Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 aprile 2016, n. 8073

Fondo pensioni - Trattamento pensionistico integrativo - Giusta liquidazione - Accertamento

 

Fatto

 

Con sentenza depositata il 21.7.2014, la Corte d'appello di Napoli rigettava l'appello promosso da E.S. e altri consorti avverso la statuizione di prime cure che aveva negato il loro diritto all’accertamento dell'insufficienza della somma destinata nel bilancio tecnico relativo al Fondo pensioni per il personale dipendente dell’I. rispetto agli obblighi gravanti sul Fondo e rigettato la domanda di condanna della società a effettuare l'ulteriore accantonamento in loro favore delle somme all'uopo necessarie.

Per la cassazione di questa pronuncia ricorrono con distinti ricorsi L.L. e altri consorti, affidandosi a sei motivi illustrati con memoria, e C.C. e altri consorti, con tre motivi. L'I. resiste ad entrambe le impugnazioni con distinti controricorsi.

Gli altri ricorrenti nei precedenti gradi di merito sono rimasti intimati.

 

Diritto

 

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c.- Con il primo motivo di ricorso, L.L. e consorti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 11 e 18, d.lgs. n. 124/1993, dell'art. 4, d.l. n. 497/1996 e degli artt. 1362 ss. c.c., in relazione agli artt. 13-14 del Regolamento del Fondo, nonché degli artt. 112, 113, 114, 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2117 e 2123 e 2697 c.c., congiuntamente ad omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, per non avere la Corte di merito pronunciato o aver erroneamente pronunciato sulle domande di merito, volte ad accertare:

1) il loro diritto - previo accertamento dell'incapienza della somma destinata a bilancio agli obblighi del Fondo di previdenza - all'accantonamento della complessiva somma di lire 180.000.000.000 o della maggiore o minore che fosse risultata a seguito di disponenda CTU, con condanna della resistente ad effettuare detto maggior accantonamento;

2) la responsabilità dell'odierna resistente e dei liquidatori per l'incapienza di cui al punto precedente, con condanna al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede;

3) il loro diritto ad aver adeguato il trattamento pensionistico integrativo al trattamento retributivo corrisposto al personale di pari grado in servizio dal 1992 al 1996, con condanna dell'I. a corrispondere loro le differenze rispetto a quanto percepito.

Con il secondo motivo, lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 11 e 18, d.lgs. n. 124/1993, dell’art. 4, d.l. n. 497/1996 e degli artt. 1362 ss. c.c., in relazione agli artt. 13-14 del Regolamento del Fondo, nonché degli artt. 112, 113, 114, 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2117 e 2123 e 2697 c.c., congiuntamente ad omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, per avere la Corte territoriale ritenuto che un bilancio tecnico attuariale fosse stato effettivamente redatto e utilizzato per la redazione del bilancio al 31.12.1995.

Con il terzo motivo, si dolgono della violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 11 e 18, d.lgs. n. 124/1993, dell'art. 4, d.l. n. 497/1996 e degli artt. 1362 ss. c.c., in relazione agli artt. 13-14 del Regolamento del Fondo, nonché degli artt. 112, 113, 114, 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2117 e 2123 e 2697 c.c., congiuntamente all'omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, per avere la Corte territoriale ritenuto che le riserve matematiche sulla cui base procedere alla liquidazione ex art. 4, d.l. n. 497/1996, fossero quelle concretamente indicate nel bilancio tecnico attuariale utilizzato per la redazione del bilancio al 31.12.1995. Con il quarto motivo, denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 11 e 18, d.lgs. n. 124/1993, dell'art. 4, d.l. n. 497/1996 e degli artt. 1362 ss. c.c., in relazione agli artt. 13-14 del Regolamento del Fondo, nonché degli artt. 112, 113, 114, 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2117 e 2123 e 2697 c.c., congiuntamente ad omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, per avere la Corte di merito valutato che fosse legittimo l'impiego di un tasso tecnico del 10,5% per la redazione del bilancio tecnico attuariale, ossia per il calcolo del debito attuariale del Fondo e dunque dell'adeguatezza delle sue riserve patrimoniali.

