Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 14 aprile 2016, n. 7469

Previdenza - Omissione contributiva - Cartella esattoriale - Iscrizione gestione commercianti - Verbale di accertamento Inps

 

Fatto e diritto

 

La causa è stata chiamata all'adunanza in camera di consiglio dell'11 febbraio 2016, ai sensi dell'art. 375 cod. proc. civ., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell'art. 380 bis cod. proc.civ.: "Con separati ricorsi poi riuniti al fine di consentirne la trattazione unitaria L.M. ha proposto opposizione avverso plurime cartelle esattoriali, riferite a periodi contributivi compresi tra il 2001 ed il 2009, con le quali le era intimato il pagamento di contributi, oltre interessi di mora e somme aggiuntive, per effetto della sua iscrizione alla gestione commercianti scaturita da verbale di accertamento INPS.

Il Tribunale ha rigettato le opposizioni.

La decisione è stata confermata dalla Corte d'appello di Trieste sul rilievo che le emergenze istruttorie avevano dimostrato che la M., socio amministratore della Z.F. s.r.l., aveva partecipato, con carattere di continuità e prevalenza (rispetto ai compiti di amministratore), all'attività della detta società.

Il giudice di appello ha a tal fine valorizzato la deposizione testimoniale dell'Ispettore M. il quale aveva riferito di avere, in tre occasioni, trovato la M. presso la sede aziendale, seduta alla scrivania, impegnata nel lavoro, nonché la circostanza che, in assenza di dipendenti, essendo due soltanto i soci della Z.F. s.r.l., quando l'altro socio - sul quale, secondo quanto dichiarato dalla M. in sede di ispezione, gravava la maggior parte del lavoro - era impegnato nell'attività esterna di commercializzazione, progettazione ed allestimento di prodotti di arredamento immobili, indicata nella visura camerale, era la M. ad essere impegnata presso la sede aziendale, per tenerla aperta, ricevere la clientela e gestire l'attività.

Il giudice di appello ha inoltre ritenuto che la sentenza di primo grado aveva fatto corretta applicazione dei principi in tema di distribuzione dell'onere probatorio posto che, a fronte degli elementi forniti dall'INPS, la ricorrente non aveva nemmeno indicato alcuna circostanza atta a dimostrare la propria presenza occasionale in negozio.

Per la cassazione della decisione propone ricorso L.M. sulla base di tre motivi.

L'INPS resiste con tempestivo controricorso.

Con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla normativa sostanziale in materia di regolamentazione dell'onere della prova di cui agli artt. 2967, 2728 e 2729 cod. civ. e dell'art. 115 cod. proc. civ.

Premesso che il giudice di appello era pervenuto alla convinzione che essa M. svolgesse all'interno della compagine aziendale attività lavorativa in maniera prevalente, sulla base di elementi indiziari ricavabili dalla deposizione dell'ispettore INPS, sostiene che la sentenza impugnata, nell'evidenziare la mancata indicazione da parte della ricorrente di elementi probatori idonei a contrastare quelli offerti dall'INPS, aveva violato la norma di cui all'art. 2967 cod. civ. alla stregua della quale l'onere di provare il rapporto contributivo ricade sull'ente impositore quale attore sostanziale. Deduce quindi che, in concreto, tale onere non era stato assolto in quanto gli elementi offerti dall'INPS avevano valenza meramente indiziaria ed erano privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza come, invece, richiesto dall'art. 2729 cod. civ., per la relativa ammissione.

Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla disciplina dettata in tema di presunzioni dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ. e in tema di" fatto notorio" ex art. 115 cod. proc. civ. , comma 2, nonché dell'art. 1 della legge n. 1397 del 1960.

Censura la decisione impugnata per avere configurato quale "fatto notorio" la circostanza che in una società costituita da soli due soci, quando uno si occupa di tutte le incombenze esterne, l'altro si occupa necessariamente degli aspetti amministrativi. Si duole che la Corte di merito prima di operare il ragionamento deduttivo non abbia effettuato alcuna indagine sulla natura dell'attività effettivamente svolta dall'impresa al fine di verificare la effettiva utilizzabilità di tale massima di esperienza in relazione alla asserita necessità della M. di essere presente in azienda quando l'altro socio era assente.

In questa prospettiva contesta che l'attività espletata dalla Z.F. s.r.l. rientrasse fra quelle che richiedono la presenza costante di una persona presso la sede per ricevere i clienti.

Con il terzo motivo di ricorso deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti e violazione e falsa applicazione dell'art. 1 L. n. 1397 del 1960 e dell'art. 2195 cod. civ., con riferimento all'art. 2697 cod. civ.

