Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 aprile 2016, n. 8193

Omissioni contributive - Verbale ispettivo - Rapporto di lavoro subordinato giornalistico - Accertamento

 

Fatto

 

Con sentenza 17 aprile 2013, la Corte d'appello di Roma respingeva l'appello dell'Istituto Nazionale di Previdenza Giornalisti Italiani "G. A." (INPGI) avverso la sentenza di primo grado, di annullamento, in accoglimento del ricorso di Nuova R. s.p.a., del verbale di accertamento ispettivo dell'Istituto per omissioni contributive per la complessiva somma di € 56.222,00 notificato il 5 aprile 2005, per insussistenza dell'obbligazione contributiva contestata e di rigetto della domanda riconvenzionale dell'Istituto di accertamento dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato giornalistico tra la società ed A. E. C., G. C. e A. F.

In esito a critico ed argomentato esame delle risultanze istruttorie, anche nel raffronto tra efficacia probatoria del verbale ispettivo e dichiarazioni testimoniali assunte, la Corte territoriale condivideva la valutazione probatoria del Tribunale, che, nella sua autonomia di verifica (ferma l'efficacia costitutiva di status professionale dell'iscrizione delle predette nell'albo dei praticanti giornalisti e della sua opponibilità erga omnes e nel legittimo esercizio, quale giudice del rapporto, del suo sindacato incidentale), escludeva la natura giornalistica dei compiti da loro svolti, in assenza di alcun apporto creativo o critico nella redazione dei brevi testi o scalette o delle interviste telefoniche per i programmi di intrattenimento, nell'alveo delle puntuali indicazioni dei conduttori, ben ascrivibili anche alla figura di assistente di programma; infine, riteneva insufficiente la pubblicazione di alcuni pezzi su quotidiani, nella prevalenza delle altre mansioni svolte.

Con atto notificato il 17 aprile 2014, l'INPGI ricorre per cassazione con sette motivi, cui resiste Nuova R. s.p.a. con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia della Corte territoriale sull'eccezione, formulata con il primo motivo di appello, di erronea valutazione del Tribunale, essendosi quella limitata alla conclusione di inefficacia probatoria dei verbali ispettivi, con motivazione non coerente con detta eccezione.

Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 420, primo comma c.p.c., 2697, 2700 c.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per l’aprioristica svalutazione dalla Corte territoriale delle dichiarazioni rese dalle lavoratrici, siccome "rese dinanzi agli ispettori e raccolte su moduli standard", in quanto confermate davanti al giudice con le garanzie del contraddittorio, senza un raffronto con le altre assunte, neppure valendo la considerazione del loro interesse, per l'implicazione nella controversia, essendo comunque state liberamente interrogate in primo grado, con apprezzamento del loro valore probatorio nel complessivo contesto nella formazione del libero convincimento del giudice.

Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per incoerente argomentazione sulla deduzione, con il secondo motivo di appello, del valore fortemente presuntivo della prestazione di attività giornalistica dalle lavoratrici derivante in particolare dalla loro iscrizione al registro dei praticanti in ragione dell'attività resa in favore di Nuova R. s.p.a.

Con il quarto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 2729 c.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea esclusione del valore probatorio, per concordanza di presunzioni offerte in assoluzione dell'onere a proprio carico in relazione al fatto costitutivo, dell'iscrizione d’ufficio, a norma dell'art. 46 d.p.r. 115/1965, delle tre lavoratrici al registro dei praticanti (e pertanto con diretto accertamento dall'Ordine dei giornalisti della natura giornalistica prestata), ben disapplicabile, come ogni atto amministrativo, dal giudice del rapporto, purché in base a fatto impeditivo, nell'onere probatorio della parte resistente, nel caso di specie mancante, essendo anzi risultati ulteriori elementi presuntivi (quali la redazione di brevi testi o scalette, l'esecuzione di interviste telefoniche, la collaborazione in trasmissioni di intrattenimento e informazione, la scrittura di alcuni pezzi pubblicati sui quotidiani), peraltro svalutati dalla Corte territoriale, in difetto di concreti elementi contrari.

Con il quinto, il ricorrente deduce l'omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., consistente nell'apposizione dalle lavoratrici alle interviste condotte ed ai "pezzi" scritti della propria firma, normale segnalazione dell'originalità e creatività dell'opera, invece esclusa dalla Corte territoriale. Con il sesto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 34 e 45 I. 69/1963, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per non corretta indagine sulla natura dell'attività giornalistica e dei caratteri tipicamente connotanti della mediazione, critica e creativa, tra il fatto e la sua diffusione, specificamente calibrata sull'attività di interviste radiofoniche e di redazione di contributi scritti delle tre lavoratrici, apoditticamente assimilate alla figura di "assistente ai programmi", neppure professionalmente tipizzata ma propria della qualifica di alcuni contratti (in particolare dei dipendenti Rai) e senza adeguata considerazione della loro iscrizione all'albo dei praticanti, con necessità di apprendimento della professione sotto la guida di colleghi più esperti, quali i conduttori dei programmi.

Con il settimo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per omesso esame del motivo d’appello riguardante la natura subordinata dei rapporti, sull'assorbente esclusione della natura giornalistica della prestazione.

Il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia della Corte territoriale sull'eccezione di erronea valutazione probatoria del Tribunale) può essere congiuntamente esaminato con il terzo (violazione e falsa applicazione 112 c.p.c., per incoerente argomentazione sulla deduzione del valore fortemente presuntivo della prestazione di attività giornalistica dalle lavoratrici derivante in particolare dalla loro iscrizione ai registro dei praticanti), per la loro stretta connessione.

