Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 aprile 2016, n. 7728

Cigs in deroga - Procedura - Comunicazione - Esonero per il datore di lavoro - Non sussiste

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 20 maggio 2013, riformando la pronuncia di prime cure, in accoglimento del ricorso proposto da C.S. nei confronti della datrice di lavoro C.L.I. Srl, condannava quest'ultima al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno in misura pari al differenziale delle retribuzioni tra quelle percepite e quelle percipiende ove non fosse stata collocata illegittimamente in CIGS tra il 12 febbraio 2007 ed il 2 novembre 2009.

La Corte in sintesi negava che i commi 7 ed 8 dell'art. 1 della L. n. 223 del 1991 in tema di procedura di concessione della CIGS e di consultazione sindacale fossero stati abrogati - come sostenuto dalla società - per effetto dell'entrata in vigore del DPR n. 218 del 10 giugno 2000; osservava dunque che l'azienda, con la nota di avvio della procedura di cassa integrazione del 6 dicembre 2002, non aveva ottemperato agli oneri previsti dalla L. n. 223 del 1991, in quanto comunicazione di tenore generico ed indeterminato; argomentava, ancora, che tale inottemperanza non poteva essere sanata dall'accordo del 19 giugno 2003, atteso che la successiva conclusione non poteva vanificare la già consumata illegittimità della procedura; considerazioni non dissimili la Corte spendeva per la seconda procedura avviata con lettera del 4 dicembre 2003, in quanto sia la comunicazione iniziale alle RSU sia la successiva fase dell'esame congiunto presentavano gli stessi vizi corrispondenti alla prima procedura.

In ordine poi ai periodi di sospensione relativi agli anni 2008 e 2009, secondo la Corte territoriale la cd. "CIGS in deroga" rappresenta soltanto una deroga alle normative vigenti in tema di imprese e lavoratori destinatari, limiti numerici per richiederla, periodi, trattamenti, etc.; nessuna deroga, invece, avuto riguardo ai requisiti legali della procedura in punto di criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, di modalità di rotazione e di esame congiunto.

2. La C.L.I. Srl ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. L'intimata ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

3. I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati:

- violazione o falsa applicazione della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 20, in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 1, ed al d.P.R. n. 218 del 2000, nonché violazione o falsa applicazione dell'art. 15 preleggi in relazione al rapporto tra il d.P.R. citato e l'art. 1 della I. n. 223 del 1991, sostenendo che il regolamento contenuto nel decreto presidenziale ha "inciso, abrogandolo, sul complessivo sistema procedimentale delineato dalla previgente disciplina" (primo motivo);

- violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e dell’art. 2, d.P.R. n. 218/2000, in refazione ai verbali di esame congiunto del 15 gennaio 2004, i quali avrebbero certificato la regolarità della procedura o, quanto meno, prodotto l'effetto di determinare una presunzione semplice in ordine alla regolarità della medesima (secondo motivo);

- violazione e falsa applicazione dell'art. 1, co. 7, I. n. 223 del 1991, dell'art. 5, co. 4, 5, 6, I. n. 164 del 1975, dell'art. 2, d.P.R. n. 218/2000, in relazione al contenuto della lettera di apertura della procedura sia del dicembre 2002 che del dicembre 2003, da ritenere conforme a legge, atteso che la specificità della comunicazione deve ritenersi negata dalla finalità cui la stessa è preordinata: "delineare un'iniziale (e precaria) piattaforma di discussione con il sindacato, suscettibile di integrazione, modifica, specificazione, ad opera della successiva dialettica sindacale" (terzo motivo);

- violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1367 c.c. in relazione all'accordo sindacale del 19 giugno 2003 e del 2 febbraio 2004 e violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della I. n. 223 del 1991 - in particolare comma 8 - e successive modificazioni, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione al contenuto di detti accordi sindacali e violazione dell'art. 116 c.p.c, in relazione alle testimonianze acquisite al giudizio; si assume che, come l'accordo sindacale in sede di esame congiunto sana eventuali vizi della comunicazione, così l'accordo in sede di gestione sana eventuali carenze dell'esame congiunto; per quanto riguarda poi la pretesa genericità degli accordi citati ci si duole che la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare le chiare ed in equivoche risultanze istruttorie emerse in giudizi analoghi e ritualmente acquisiti in giudizio (quarto motivo);