Con il quinto motivo, deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 11 e 18, d.lgs. n. 124/1993, dell'art. 4, d.l. n. 497/1996 e degli artt. 1362 ss. c.c., in relazione agli artt. 13-14 del Regolamento del Fondo, nonché degli artt. 112, 113, 114, 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2117 e 2123 e 2697 c.c., congiuntamente ad omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, per avere la Corte territoriale ritenuto che i coefficienti di capitalizzazione utilizzati per la liquidazione del valore capitale delle rendite dovessero essere quelli previsti dal Regolamento del Fondo per la liquidazione, per esigenze straordinarie personali dell'assicurato, di una quota pari a un quarto del trattamento pensionistico spettantegli.

Con il sesto motivo, infine, si dolgono della violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 114, 115, 116, 63, 64 e 191 ss. c.p.c. per non avere la Corte territoriale disposto la rinnovazione della CTU effettuata in prime cure, nonostante che successivamente il consulente tecnico d'ufficio fosse stato tratto a giudizio per il reato p. e p. dall’art. 64 comma 2° c.p.c.

A loro volta, con il primo motivo di ricorso, C.C. e consorti lamentano violazione dell'art. 112 c.p.c. per non avere la Corte territoriale considerato che l'accertamento della violazione da parte dell'odierna resistente dell'obbligo di onorare le posizioni contributive dei dipendenti già in pensione era strumentale al fine dell'accertamento del loro diritto alla giusta liquidazione; con il secondo motivo, deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 1372 e 1418 c.c. per avere la Corte di merito ritenuto che il piano di liquidazione estendesse i suoi effetti anche a coloro che alla data del 26.4.1995 erano già in pensione; con il terzo motivo lamentano nullità della sentenza per erronea determinazione dei coefficienti di calcolo della liquidazione nei confronti di quanti avevano maturato i requisiti pensionistici alla data di liquidazione del Fondo.

Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità dei ricorsi per carenza d'interesse, motivata dalla società resistente sul rilievo che i ricorrenti non avrebbero più coltivato la domanda volta alla declaratoria del loro diritto ad aver adeguato il trattamento pensionistico integrativo al trattamento retributivo corrisposto al personale di pari grado in servizio dal 1992 al 1996, con condanna dell'I. a corrispondere loro le differenze rispetto a quanto percepito: è sufficiente sul punto ricordare che i ricorrenti, unitamente alla domanda di accertamento dell'incapienza del Fondo rispetto alle proprie pretese, hanno svolto anche una domanda risarcitoria nei confronti dell'odierna resistente motivata su quel presupposto.

Ciò posto, tutti i motivi sono infondati.

Va premesso che la presente controversia trae origine dalla disposizione di cui all'art. 4, d.l. n. 497/1996 (conv. con I. n. 588/1996), il quale, per quanto qui interessa, ha disposto che i fondi di previdenza aziendali delle società del gruppo Banco di Napoli in liquidazione venissero liquidati secondo piani approvati dalla Banca d'Italia e che la liquidazione non potesse comportare "una spesa superiore alle riserve matematiche indicate nei bilanci tecnici attuariali, utilizzati per la redazione dei bilanci societari al 31 dicembre 1995, maggiorate di un importo non superiore al 25%".

La disposizione in esame si inserisce in una vera e propria legge- provvedimento, adottata per risolvere i problemi determinati dalla situazione economico-finanziaria del gruppo Banco di Napoli e, per ciò che concerne in specie la presente controversia, dall'esuberanza dei crediti di previdenza integrativa rispetto agli accantonamenti destinati a coprirli (così Cass. n. 16159 del 2007). Si tratta, detto altrimenti, di una normativa speciale preordinata alla liquidazione del Fondo, vale a dire all'estinzione delle obbligazioni del Fondo nei confronti di tutti i suoi iscritti e che in specie comporta che il diritto alle prestazioni del Fondo si converta nel diritto a concorrere al riparto dei suo patrimonio in proporzione al valore del rispettivo diritto per come fissato dalle previsioni del Regolamento, attribuendo a ciascuno degli iscritti che hanno maturato il diritto a pensione il valore capitale delle rendite calcolato alla data del 31.12.1995 (cfr. in termini Cass. n. 4136 del 2007).

