Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 marzo 2016, n. 6104

Tributi - Reddito d’impresa - Costi relativi ad operazioni con contraenti residenti in Paesi black list - Omessa separata indicazione nella dichiarazione dei redditi - Regolarizzazione con dichiarazione integrativa - Legittimità

 

Svolgimento del processo

 

L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte depositata il 13 maggio 2009.

La decisione è intervenuta in controversia scaturita dall'impugnazione di avviso di accertamento, con cui l'Agenzia aveva ritenuto non deducibili ai fini Irpeg ed Irap per l'anno di imposta 2003 - perché non separatamente indicati in dichiarazione come prescritto dall’art. 76 d.p.r. 917/1986 (vigente ratione temporis) - i costi derivati da operazioni commerciali intrattenute dalla società contribuente con fornitori fiscalmente domiciliati in Hong Kong, Paese a fiscalità privilegiata.

In parziale riforma della sentenza di primo grado, il giudice di appello ha ritenuto legittimamente applicabile alla società contribuente la sola sanzione prevista dall'art. 8, comma 1, d.lgs. n. 471/97 (sanzione per violazione formale della dichiarazione) nella misura minima di € 258.

Nel proposto ricorso, l'Agenzia sviluppa un unico motivo di doglianza.

La società contribuente resiste con controricorso, illustrato anche con memoria.

 

Motivi della decisione

 

Sul presupposto che, la violazione contestata era stata ritualmente sanata con dichiarazione integrativa ai sensi dell'art. 2, comma 8, l. 322/1998 e preso atto dello ius superveniens costituito dell'art. 1, commi 302 e 303, l. 296/2006 e dell'art. 8, comma 3 bis, d.lgs. 471/1997, il giudice di appello - in parziale riforma della sentenza di primo grado (che, sul presupposto dell'inesistenza di danno erariale, aveva integralmente annullato l'accertamento) - ha confermato l'esclusione della radicale indeducibilità dei costi e della sanzione ad essa, poi, retroattivamente sostituita dell'art. 1, commi 302 e 303, l. 296/2006 (mediante inserimento del comma 3 bis nell'art. 8 d.lgs. 471/1997), ritenendo legittimamente applicabile alla società contribuente soltanto la sanzione prevista dall’art. 8, comma 1, d.lgs. n. 471/97 (sanzione per violazione formale della dichiarazione) nella misura minima di € 258.

Con l'unico motivo di ricorso, l'Agenzia censura la decisione impugnata per non aver considerato che, per effetto della previsione dei commi 303 e 302 dell'art. 1 l. 296/2006, alle violazioni consistenti nella mancata indicazione separata dei costi relativi ad operazioni con contraenti residenti in Paesi black list, commesse prima dell'entrata in vigore della legge, si applica la sanzione in misura proporzionale del dieci per cento dell'importo complessivo di spese e componenti negativi non indicati in dichiarazione, per un minimo di € 500 ed un massimo di € 50.000, sanzione che va ad aggiungersi a quella dell'art. 8, comma 1, d.lgs. 471/97. Sostiene, in particolare che "il primo periodo del comma 303 della l. 296/2006 chiarisce espressamente che alle violazioni commesse, come nel caso di specie, prima della sua entrata in vigore si applica il comma 302, quello cioè irrogativo della sanzione in misura proporzionale del dieci per cento dell'importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione, da un minimo di 500 euro a n massimo di 50.000 euro, sanzione che va ad aggiungersi a quella dell'art. 8, comma 1 d.lgs. 471/97 che ai sensi del secondo periodo del comma 303 resta ferma".

La doglianza va disattesa.

La decisione impugnata è sostanzialmente sorretta (cfr. pp. 5 e 6) dall'affermazione della validità dell'effettuata dichiarazione integrativa ex art. 2, comma 8, l. 322/1998 e della sua idoneità a sanare la mancata osservanza della prescrizione legale di separata indicazione in dichiarazione dei costi derivanti da operazioni intercorse con soggetti fiscalmente domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata.

Come rilevato dal controricorrente affermazione, che costituisce la fondamentale ratio decidendi della sentenza impugnata non risulta minimamente aggredita dal ricorso, che si rivela, pertanto, inammissibile.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s'impone la correlativa declaratoria.

Per la soccombenza, l'Agenzia ricorrente va condannata alla refusione delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna l'Agenzia ricorrente alla refusione delle spese, liquidate in complessivi € 2.800,00, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15% ed accessori di legge.