Essi sono inammissibili.

Non si configura, infatti, il denunciato error in procedendo, non sussistendo vizio di omessa pronuncia (Cass. 10 novembre 2015, n. 22952; Cass. 24 novembre 2005, n. 24808), quanto piuttosto di motivazione (nella distinzione, decisamente alternativa dei due vizi, implicando il primo la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, invece presupponendo il secondo l'esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione: Cass. 18 giugno 2014, n. 13866; Cass. 17 luglio 2007, n. 15882): insindacabile poi la valutazione probatoria del giudice di merito, per contrapposizione di una propria dalla parte ricorrente, in funzione di un'inammissibile richiesta di rivisitazione del merito in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 marzo 2007, n. 5066).

Pure il secondo (violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 420, primo comma c.p.c., 2697, 2700 c.c., per l’aprioristica svalutazione dalla Corte territoriale delle dichiarazioni rese dalle lavoratrici, siccome "rese dinanzi agli ispettori e raccolte su moduli standard"), il quarto (violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 2729 c.c., per erronea esclusione del valore degli elementi di prova, in assoluzione dell’onere a proprio carico, dell'iscrizione d'ufficio delle tre lavoratrici al registro dei praticanti e degli ulteriori elementi presuntivi offerti, in assenza di alcun elemento contrario) ed il sesto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 34 e 45 I. 69/1963, per non corretta indagine della natura dell'attività giornalistica e dei caratteri tipicamente connotanti della mediazione, critica e creativa, tra il fatto e la sua diffusione) possono essere congiuntamente esaminati, per ragioni di stretta connessione.

Anch'essi sono inammissibili.

Non si configurano, infatti, le denunciate violazioni di norme di legge, per insussistenza dei requisiti loro propri di verifica di correttezza dell'attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva delle norme, né di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell'ipotesi normativa, né tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

Del resto, i motivi si limitano alla deduzione dell'asserita violazione delle regole in tema di onere e valutazione probatori, in riferimento all'accertamento della natura giornalistica dell'attività prestata, mentre il ricorso è teso, in realtà, all'essenziale censura della valutazione degli elementi di prova individuati dalla Corte territoriale. Sicché, essi sono piuttosto modulati come contestazioni del ragionamento argomentativo svolto, in modo corretto ed esauriente, dalla Corte territoriale (a pg. da 2 a 4 della sentenza), così da risolversi in una sostanziale richiesta di riesame del merito, insindacabile in questa sede, spettando al giudice di legittimità, non già il riesame nel merito dell'intera vicenda processuale, ma la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 marzo 2007, n. 5066).

In particolare, la norma prevista dall'art. 2697 c.c. regola l'onere della prova, non anche (come concretamente censurata nella specie) la materia della valutazione dei risultati ottenuti mediante l'esperimento dei mezzi di prova, viceversa disciplinata dagli artt. 115 e 116 c.p.c. e la cui erroneità ridonda comunque in vizio di motivazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 novembre 2012, n. 21234; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707).

E così neppure si configura la denunciata violazione delle norme regolanti l'attività di giornalista, di cui anzi la Corte territoriale ha correttamente indicato la peculiare caratterizzazione nella raccolta, elaborazione e interpretazione critica delle notizie, sostanziantesi nell'apporto creativo, costituito dal personale contributo di pensiero e dalla

valutazione della rilevanza della notizia, con giudizio sull'idoneità del fatto ivi riferito ad incidere sul convincimento del lettore (al terzultimo capoverso di pg. 3 della sentenza), in coerente applicazione del consolidato insegnamento di questa Corte (Cass. 29 agosto 2011, n. 17723; Cass. 25 giugno 2009, n. 14913; Cass. 5 marzo 2008, n. 5926).

Ciò che ancora una volta è effettivo oggetto di censura è dunque la valutazione probatoria fatta dalla Corte capitolina, in argomentata e persuasa adesione a quella del Tribunale (per le ragioni esposte in ultimo capoverso di pg. 3 e a pg. 4 della sentenza), oggetto di un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità.

Il quinto motivo, relativo ad omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione, consistente nell'apposizione della propria firma dalle lavoratrici alle interviste condotte ed ai "pezzi" scritti, è pure inammissibile.

L'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., riformulato dall'art. 54 d.l. 83/2012, conv. in I. 134/2012, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso della determinazione di un esito diverso della controversia in caso di suo esame; con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053).

Nel caso di specie, non solo non risultano indicati gli atti nei quali l'apposizione della firma ai contributi redatti dalle tre lavoratrici sia stata oggetto di discussione tra le parti (essendo anzi escluso dalla società, all'ultimo capoverso di pg. 14 del controricorso), ma neppure il fatto appare decisivo, in quanto non rivelativo, accanto all'elemento indubbio dell'assunzione di paternità e quindi della personalità dello scritto, pure della sua qualità creativa, anzi esclusa per le ragioni illustrate dalla Corte territoriale, sopra richiamate.

Il settimo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione 112 c.p.c., per omesso esame del motivo d'appello riguardante la natura subordinata dei rapporti, è inammissibile, per difetto del vizio denunciato, per assorbimento della questione (Cass. 16 maggio 2012, n. 7663; Cass. 11 gennaio 2006, n. 264), una volta esclusa la natura giornalistica della prestazione.

Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna l'INPGI alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 100,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater d.p.r. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma Ibis dello stesso articolo 13.