Presupposto del l'intervento normativo è la volontà del legislatore di non far ricorso, per il risanamento del Banco di Napoli e la liquidazione delle società del gruppo, alle generali procedure concorsuali previste dagli artt. 70 ss. T.U. n. 385/1993, al fine di evitare possibili riflessi negativi per l'intero sistema bancario italiano (così Corte cost. n. 25 del 2001). E codeste finalità risultano perseguite da un lato mediante la previsione di un rilevante onere posto a carico della finanza pubblica per fronteggiare la assai precaria situazione economica del Banco di Napoli e delle società del gruppo (tra cui appunto l’odierna resistente) e dall’altro con la fissazione di un tetto di spesa nell'art. 4, d.l. n. 497/1996, cit.: tetto che rappresenta un "indispensabile limite dell'entità dell'accollo del predetto onere da parte della collettività, in relazione all'esigenza della concreta realizzazione del relativo piano di liquidazione (soggetto pur sempre all’approvazione della Banca d'Italia) e della conseguente definizione di tutti i rapporti giuridici facenti capo al Fondo stesso, previste come condizioni dell’intervento medesimo" (così ancora Corte cost. n. 25 del 2001).

Ora, è evidente che l’individuazione di un tetto di spesa individuato in percentuale su un dato ammontare presuppone logicamente che quell'ammontare sia determinato o determinabile. Ed è qui che si inserisce la previsione dell’art. 4, d.l. n. 497/1996, secondo cui la liquidazione non può comportare "una spesa superiore alle riserve .matematiche indicate nei bilanci tecnici attuariali, utilizzati per la redazione dei bilanci societari al 31 dicembre 1995": il legislatore, infatti, muovendo dalla suindicata situazione di dissesto, ha inteso limitare all'importo delle riserve matematiche calcolate al 31.12.1995 il valore del patrimonio del Fondo che, incrementato del 25%, poteva essere distribuito agli aventi diritto in proporzione al valore capitale dei rispettivi crediti.

Quanto appena detto non comporta, naturalmente, che i singoli iscritti possano vantare un diritto alla distribuzione dell'ammontare indicato nelle riserve matematiche: come già ritenuto da questa Corte in fattispecie analoga, la riserva matematica è uno strumento attuariale, privo di valore giuridico nei confronti dell'iscritto, che consente di valutare in ogni istante quali sono le risorse necessarie per far fronte agli impegni futuri e alle garanzie assunte dal Fondo verso gli iscritti, laddove la liquidazione del Fondo consiste nell'estinzione delle sue obbligazioni nei confronti degli iscritti, determinate alla stregua delle disposizioni del Regolamento e compendiate per ciascuno nella posizione individuale di riscatto (o quota dì riscatto o valore di riscatto) che costituisce il credito dell'iscritto nei confronti del Fondo (così Cass. n 4136 del 2007, cit.). E' però vero che, per quanto tale valore sia calcolato in modo che, se tutti riscattassero la propria quota nello stesso istante, il Fondo sarebbe solvibile, onde v'è per definizione coincidenza tra l'ammontare delle quote di riscatto e l'ammontare della riserva matematica, tale coincidenza è pur sempre frutto di certe ipotesi sull'andamento futuro del patrimonio del Fondo aziendale e non può mai essere tale da coprire le esigenze derivanti da una effettiva operazione di liquidazione contestuale del valore capitale di tutte le prestazioni pensionistiche future: donde, appunto, la previsione del limite di spesa di cui all'art. 4, d.l. n. 497/1996.