- violazione e falsa applicazione dell'art. 2, I. n. 244 del 2007, comma 521 e ss. e del d. I. n. 185 del 2008, convertito con L n. 2 del 2009, per avere la sentenza gravata, in relazione ai periodi di sospensione relativi agli anni 2008 e 2009, ritenuto che la cd. "CIGS in deroga" rappresenta soltanto una deroga alle normative vigenti in tema di imprese e lavoratori destinatari, limiti numerici per richiederla, periodi, trattamenti, etc., ma non avuto riguardo ai requisiti legali della procedura in punto di criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, di modalità di rotazione e di esame congiunto (quinto motivo).

4. I primi quattro mezzi di impugnazione investono questa Corte dell’esame di questioni già esaminate e risolte in analoghe controversie (tra le ultime v. Cass. Nn. 4431, 4290, 4289, 4288, 4228, 4227 del 2016), così declinabili nel rispetto del loro gradato ordine logico-giuridico: a) rapporto tra il d.P.R. 218/2000 e l'art. 1 I. 223/1991, nel senso dell'avvenuta abrogazione o meno delle disposizioni della seconda legge ad opera di quelle della prima, con la conseguenza della non necessaria indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della loro rotazione nella comunicazione di avvio della procedura di CIGS, suscettibile di differimento all'esito dell'esame congiunto tra imprenditore e OO.SS. della crisi aziendale e delle esigenze di organizzazione della produzione; b) requisiti di specificità della comunicazione di richiesta di apertura della procedura, in ordine ai suddetti criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della loro rotazione; c) eventuale efficacia sanante, in caso di inidoneità dei suddetti requisiti, di accordi sindacali raggiunti in corso di procedura e dell'attestazione, con verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro, di regolarità della procedura stessa.

5. La questione sub a) è oggetto del primo motivo di ricorso in premessa illustrato con il quale, con plurime argomentazioni, nella sostanza si sostiene la tesi dell’abrogazione della precedente normativa ad opera del d.P.R. n. 218/2000.

L'assunto e le censure che io sostengono non possono essere condivise.

L'insegnamento di questa Corte è ormai attestato nell'escludere alcuna incompatibilità tra la normativa regolamentare introdotta con il d.p.r. 10 giugno 2000, n. 218 e le disposizioni della legge 23 luglio 1991 n. 223, limitandosi la disciplina regolamentare ad imporre all'imprenditore, che intenda chiedere l'intervento straordinario di integrazione salariale, l'obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali ed attenendo unicamente alla fase amministrativa di concessione dell'integrazione, senza nulla dire sul contenuto concreto della comunicazione, né dettando alcuna disciplina in ordine ai criteri di scelta: senza pertanto incidere sugli obblighi di rilevanza collettiva stabiliti dall’art. 1, settimo e ottavo comma legge n. 223 citata. E così pure esso è fermo nel negare che la normativa regolamentare abbia spostato l'informazione sui criteri di scelta e le modalità della rotazione dai momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione salariale a quello immediatamente successivo dell'esame congiunto: posto che, così opinando, il contenuto dell'art. 2 del d.p.r. 218/2000 non soddisferebbe l'esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo, comportando solo l'alleggerimento degli oneri della parte datoriale con la compressione dei diritti d’informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato.

