Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 aprile 2016, n. 7514

Tributi - Contenzioso tributario - Procedimento - Sentenza di inammissibilità dichiarata dalla Commissione tributaria provinciale per scadenza dei termini di costituzione in giudizio delle parti - Nullità della sentenza per violazione del contraddittorio - Rimessione della causa al primo giudice

 

Svolgimento del processo

 

1. Pronunciando sul ricorso proposto dalla società A. S.r.l. avverso l'avviso di accertamento nei suoi confronti emesso dall'Agenzia delle entrate, Ufficio di Roma 2, per recupero di crediti d'imposta ex art. 8 legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001), per nuovi investimenti in aree svantaggiate, la C.T.P. di Roma ne dichiarava l'inammissibilità poiché tardivamente proposto oltre il termine di 60 giorni.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società contribuente, eccependo preliminarmente la nullità della sentenza di primo grado per essersi svolta l'udienza di trattazione senza che della stessa fosse stato dato previo avviso ad essa ricorrente, rimasta assente.

2. Con la sentenza in epigrafe, la C.T.R. Lazio rigettava l'appello e confermava integralmente la sentenza impugnata rilevando, quanto alla detta eccezione preliminare, che benché effettivamente dal fascicolo di primo grado non si evincesse la notifica dell'avviso dell'udienza di trattazione alla parte privata e questa risultasse assente dal relativo verbale, nondimeno nel caso di specie era da escludere che la violazione del contraddittorio dovesse condurre alta remissione della causa al giudice di primo grado secondo quanto previsto daII'art. 59, comma 1, d.lgs. cit., dovendosi ricondurre la sentenza emessa in tale contesto all'esercizio di un potere in capo al collegio di rilevare per l'appunto l'inammissibilità del ricorso, quando manifesta, anche in assenza di valido contraddittorio: potere ricavabile da una interpretazione sistematica delle norme di cui agli art. 27, 28 e 30 del suddetto decreto legislativo.

Posto infatti che la prima di tali norme attribuisce al presidente della sezione, all'esito di un esame preliminare del ricorso, di dichiararne l'inammissibilità, se manifesta, e che la seconda fa carico allo stesso di fissare la trattazione della controversia solo «se non ritiene di adottare preliminarmente i provvedimenti di cui all'art. 27», osservava che una ragionevole interpretazione sistematica di tale complesso normativo induce a ritenere che non possa essere precluso anche al collegio l'esercizio del medesimo potere attribuito al presidente di sezione. Tale interpretazione, secondo i giudici d'appello, troverebbe conforto anche nella previsione di cui all'art. 28 secondo la quale contro i provvedimenti del presidente emessi ai sensi dell'art. 27 è ammesso reclamo sul quale, scaduti i termini per la presentazione di memorie, «la commissione decide immediatamente ... in camera di consiglio» e «pronuncia sentenza se dichiara l’inammissibilità del ricorso».

Respingeva poi le censure della società appellante circa la nullità della notifica dell'avviso di accertamento e la conseguente impossibilità di computare da essa il decorso del termine per impugnare, rilevando che la stessa, nel caso di specie, doveva considerarsi effettuata nel pieno rispetto delle formalità previste per la notifica a mezzo posta al legale rappresentante della società presso la sua residenza in Roma, dopo un primo tentativo di notifica presso la sede legale della società; soggiungeva che, peraltro, la nullità della notifica dell'atto impugnato non era stata comunque eccepita nell'atto introduttivo del giudizio e che pertanto l'eccezione relativa alla pretesa rilevanza del trasferimento di domicilio fiscale, disposto dall'Agenzia delle entrate con provvedimento del 22/3/2006, era da considerarsi inammissibile ai sensi dell'art. 57 d.lgs. 546/1992.

3. Avverso tale decisione la società propone ricorso sulla base di quattro motivi.

L'Agenzia delle entrate non ha resistito con controricorso ma ha depositato c.d. atto di costituzione al solo fine della partecipazione all'udienza di discussione.

 

Motivi della decisione

 

4. Con il primo motivo di ricorso la società contribuente deduce violazione degli artt. 31 e 59 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché falsa applicazione degli artt. 27, 28 e 30 del medesimo d.lgs., in relazione all'art. 360 comma primo, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., affermando la nullità del procedimento e delle sentenze di merito per omessa comunicazione della data dell'udienza di trattazione del giudizio di primo grado.

