Corte ha, tra l'altro, precisato che la O.P.C.M. n. 3253 del 2002 fa espresso e prioritario riferimento alla L. n. 225 del 1992 e nel preambolo richiama anche il D.L. n. 245 del 2002, con significativo riferimento, in particolare, all'art. 2, comma 2, con il quale si rinvia la disciplina e la definizione delle modalità degli interventi di emergenza ad ordinanze di protezione civile, per cui deve convenirsi che anche l'O.P.C.M. n. 3253 del 2002 rientra fra le ordinanze di protezione civile contemplate dal D.L. n. 263 del 2006, art. 6, comma 1 bis.

Inoltre è stato anche chiarito che l'art. 6, comma 1 bis del D.L. citato è norma di interpretazione autentica, secondo quanto esplicitato dal dato testuale e, come tale, di portata retroattiva, poiché l'interpretazione autenticamente affermata rientra fra quelle possibili della norma in esame, alla luce del riferimento testuale ai "versamenti" - (ossia agli adempimenti dell'obbligo previdenziale riservati alla parte datoriale e successivi alla trattenuta delle quote a carico dei lavoratori) - e della ratio della disposizione, individuabile nell'intento di sostegno delle attività imprenditoriali.

Tale norma di interpretazione autentica è stata peraltro ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte Costituzionale (v. C. Cost.n. 325/2008).

La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione alla censura accolta e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va accolta la opposizione della società con la revoca dei decreti ingiuntivi opposti e con il rigetto delle domande dei lavoratori.

Le spese dell'intero processo si compensano tra tutte le parti in ragione della novità della vicenda.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri.

Rigetta il ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito, rigetta le domande proposte dai dipendenti di F.P.T. spa odierni intimati e revoca i relativi decreti ingiuntivi.

Compensa tra le parti le spese dell'intero processo.