Sicché, in proposito appare sufficiente, per la piena adesione ad esso prestata, richiamare il seguente principio di diritto, assolutamente consolidato (così anche da ultimo: Cass. 11 marzo 2015, n. 4886 e, con affermazione ai sensi dell'art. 360 bis, primo comma c.p.c.: Cass. 9 giugno 2015, n. 11957), secondo cui: "In tema di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione guadagni, la L. n. 223 del 1991, art. 1 prescrive al comma settimo da parte del datore di lavoro, a seguito della sua ammissione alla cassa integrazione guadagni straordinaria, la comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri dì scelta dei lavoratori da sospendere, in base a quanto previsto dalla L. n. 164 del 1975. Tale disposizione, che pone a carico del datore di lavoro un preciso onere, va osservata come tutte le restanti disposizioni della suddetta L. n. 223 del 1991, volte a tutelare, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali, anche dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218 (contenente norme per la semplificazione del procedimento per la concessione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria e di integrazione salariale a seguito della stipula di contratti di solidarietà), atteso che tale disciplina non incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni ma è volta unicamente a diversamente regolamentare il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di concessione di integrazione salariale" (Cass. n. 28464 del 2008; adde: Cass. n. 13240 del 2009; successivamente conformi, Cass. Nn. 2155, 2156, 2157, 4151, 4152 del 2011, oltre Cass. nn. 25949, 25229, 25047, 23492, 23491, 23454, 23399, 15879, 15741 del 2014; Cass. nn. 25100, 22540, 22247, 21814 del 2013)".

Avendo la Corte territoriale deciso la controversia al suo esame applicando un orientamento più volte espresso dai giudici di legittimità la sentenza d'appello non è, per questo aspetto, meritevole di censura.

6. La seconda questione, relativa ai requisiti di specificità della comunicazione di richiesta di apertura della procedura, è oggetto del terzo motivo con cui si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inadeguata la comunicazione di avvio della procedura.

Anch’esso è infondato.

Premesso che la valutazione della rispondenza in             concreto della comunicazione di avvio della procedura di cassa integrazione oggetto dell'esame giudiziale ai requisiti legali investe il merito in ordine al contenuto dell’atto, sicché è nella competenza esclusiva del giudice di merito e come tale insindacabile nel giudizio di legittimità, quando esso abbia motivato la sua decisione in modo sufficiente e privo di contraddizioni (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540), nel caso di specie la Corte territoriale ha esaurientemente e coerentemente argomentato il proprio convincimento, in esatta applicazione delle norme di diritto denunciate.

Ed infatti, da esse sono stati enucleati i principi secondo cui: a) la specificità dei criteri di scelta consiste nell'idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri; b) la comunicazione di apertura della procedura dì trattamento di integrazione salariale, la cui genericità renda impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l'obbligo di comunicazione previsto dall'art. 1, settimo comma l. 223/1991; c) la mancata specificazione dei criteri di scelta (o la mancata indicazione delle ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione) determina l'inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 8 settembre 2014, n. 18895; Cass. 14 maggio 2012, n. 7459). E con particolare riferimento a! requisito di specificità, si è precisato (Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 7 novembre 2013, n. 25100) che l'aggettivazione "non individua una specie nell'ambito del genere criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione", atteso che "un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta" (Cass. 1 luglio 2009 n. 15393, richiamante Cass. 23 aprile 2004 n. 7720 e in chiaro riferimento a Cass. SS.UU. 11 maggio 2000, n. 302).

7. La terza questione, riguardante l'efficacia sanante degli accordi sindacali raggiunti in corso di procedura e dell'attestazione di regolarità della procedura, con verbali di esame congiunto del Ministero del Lavoro, è oggetto del secondo e del quarto motivo, per tale ragione congiuntamente esaminabili.

Essi sono infondati.

Anche qui occorre premettere che la valutazione di adeguatezza, nell’accordo sindacale, della specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da porre in cassa integrazione e delle modalità di rotazione si risolve nella formulazione di un giudizio di merito, al pari di quella concernente la comunicazione di avvio della procedura, spettante in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in cassazione solo negli stretti limiti del giudizio di legittimità (Cass. 29 maggio 2014, n, 12096; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705): nel caso in esame travalicati, in riferimento ad una decisione immune da incoerenze o contraddizioni logiche.

In ogni caso, questa Corte intende ribadire la recente affermazione secondo cui, in riferimento "alla possibilità di una efficacia sanante di un accordo sindacale sui criteri di scelta, occorre pure rammentare che essa è stata ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell'ipotesi in cui la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare a! confronto con la controparte adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali. Né può essere ammessa, con effetto retroattivo, rispetto a scelte in concreto già operate." (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886, anche per richiamo di: Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587; Cass. 9 giugno 2.009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009, n, 15393).

