Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 aprile 2016, n. 8143

Tributi - Imposte sui redditi - Agevolazioni fiscali - Cooperative di produzione e lavoro

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il 20.12.2005 la C.T.V. s.r.L. era raggiunta da un avvisò di accertamento con cui l'ufficio di Voghera dell'Agenzia delle Entrate provvedeva a riqualificarla fiscalmente come cooperativa di servizi - negando conseguentemente che essa potesse beneficiare del regime di esenzione previsto dall'art. 11 D.P.R. 601/73 - e recuperava a tassazione oneri straordinari erroneamente imputati in violazione del principio di competenza e costi, connessi a servizi resi in suo favore dagli spedizionieri, ritenuti indeducibili in difetto di documentazione.

La decisione di primo grado - che aveva accolto il ricorso della contribuente limitatamente ai costi indeducibili, confermando nel resto la legittimità delle riprese operate dall'amministrazione - era impugnata da entrambe le parti avanti alla CTR Lombardia, che con la sentenza per cui oggi è ricorso rigettava l'appello erariale ed accoglieva quello di parte.

Osservava, invero, il decidente che andava "innanzitutto confermata la ripresa" in punto di oneri straordinari, sebbene non si rinvenissero nella specie "elementi di fatto idonei a contrastare l'assunto della società ricorrente secondo cui l'anzidetta variazione doveva essere conteggiata nel momento in cui essa è intervenuta (dicembre 2000) e non nei differenti periodi di esecuzione dei trasporti ai quali era applicabile (febbraio 1995/dicembre 1999)".

Quanto ai costi, premesso che l'ufficio non aveva contestato l'effettività della prestazione dei servizi, andava invece ricordato, a conferma della statuizione di primo grado, che lo spedizioniere ha, a mente dell’art 1740, comma secondo, c.c. titolo per pretendere il compenso per le prestazioni accessorie, sicché alla luce della citata disposizione si rivelava priva di pregio l'argomentazione dell'ufficio "in ordine ad una asserita carenza di certezza, di precisione e di inerenza delle fatture ricevute dalle case di spedizioni ed annotate in contabilità dalla società ricorrente".

Andava infine disattesa la riqualificazione dello status fiscale della contribuente, operata dall'ufficio sul rilievo che essa non fosse proprietaria dei mezzi di trasporto utilizzati nella propria attività, in quanto, ferma la ricorrenza nella specie dello scopo mutualistico, per disposizione statutaria i soci dovevano essere proprietari di uno o più automezzi muniti di regolare autorizzazione al trasporto merci, onde "la società ricorrente non poteva e non può quindi essere proprietaria, conduttrice o comodataria dei mezzi di trasporto merci e cionostante deve essere ritenuta cooperativa di produzione e di lavoro con conseguente applicazione nella fattispecie delle disposizioni agevolative concernenti l'esenzione dall'IRPEG e dall'IRAP".

La detta sentenza è ora opposta dall'erario con un ricorso affidato a tredici motivi.

Non ha svolto attività difensiva la parte.

 

Considerato in diritto

 

2.1 Con il primo motivo di ricorso, l'Agenzia impugnante deduce per gli effetti dell’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c., la nullità dell'impugnata sentenza, nella parte in cui questa ha accolto il gravame della contribuente in punto di oneri straordinari, per inosservanza dell'art. 36 D.lg. 546/92, poiché la CTR "esordisce affermando di voler confermare detta ripresa a tassazione, di poi però sorregge la determinazione annunziata con affermazioni che paiono supportare l'eventuale annullamento della ripresa (non si rinvengono nel fascicolo ulteriori elementi di fatto idonei a contrastare l'assunto della società ricorrente secondo cui l'anzidetta variazione doveva essere conteggiata nel momento in cui essa è intervenuta (dicembre 2000) e non nei differenti periodi di esecuzione dei trasporti ai quali era applicabile (febbraio 1995/dicembre 1999)", in tal modo risolvendosi l'impugnata statuizione in "un dicium incomprensibile" che rende nulla la sentenza siccome in contrasto con l'art. 36 richiamato.