Ciò posto, è evidente che, rispetto ai motivi di ricorso volti a censurare le modalità di formazione e l'ammontare complessivo delle riserve matematiche, i ricorrenti difettano palesemente d'interesse ad agire: posto che l’art. 4, d.l. n. 497/1996, ha fissato il limite di spesa che lo Stato ha inteso accollarsi in relazione ad un preciso dato storico (quale appunto l'ammontare delle riserve matematiche indicate nel bilancio attuariale utilizzato per la redazione del bilancio al 31.12.1995), giacché solo alla, stregua del riferimento ad un dato concreto era, possibile determinare l'ammontare della spesa che lo Stato aveva stabilito di sostenere, sia pure integrandola con una maggiorazione del 25%, è evidente che nessun beneficio concreto essi potrebbero ricavare dall’accoglimento delle loro censure, dal momento che giammai la liquidazione del Fondo potrebbe comportare una spesa superiore al limite così risultante (cfr. in termini Cass. n. 16159 del 2007). Ed è appena il caso di soggiungere che non possono i ricorrenti L. e C. dolersi in questa sede di legittimità della mancanza (o comunque del mancato deposito in giudizio) del bilancio tecnico attuariale utilizzato nella redazione dei bilanci societari, giacché si tratta di questione non affrontata dal giudice di appello e in relazione alla quale il ricorso non indica - in violazione del principio di autosufficienza di cui all'art. 366 c.p.c. - quando e come sarebbe stata introdotta in giudizio.

Egualmente infondate sono le doglianze con cui tutti i ricorrenti lamentano che i coefficienti di capitalizzazione utilizzati per la liquidazione del valore capitale delle rendite siano stati quelli previsti dal Regolamento del Fondo per la liquidazione, per esigenze straordinarie personali dell'assicurato, di una quota pari a un quarto del trattamento pensionistico spettantegli e non invece i diversi coefficienti e criteri di capitalizzazione che essi stessi avevano indicato nella consulenza di parte depositata in giudizio.

Come già statuito da questa Corte in vicende analoghe, posto che le obbligazioni a carico del Fondo sono determinate dal Regolamento che presiede al suo funzionamento, è solo a quest'ultimo che occorre guardare per individuare la posizione individuale di riscatto, giacché la procedura di liquidazione deve continuare ad essere regolata dagli stessi criteri che sono stati contrattualmente fissati dalle parti per la gestione ordinaria del Fondo e ritenere diversamente - ossia introdurre criteri di calcolo della posizione di riscatto diversi da quelli indicati nel Regolamento - significherebbe gravare la procedura di liquidazione di oneri maggiori rispetto a quelli che il Fondo avrebbe affrontato nel corso del suo normale funzionamento (cfr. Cass. n. 4136 del 2007, cit., seguita sul punto da Cass. nn. 5728 e 5729 del 2014). Né può darsi ingresso alla censura dei ricorrenti L. e C. secondo cui i liquidatori avrebbero "alterato" e "manipolato" la norma regolamentare,, trattandosi di rilievi affatto generici e in riferimento ai quali nemmeno si precisa - di nuovo, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione - quando e come sarebbero stati introdotti nei precedenti gradi di merito.

E’ poi infondata la censura di omessa pronuncia sollevata dai ricorrenti L. e C. riguardo alle domande aventi ad oggetto, rispettivamente, la responsabilità dei liquidatori dell’odierna resistente per la (presunta) incapienza del Fondo, con condanna al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, e il loro diritto ad aver adeguato il trattamento pensionistico integrativo al trattamento retributivo corrisposto al personale di pari grado in servizio dal 1992 al 1996, con condanna dell'I. a corrispondere loro le differenze rispetto a quanto percepito: è sufficiente sul punto rilevare che la Corte territoriale ha dato atto che il Tribunale, con sentenza parziale n. 7438 del 1999, si era dichiarato incompetente sulla prima e aveva dichiarato nulla la seconda.

Sono infine da reputarsi inammissibili le censure svolte dai ricorrenti Comparane e consorti nel secondo e terzo motivo di ricorso, giacché il ricorso medesimo non precisa quando la questione della presunta differenziazione del trattamento spettante a coloro che alla data di liquidazione del Fondo erano già in pensione sarebbe stata specificamente proposta nei precedenti gradi di merito e, involgendo un accertamento di fatto in ordine all’effettiva decorrenza della pensione, non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità, siccome nuova (cfr. fra le tante Cass. nn. 20518 del 2008, 1474 del 2007).

I ricorsi, pertanto, vanno conclusivamente rigettati. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono inoltre i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione in favore dell'I. s.p.a. in liquidazione, liquidandole in € 100,00 per esborsi e in € 25.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.