Quanto alle attestazioni ministeriali di corretto svolgimento della procedura ed in particolare dei verbali di esame congiunto del Ministero del Lavoro del 20 e 23 dicembre 2002 nonché del 15 gennaio 2004, esse difettano di rilevanza, posto che, ove si ritenga che criteri di individuazione e modalità di rotazione debbano essere indicati ab initio nella comunicazione di avvio, è superfluo esaminare la tesi che assegna valore asseverativo ad un documento che attesta che quell’indicazione è avvenuta solo in un momento successivo e cioè in sede di esame congiunto (Cass 8 giugno 2015, n. 11754, Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540, cass. 12 dicembre 2011, n. 26587)

8. Con il quinto mezzo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2, I. n. 244 del 2007, comma 521 e ss. e del d.I. n. 185 del 2008, convertito con I. n. 2 del 2009, per avere la sentenza impugnata ravvisato nelle sospensioni in CIGS avvenute nel 2008 e nel 2009 i medesimi vizi già individuati con riferimento alle precedenti procedure per crisi e per riorganizzazione aziendale; si sostiene che la cassa integrazione "in deroga alla vigente normativa" prevista da detta disciplina legislativa sarebbe stata concepita come strumento direttamente finalizzato a concedere, anche senza soluzione di continuità, trattamenti di CIGS nel caso di programmi finalizzati alla gestione di crisi occupazionali, anche con riferimento a settori produttivi ed aree regionali, ovvero miranti al reimpiego di lavoratori coinvolti in detti programmi definiti in specifici accordi in sede governativa intervenuti entro il termine di volta in volta indicato e tali concessioni sono attribuite al Ministero del Lavoro di concento con quello dell’economia; ne consegue - secondo parte ricorrente - che nessun onere diverso da quello previsto dalle citate disposizioni legislative doveva essere osservato sul piano procedurale, rilevando che la normativa stessa non richiama, neppure in via indiretta, le previsioni e gli oneri procedurali relativi ad enunciazione di criteri di scelta, modalità di rotazione ed esame congiunto; l'istituto della CIGS in deroga, quindi, si porrebbe al di fuori degli schemi anche procedurali della I. n. 223 del 1991, con la conseguenza che i pretesi vizi formali che la sentenza impugnata avrebbe riscontrato nella procedura per "riorganizzazione" non si estenderebbero alla successiva e diversa procedura che aveva disciplinato la sospensione dell'odierno intimato per gli anni 2008 e 2009.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Sin dal 2001 il legislatore, "per fronteggiare gli effetti e le ricadute sul piano occupazionale derivanti da gravi crisi aziendali o settoriali", anche connesse alle "encefalopatie spongiformi bovine, nonché all'emergenza idrica nella regione Puglia", ha consentito al Ministro del Lavoro, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, di disporre con decreto "proroghe di trattamenti di sussidiazione salariale già previsti da disposizioni di legge" ovvero "sussidiazioni del reddito in deroga alle disposizioni vigenti in materia di ammortizzatori sociali", finanziati dal Fondo per l'occupazione (art. 2 d.l. n. 158 del 2001, conv. in l. n. 248 del 2001).

Nell'attesa dichiarata di riformare organicamente gli ammortizzatori sociali, tale strumento di intervento è stato successivamente adottato di anno in anno ad ogni legge finanziaria (v. I. n. 448 del 2001, art. 52, co. 46; I. n. 289 del 2002, art. 41, co. 11; I. n. 350 del 2003, art. 3, co. 137; I. 311 del 2004, art. 1, co. 185; I. 266 del 2005, art. 1, co. 410; I. 296 del 2006, art. 1, co. 1190).

Sino a giungere alle disposizioni rilevanti nella controversia che ci occupa, oggetto della censura in esame.

L'art. 2, co. 521, della I. n. 244 del 2007, stabilisce:

"In attesa della riforma degli ammortizzatori sociali e nel limite complessivo di spesa di 460 milioni di euro, di cui 20 milioni per il settore agricolo, a carico del Fondo per l'occupazione di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, può disporre, entro il 31 dicembre 2008, in deroga alla vigente normativa, concessioni, anche senza soluzione di continuità, dei trattamenti di cassa integrazione guadagni straordinaria, di mobilità e di disoccupazione spedate, nel caso di programmi finalizzati alla gestione di crisi occupazionale, anche con riferimento a settori produttivi e ad aree regionali, ovvero miranti ai reimpiego di lavoratori coinvolti in detti programmi definiti in specifici accordi in sede governativa intervenuti entro il 15 giugno 2008 che recepiscono le intese già stipulate in sede territoriale ed inviate al Ministero del lavoro e della previdenza sociale entro il 20 maggio 2008".