2.2. Il motivo è infondato.

Sebbene la ricorrente ometta di indicare il parametro normativo violato, deducendo genericamente l'inosservanza dell'art. 36 D.lg. 546/92 - che è disposizione che, regolando il contenuto della sentenza, reca un nutrito elenco di indicazioni prescrittive - è ragionevole supporre, in considerazione del tenore della formulata doglianza, che essa abbia voluto censurare l'impugnata sentenza in relazione all’indicazione recata dal n. 4 del citato articolo, posto che nella prescrizione afferente alla "succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto" è da vedersi presidiata, attraverso il corretto adempimento dell'ufficio motivazionale, la coerenza logico-argomentativa del ragionamento decisorio svolto dal giudice a quo su cui si addensano i dubbi di comprensibilità sollevati dall'impugnante.

Pur in questi termini il motivo non è tuttavia fondato, poiché è di tutta evidenza che, concentrandosi il rilievo solo sulla parola "contrastare", e ferma per vero che il punto è per il resto linearmente sviluppato dal decidente, il lamentato vulnus non sussiste, giacché la lettura del passaggio motivazionale in questione attesta senza ombra di riserve il chiaro proposito della CTR di respingere l'appello incidentale in ordine alla illegittimità della effettuata ripresa.

3.1. Il secondo, il quarto, il sesto, il settimo, l'ottavo, il nono e il decimo motivo del ricorso erariale hanno ad oggetto la statuizione adottata dalla CTR in punto di costi e ne lamentano per gli effetti dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c. l'insufficienza motivazionale, poiché, contrariamente a quanto affermato dalla CTR, la motivazione della ripresa e le controdeduzioni rassegnate nel giudizio dall'ufficio "rendevano palese che "l'ufficio avesse contestato l'effettività delle prestazioni" fatturate alle controparti (secondo motivo); poiché, nell'ordine, la CTR aveva assunto che fra la cooperativa e gli spedizionieri fosse stato pattuito un compenso globale, senza palesare tuttavia "fonti e ragioni del convincimento espresso" (quarto motivo); aveva assunto la certezza dei costi, ma aveva sorretto l'affermazione "con argomenti errati, apodittici ed incongrui" ed in ogni caso senza accertare "il tipo dei servizi prestati e gli accordi intercorsi tra gli spedizionieri e la cooperativa" (sesto motivo); aveva assunto la congruità dei costi fondando tuttavia il detto giudizio "oltre che su argomenti errati, incongrui ed apodittici" sull'affermazione assolutamente apodittica ed indimostrata che le prestazioni rese dagli spedizionieri alla cooperativa erano accessorie al trasporto", sebbene in difetto di ogni accertamento in ordine al tipo di prestazione ogni deduzione al riguardo risultasse immotivata (settimo motivo); aveva assunto l'inerenza dei costi sorreggendo il proprio giudizio con le affermazioni già criticate, "mentre è di tutta evidenza che non essendo stata accertata in concreto la natura delle prestazioni resta assolutamente impossibile qualsiasi giudizio sulla accessorietà al trasporto e più in generale sulla rispondenza del loro acquisto a finalità aziendali della cooperativa (ottavo motivo); aveva ritenuto che i costi fossero deducibili nell'anno di contestazione in quanto le relative prestazione erano state evidentemente ultimate in detto anno, sebbene "di detto fatto decisivo" non si fosse affatto occupata (nono motivo) o avesse motivato su di esso "in forza dell'apodittica ed indimostrata affermazione della accessorietà delle ridette prestazioni ai trasporti effettuati dalla cooperativa e sull'altrettanto apodittica affermazione che trattasi di compensi per prestazioni accessorie e trasporti" effettuati nell'anno di contestazione (decimo motivo).

3.2. Con il terzo motivo di ricorso, svolto a mente dell'art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., l’Erario lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1740, comma secondo, c.c. posto che la CTR avrebbe inteso regolare la vicenda in adesione alla previsione da esso recata, sebbene la norma "sia inapplicabile alla specie", disciplinando essa il diritto dello spedizioniere tra l'altro "al pagamento dei compensi per prestazioni accessorie nei confronti dell'altra parte del contratto di spedizione, id est nei confronti di chi gli ha conferito il mandato a concludere il contratto di trasporto", mentre nella specie viene in considerazione un compenso spettante allo spedizioniere per non meglio precisate prestazioni da questo rese al vettore e concernenti il trasporto.