Pacifico essendo che nel caso di specie tale comunicazione è stata omessa, censura la regula iuris applicata nella sentenza impugnata secondo cui i poteri attribuiti ai presidente di sezione, in sede di esame preliminare del ricorso, sarebbero legittimamente esercitabili, inaudita altera parte, anche dal collegio nell'udienza di trattazione, in caso di manifesta inammissibilità del ricorso. Rileva infatti che la norma di cui all'art. 27 d.lgs. n. 546/1992 il quale attribuisce al presidente di sezione, come organo monocratico, il potere di esaminare preliminarmente i ricorsi e di rilevarne l'inammissibilità, ove manifesta, ha funzione deflattiva e carattere eccezionale ed è pertanto di stretta interpretazione; esso inoltre è esercitato con decreto, impugnabile davanti al collegio e idoneo pertanto a spiegare efficacia solo se non impugnato, venendo sostituito, in caso contrario, o da sentenza confermativa del provvedimento reclamato o da ordinanza in caso di accoglimento. Fuori da tale procedimento qualunque statuizione, ancorché avente ad oggetto situazioni idonee ad essere decise in sede di esame preliminare, deve essere assunto in contraddittorio delle parti e nelle forme ordinarie, restando conseguentemente anche in tali casi rilevabile in appello l'eventuale violazione del contraddittorio in primo grado con le conseguenze di quell'art. 59, comma 1, d.lgs. cit..

5. Con il secondo motivo la ricorrente deduce - ai sensi dell'art. 360, comma primo, nn. 3 e 4 cod. proc. civ. - violazione e falsa applicazione dell'art. 139 cod. proc. civ. e degli artt. 58, 59 e 60 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione alla ritenuta regolarità della notifica dell'atto impugnato.

Rileva che, avendo l'Agenzia delle entrate disposto, ai sensi dell'art. 59 d. P.R. 29 settembre 1973, n. 600, già due anni prima della notifica di che trattasi, il trasferimento del domicilio fiscale della società dal Comune di Roma, presso quest'ultimo, ai sensi dell’art. 60, comma 1, lett. c) d.P.R. cit. e che, in caso di impossibilità di effettuare la notifica presso tale indirizzo, il criterio sussidiario della notifica alla persona fisica che rappresenta la società poteva considerarsi legittimamente applicabile soltanto se la stessa risiede nel comune in cui l'ente ha il suo domicilio fiscale: presupposto nella specie anch'esso insussistente.

6. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 57 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; dell’art. 6, comma 4, legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all'art. 360, comma primo, nn. 3 e 4 cod. proc. civ. per avere la C.T.R. ritenuto l'eccezione di nullità della notifica dell'avviso di accertamento, in conseguenza del trasferimento del domicilio fiscale disposto dall'agenzia delle entrate, tardivamente proposta con l'atto d'appello.

Obietta che trattasi di eccezione rilevabile anche d'ufficio e che, comunque, copia del provvedimento di domiciliazione dell'Agenzia delle entrate era stato depositato da essa ricorrente sin dal primo grado, unitamente all'istanza di sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato, con la finalità di eccepire, già in quella sede, l'invalidità della notificazione.

7. Con il quarto motivo la ricorrente deduce infine violazione e/o falsa applicazione dell'art. 8 legge 23 dicembre 2000, n. 388, in relazione alla ritenuta, nell'atto impugnato, insussistenza dei presupposti del credito d'imposta dalla società vantato per nuovi investimenti in aree svantaggiate.

8. È fondato il primo motivo di ricorso di rilievo ovviamente preliminare e assorbente.

Come fondatamente dedotto dalla società ricorrente, la norma di cui all'art. 27 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, è di stretta interpretazione e non può giustificare l'attribuzione in via estensiva alla commissione tributaria provinciale, organo collegiale, del potere di rilevare e dichiarare, con sentenza, inaudita altera parte, l'inammissibilità, ancorché in ipotesi manifesta, del ricorso.

Convergono in tal senso considerazioni legate alla ratio della disposizione nonché chiari indici di carattere testuale.

Sotto il primo profilo, occorre rimarcare che la detta norma - la quale attribuisce al presidente di sezione il compito di provvedere ad un esame preliminare dei ricorsi e, in tale sede, il potere di dichiararne con decreto l'inammissibilità, se manifesta - risponde ad un'esigenza al tempo stesso di accelerazione e deflazione del contenzioso e, in particolare, a quella di evitare di investire la commissione, organo collegiale, di ricorsi palesemente inammissibili: appare evidente dunque che una tale ratio non potrebbe più valere a giustificare una declaratoria di inammissibilità emessa dal collegio in assenza di contraddittorio, una volta che, per l'appunto, con la fissazione dell'udienza avanti la commissione tributaria provinciale, il vantaggio di deflazionare il contenzioso è comunque di per sé perduto.