Analogamente l'art. 2, co. 36, della I. n. 203 del 2008, stabilisce:

"In attesa della riforma degli ammortizzatori sociali e nel limite complessivo di spesa di 600 milioni di euro, per l'anno 2009, a carico del Fondo per l’occupazione di cui all'articolo 1, comma 7, dei decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, di seguito denominato "Fondo per l'occupazione", il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, può disporre, entro il 31 dicembre 2009, in deroga alla normativa vigente, la concessione, anche senza soluzione di continuità, di trattamenti di cassa integrazione guadagni straordinaria, di mobilità e di speciale, nel caso di programmi finalizzati alla gestione di crisi occupazionali, anche con riferimento a settori produttivi e ad aree regionali, definiti con specifiche intese stipulate in sede istituzionale territoriale entro il 20 maggio 2009 e recepite con accordi in sede governativa entro il 15 giugno 2009. "

E' agevole rilevare che le modalità di intervento a tutela del reddito dei lavoratori disegnate dalle due disposizioni sono sostanzialmente sovrapponibili.

Innanzitutto comune la fonte di finanziamento, che è il Fondo per l'occupazione di cui all’articolo 1, co. 7, del d.l. n. 148 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla I. n. 236 del 1993, con la predeterminazione di un limite di spesa.

Poi l'autorità che decreta l'intervento, che è il Ministro del Lavoro, con il concerto del Ministero dell'Economia, "in deroga alla vigente normativa".

L'oggetto dell'intervento può essere - per quanto qui interessa - la concessione, anche senza soluzione di continuità, di trattamenti di cassa integrazione straordinaria.

A monte devono esservi programmi finalizzati alla gestione di crisi occupazionali, definiti in specifici accordi in sede governativa, che a loro volta recepiscono intese già stipulate in sede territoriale.

Ciò posto appare chiaro che l'atto al quale la legge conferisce la possibilità di derogare alla normativa vigente è il decreto del Ministro del Lavoro, in coerenza con gli accordi definiti in sede governativa (circa la valenza, sostitutiva delle ordinarie regole procedimentali, degli "accordi in sede governativa" in fattispecie similare v. Cass. n. 25554 del 2015).

Al decreto ministeriale compete di definire i contenuti ed i limiti dell'intervento di CIGS "in deroga" alla normativa vigente.

Nella fattispecie all'attenzione del Collegio non è stato dalla società né allegato, né tanto meno riprodotto, il contenuto dei decreti ministeriali di concessione della cassa integrazione in controversia, di modo che potesse evincersi la latitudine della deroga alla normativa e quindi se essa riguardasse anche gli oneri di comunicazione circa l'avvio della procedura previsti dalla disciplina ordinaria.

Né può sostenersi, come vuole parte ricorrente, che la sola circostanza che la cassa integrazione fosse "in deroga" consenta di ritenere che "nessun onere diverso da quello previsto dalle citate disposizioni legislative doveva essere osservato sul piano procedurale". Infatti le norme scrutinate disciplinano in via generale gli aspetti di rilevanza pubblicistica della procedura, che consentono il finanziamento statale, attribuendo poi al decreto ministeriale il compito di dare contenuto alla deroga, sulla base anche degli accordi definiti in sede governativa.

In mancanza quindi della allegazione di una deroga espressa da parte delle fonti abilitate in alcun modo può mettersi in dubbio la vigenza della disciplina che regola le comunicazioni per l'avvio della procedura di cassa integrazione a tutela di interessi individuali del singolo lavoratore.

Per tali ragioni anche tale motivo deve essere respinto.

9. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità vanno liquidate secondo soccombenza, con attribuzione alla procuratrice dichiaratasi antistataria.

Ricorrono i presupposti di cui all'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate in euro 3.100,00, di cui euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%, con attribuzione.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, d.p.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.