3.3.1. I predetti motivi possono formare oggetto di congiunto giudizio in quanto tutti afferenti alla medesima censura in punto di costi deducibili e più specificatamente alla ripresa a tassazione sostenuto in relazione a prestazioni effettuate in suo favore dagli spedizionieri.

3.3.2. In questa cornice fattuale il secondo motivo è affetto da palese inammissibilità per inidonea formulazione del momento di sintesi.

Soggiacendo per vero la specie in giudizio all'applicazione dell'art. 366-bis c.p.c. sul filo dell'insegnamento dipanato dalle SS.UU. (20603/07) in ordine alla rilevanza, nel caso di impugnazione proposta ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., del momento di sintesi omologo al quesito di diritto, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte espresso la raccomandazione che "l'onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall'art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un «quid pluris» rispetto all'illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l'ammissibilità del ricorso" (28242/13; 11019/11; 8897/08).

Non crede il collegio che nella predisposizione del momento di sintesi che accompagna l'illustrazione del motivo in disamina la ricorrente si sia esattamente attenuta alla prescrizione di una formulazione chiara e sintetica, dal momento che quello da essa ha sviluppato alle pagg. 32 e 33 del ricorso non soddisfa il precetto di un’indicazione sintetica che consenta di valutare immediamente l'ammissibilità del ricorso, ma è piuttosto una riproposizione in forma riassuntiva del motivo già illustrato nelle pagine precedenti.

3.3.3. E' fondato, viceversa, il terzo motivo di ricorso.

L'art. 1740 c.c., a cui ha fatto espresso richiamo il giudice d'appello onde motivare la legittimità dei costi portati in deduzione dalla parte e, segnatamente, il suo secondo comma, laddove prevede che lo spedizioniere sia tenuto indenne dalle spese e dai compensi per le prestazioni accessorie sostenute in occasione della conclusione del contratto di trasporto, è norma infatti che si applica al rapporto tra il mandante e lo spedizioniere e non al rapporto tra lo spedizioniere ed il vettore, è norma che, cioè, regola il contratto di spedizione ovvero quella speciale forma di mandato con rappresentanza che il mandante conclude con lo spedizioniere incaricandolo di stipulare a suo nome e per suo conto un contratto di trasporto con il vettore, e non il contratto di trasporto che lo spedizioniere in esecuzione del mandato ricevuto conclude con il vettore.

E' dunque inconfutabile l'errore di diritto commesso dal giudice di appello che è incorso in un chiaro errore di individuazione applicando una norma errata (l'art. 1740, comma secondo, c.c.) ad una fattispecie rettamente qualificata (il contratto di trasporto), onde sotto questo profilo la decisione non si sottrae a doverosa cassazione.

3.3.4. Va da sé che la fondatezza del detto motivo rende poi superfluo l’esame degli ulteriori motivi in rassegna, costituendo essi tutti corollari della sopra vista errata affermazione in diritto operata dalla CTR, sicché, accogliendo la censura che riguardo ad essa ha sollevato la ricorrente con il detto terzo motivo di ricorso, ogni conseguente e riflessa affermazione che da essa discende risulta incontrovertibilmente viziata e le relative censure possono perciò andare assorbite.

4.1. Violazione e falsa applicazione di legge, per gli effetti dell'art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. si deduce con riferimento all'art. 21 D.P.R. 633/72 con il quinto motivo di ricorso, avendo la CTR errato, sul presupposto che alla specie fosse applicabile l'art. 1740, comma secondo, c.c. e che il compenso per le prestazioni accessorie al trasporto potesse essere perciò regolato globalmente, ad escludere che fosse "necessaria l'indicazione in fattura della natura, qualità, quantità dei servizi effettuati", ancorché la necessità di siffatta indicazione risulti chiaramente dalla norma citata in rubrica.