Sul piano più strettamente legato al dato positivo, proprio la forma del provvedimento (decreto) e la prevista sua impugnabilità con reclamo innanzi alla commissione, nonché gli esiti di tale eventuale reclamo quali disciplinati dall'art. 28, lungi dal giustificare la ricostruzione accolta dalla C.T.R. ne evidenziano l'insostenibilità sul piano sistematico. Si ricava infatti da tali norme che: a) proprio la possibilità di reclamo al collegio del provvedimento presidenziale emesso in forma di decreto consente di escludere che l'istituto possa integrare una lesione dei principi del giusto processo di cui all'art. 111 Cost. oltre che del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost.; b) il collegio, dunque, nel meccanismo disegnato dalle norme, lungi dal poter esso stesso ascriversi il potere di dichiarare l'inammissibilità del ricorso, ancorché manifesta, in assenza di contraddittorio, è al contrario indicato come garanzia dello stesso, ancorché subordinata all'impulso di parte; c) una volta proposto reclamo il collegio può bensì eventualmente confermare, con sentenza, la valutazione di manifesta inammissibilità del ricorso, ma lo farà per l'appunto all'esito di un contraddittorio ritualmente instaurato; d) la ricostruzione accolta nella sentenza impugnata, nel postulare la possibilità di dichiarare con sentenza da parte del collegio l'inammissibilità del ricorso, ancorché manifesta, senza preventiva instaurazione del contraddittorio, eluderebbe in radice tale meccanismo e farebbe con ogni evidenza emergere profili di dubbia costituzionalità della disciplina così interpretata, non potendosi ovviamente ritenere rimedio equipollente a quello previsto dal legislatore la mera possibilità di impugnare con appello la sentenza in tale contesto emessa.

Ciò posto, è da escludere che nella specie la violazione della norma, di cui all'art. 31, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che impone alla segreteria della commissione tributaria provinciale di dare comunicazione alle parti costituite della data di trattazione del ricorso almeno 30 giorni liberi prima, possa fondatamente ritenersi - come fatto dalla C.T.R. - priva di conseguenze invalidanti, al contrario dovendosi ritenere applicabile la norma di cui all'art. 59, comma 1, lett. b) d.lgs. cit., a mente della quale la C.T.R. è tenuta a rimettere la causa alla commissione provinciale che ha emesso la sentenza impugnata net caso (tra gli altri tassativamente previsti) in cui riconosca (come nel caso di specie risulta esplicitamente riconosciuto) «che nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato».

Non ignora questo collegio che, secondo principio incontrastato nella giurisprudenza di questa Corte, «in tema di contenzioso tributario, qualora la commissione tributaria regionale, dopo aver accertato fa mancata comunicazione dell'avviso di trattazione della controversia in primo grado, invece di disporre la rimessione della causa alla commissione tributaria provinciale, come previsto dall'art. 59, comma primo, lettera b), del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, abbia consentito al contribuente di produrre la documentazione posta a fondamento del ricorso, decidendo poi la causa nel merito, l'intervenuta regolarizzazione del contraddittorio nel giudizio di secondo grado, con possibilità per il contribuente di esplicitare tutte le proprie difese, non consente alla Corte di cassazione di annullare la sentenza di appello con riferimento all'iniziale vizio che inficiava la sentenza di primo grado, posto che la cassazione con rinvio, ai sensi dell'art. 383, primo comma, cod. proc. civ., è prevista soltanto al fine di consentire una valutazione di merito, nella specie ampiamente espletata ed adeguatamente motivata» (Sez. 5, n. 24972 del 24/11/2006, Rv. 594224; Sez. 5, n. 13113 del 25/07/2012, Rv. 623847).

Tale principio, tuttavia, nel caso di specie non è utilmente invocabile atteso che la censura subordinatamente proposta dall'appellante, con la quale si reiterava la difesa circa l'insussistenza della ritenuta tardività del ricorso in ragione della nullità della notifica dell'atto impositivo, è stata disattesa dalla C.T.R. anche sul rilievo della asserita tardività della relativa eccezione ai sensi dell'art. 57 d.lgs. cit., rilievo che ovviamente in sé implica il rifiuto di consentire al contribuente di esplicare tutte le difese (e di offrire le produzioni documentali) che avrebbe potuto proporre nel giudizio dì primo grado e segna pertanto uno sviluppo procedimentale opposto a quello postulato dalla giurisprudenza sopra richiamata.

9. In accoglimento del primo motivo di ricorso deve pertanto pronunciarsi la cassazione della sentenza impugnata con il conseguente annullamento anche della sentenza di primo grado e la remissione degli atti al giudice di primo grado, il quale dovrà provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Resta naturalmente assorbito l'esame degli altri motivi di ricorso.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i rimanenti; cassa l'impugnata sentenza e dichiara la nullità dell'intero processo.

Rimette le parti avanti la Commissione Tributaria Provinciale di Roma, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese dei precedenti giudizi di merito e del presente giudizio di legittimità.