4.2. Il motivo è fondato.

Questa Corte ha già avuto occasione di notare che una fattura, che non soddisfi il decalogo prescrittivo dell'art. 21, comma secondo, D.P.R. 633/72 ed in particolare il precetto recato dalla lettera g) di esso secondo cui "la fattura contiene le seguenti indicazioni ... g) natura qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione", "non consente d'identificare l'oggetto della prestazione ... e non risponde alle finalità di trasparenza e conoscibilità di cui all'art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, funzionali alle attività di controllo e verifica dell'Amministrazione finanziaria" (21980/15).

Nel ribadire qui il principio va ricordato che la fattura è documento che, oltre ad essere redatto in funzione di finalità interne all'azienda in quanto è attraverso l'ordinata e regolare tenuta della fatturazione sia in uscita che in entrata che si realizza l'obiettivo di assicurare un'adeguata rappresentazione delle attività svolte, assolve una non meno rilevante funzione sul piano esterno, poiché la fattura, essendo diretta a garantire una corretta tenuta della contabilità aziendale, - ed in particolare permettendo nel sistema di applicazione dell'IVA la realizzazione del principio di neutralità dell'imposta mediante il meccanismo della rivalsa e della detrazione - soddisfa il peculiare interesse pubblico ad esercitare la potestà di controllo dell'erario sull'esatto adempimento dei doveri fiscali da parte dei soggetti obbligati, costituendo la fattura il principale documento che in sede di accertamento viene sottoposto a verifica da parte dell’amministrazione.

Dunque il diverso convincimento del giudice d'appello, che ha riconosciuto la legittima dei costi portati in deduzione dalla parte pur in presenza di fatture prive delle indicazioni in ordine alla natura, qualità e quantità dei servizi effettuati è manifestamente viziato e va perciò doverosamente cassato.

5.1. Con l'undicesimo, dodicesimo e tredicesimo motivo di ricorso l'Agenzia impugnante censura la statuizione in punto di status fiscale della contribuente deducendo l'errore di diritto in cui è incorso il giudice territoriale nel dare applicazione all’art. 11 D.P.R. 601/73, allorché ha ritenuto che la cooperativa fosse esente dall'IRAP, sebbene "l'agevolazione in discorso concerna solo l'IRPEG e l'ILOR e dunque non si estende all’IRAP’’ e le norme di agevolazione "siano di strettissima interpretazione" ed IRAP ed ILOR siano imposte "radicalmente diverse" (undicesimo motivo); ha ritenuto irrilevante la circostanza che nella specie i mezzi di trasporto non fossero di proprietà della cooperativa, sebbene, ai fini della sua qualificazione come cooperativa di produzione e lavoro e quindi della fruizione del regime di imposta agevolato, sia necessario che i soci siano lavoratori, sicché "deve essere la cooperativa ad avere la giuridica disponibilità dei mezzi di trasporto" e "non può fruire della ridetta agevolazione ove l'attività di trasporto sia svolta con mezzi di proprietà dei soci" (dodicesimo motivo); ed ha infine ritenuto che il regime di imposta agevolato fosse comunque applicabile nella specie quantunque, in considerazione del fatto che i mezzi di trasporto fossero di loro proprietà, i soci dovessero essere considerati imprenditori, condizione questa incompatibile con lo status di cooperativa di produzione e lavoro, non potendo invero "fruire dell'agevolazione esentati va" le cooperative i cui soci "esercitano in proprio imprese identiche o affini a quella della cooperativa (tredicesimo motivo).

5.2.1. L'undicesimo motivo è infondato.

Si impone invero al riguardo il richiamo a quanto già statuito in senso ostativo dalle SS.UU. di questa Corte (10145/12), che, occupandosi della questione con riguardo alla sussistenza o meno del litisconsorzio tra la società ed i soci a cui i redditi della prima sono, in materia di imposte dirette, imputati per trasparenza, nelle controversie afferenti l’IRAP, ha avuto modo di precisare che "l’Irap è imposta assimilabile all'llor, in quanto essa ha carattere reale, non è deducibile dalle imposte sui redditi ed è proporzionale, potendosi, altresì, trarre profili comuni alle due imposte dagli art. 17, comma 1, e 44 del d.lgs. n. 446 del 1997".

La doglianza non può avere perciò seguito alcuno, sicché sul punto la statuizione adottata dalla CTR, che ha ritenuto estensibile all'lRAP il regime agevolativo previsto espressamente dall'art. 11 D.P.R. 601/73 per l’ILOR, non si presta a rimeditazione, risultando - pur se per sottinteso, atteso che la CTR ha sorvolato la questione - adesivo e rispettoso dell'enunciato canone monofilattico.

5.2.2. Sono viceversa fondati il dodicesimo e tredicesimo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 11 D.P.R. 601/73, per aver la CTR ritenuto che il regime agevolativo da esso previsto fosse applicabile alla coooperativa contribuente malgrado essa non potesse qualificata, in ragione del fatto che i mezzi utilizzati per l'attività sociale erano di proprietà dei soci, come cooperativa di produzione lavoro.

Premesso invero che secondo il giudizio già espresso da questa Corte, in ordine alla possibile contrarietà del beneficio rispetto al divieto di fonte comunitaria in materia di aiuti di Stato, è compito del giudice nazionale valutare, secondo i vincolanti criteri interpretativi dettati dalla Corte di giustizia (con la sentenza 8 settembre 2011, cause riunite C-78/08 e C-80/08), "il carattere selettivo e la giustificazione, alla luce della struttura generale del sistema tributario nazionale, delle esenzioni fiscali di cui all'art. 11 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, che costituiscono un "aiuto di Stato", verificando se effettivamente i beneficiari siano enti a finalità mutualistica, che operano nell'interesse economico dei soci, con cui intrattengano una relazione non solo commerciale, ma personale particolare, in cui essi partecipino attivamente ed abbiano diritto ad un'equa ripartizione dei risultati economici (3653/15), l’errore di sussunzione commesso nella specie dal giudice d’appello è di innegabile evidenza.

Com’è noto le provvidenze in questione sono applicabili, secondo quanto recita la norma in questione, "a condizione che per i soci ricorrano tutti i requisiti previsti, per i soci delle cooperative di lavoro, dall'art. 23 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577 e successive modificazioni"; la norma richiamata, a sua volta, stabilisce al comma secondo che "non possono essere soci di tali cooperative coloro che esercitano in proprio imprese identiche o affini a quella della cooperativa". Poiché nella specie è pacifico che la cooperativa disimpegnasse la propria attività sociale, consistente nell'esecuzione di trasporti per conto terzi, utilizzando i mezzi di proprietà dei soci, ne discende che costoro, per effetto della disciplina del settore dell'autotrasporto merci (l. 298/74) che prevede tra l'altro il rilascio di un'apposita licenza, rivestano la qualifica di imprenditori e ricadano perciò nella condizione ostativa enunciata dalla norma, di modo che la cooperativa che annoveri tra i propri soci soggetti che esercitano la sua stessa impresa non può essere considerata come cooperativa di produzione lavoro e non può fruire perciò del regime agevolativo riconosciuto dal giudice di appello.

6. Decidendo perciò sul ricorso, vanno conclusivamente accolti il terzo, il quinto, il dodicesimo e tredicesimo motivo di ricorso; vanno viceversa dichiarati inammissibili il primo ed il secondo motivo, assorbiti il quarto, il sesto, il settimo, l'ottavo, il nono ed il decimo motivo di ricorso e infondato l'undicesimo motivo di ricorso.

La causa previa cassazione del l'impugnata sentenza andrà conseguentemente rinviata al giudice territoriale ex art. 383, comma primo, c.p.c. per il doveroso riesame a mente degli artt. 392 e segg. c.p.c.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo, il quinto, il dodicesimo e tredicesimo motivo di ricorso; dichiara inammissibili il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbiti il quarto, il sesto, il settimo, l'ottavo, il nono ed il decimo motivo di ricorso e infondato l'undicesimo motivo di ricorso; cassa l'impugnata sentenza nei limiti dei motivi accolti e rinvia avanti alla CTR Lombardia che in altra composizione provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.