Censura, in sintesi, la decisione, per avere omesso di considerare che la Z.F. s.r.l., come allegato in prime cure, non svolgeva con prevalenza attività commerciale bensì di contract (ossia esecuzione di un'opera non contemplata tra le attività commerciali di cui all'art. 2195 cod. civ.) ovvero di appalto nell'allestimento di arredi per esercizi pubblici.

In ragione delle specifiche caratteristiche di tale attività non era necessario che la M. dovesse essere in azienda quando l'altro socio era impegnato all'esterno; tale fatto, oggetto di discussione tra le parti, avente rilevanza decisiva posto che l'obbligo contributivo ex art. 1 L. n. 1397 del 1960 sussiste esclusivamente per gli "esercenti attività commerciali," era stato del tutto omesso dal giudice di appello.

I motivi di ricorso, trattati congiuntamente in quanto connessi, sono da respingere.

Si premette che l'art. 1, c. 203, della L. 23.12.96 n. 662, nel sostituire il primo comma dell'art. 29 della L. 3.06.75 n. 160, prevede che "L'obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla legge 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita; b) abbiano la piena responsabilità dell'impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonché per i soci di società a responsabilità limitata; c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli".

Il successivo c. 208 (primo periodo) prevede, inoltre, che "qualora i soggetti di cui ai precedenti commi esercitino contemporaneamente, anche in un'unica impresa, varie attività autonome assoggettabili a diverse forme di assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, sono iscritti nell'assicurazione prevista per l'attività alla quale gli stessi dedicano personalmente la loro opera professionale in misura prevalente".

L'art. 12, comma. 11, del d.l. 31.05.10 n. 78 (conv. dalla legge 30.07.10 n. 122), dà l'interpretazione autentica del detto comma 208 nel senso che "le attività autonome, per le quali opera il principio di assoggettamento all'assicurazione prevista per l'attività prevalente, sono quelle esercitate in forma d'impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, i quali vengono iscritti in una delle corrispondenti gestioni dell'INPS". Detto comma 11 conclude, pertanto, che "restano esclusi dall'applicazione dell'art. 1, comma 208, legge n. 662/96 i rapporti di lavoro per i quali è obbligatoriamente prevista l'iscrizione alla gestione previdenziale di cui all'art. 2, comma 26, della L. 8.08.95 n. 335".

La giurisprudenza di legittimità ha interpretato tale complesso normativo nel senso che l'esercizio di attività in forma d'impresa ad opera di commercianti, artigiani o coltivatori diretti debba essere contemporaneo all'esercizio di attività autonoma per la quale è obbligatoria l'iscrizione alla gestione separata ex art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 e che, ai sensi dell'art. 1, comma 208, della legge n. 662 del 1996, autenticamente interpretato dall'art. 12, comma 11, del d.l. n. 78 del 2010, conv. in legge n. 122 del 2010, non opera la fictio iuris dell'unificazione della contribuzione sulla base del parametro dell'attività prevalente, ma vale il principio della doppia iscrizione. Pertanto, il socio di una società a responsabilità limitata, che svolge per la società stessa attività di lavoro autonomo, quale collaboratore coordinato e continuativo, è soggetto a doppia contribuzione, presso la gestione separata per i compensi di lavoro autonomo e presso la gestione commercianti per il reddito d'impresa ( Cass. ss.uu. n. 17076 del 2011, ord. n. n. 9803 del 2012 e n. 9153 del 2012).

Tanto premesso, deve rilevarsi che ai fini dell'affermazione dell'obbligo della doppia iscrizione (nella gestione separata e nella gestione commercianti) è necessario che, nella situazione data del socio amministratore di una società di capitali che partecipi personalmente al lavoro aziendale, la prestazione offerta deve avere carattere di abitualità e preponderanza rispetto agli altri fattori produttivi, intendendosi per partecipazione al lavoro aziendale lo svolgimento dell'attività operativa in cui si estrinseca l'oggetto dell'impresa.

Ove non sussista tale condizione personale, mancando i requisiti per l'iscrizione alla gestione commercianti, non si pone questione di contribuzione concorrente delle due attività (amministrazione e commercio), sussistendo l'obbligo di iscrizione del ricorrente esclusivamente alla gestione separata (v. al riguardo Cass. n. 10566 del 2015).

Così delineato il quadro normativo di riferimento è da evidenziare che i motivi di ricorso investono, sotto vari profili, l'accertamento di fatto operato dalla Corte di merito, e quindi, il concreto ricorrere, nel caso di specie, dei presupposti di fatto per la sussistenza dell'obbligo della " doppia iscrizione".

Essi sono manifestamente infondati. E' in primo luogo da escludere che la decisione sia stata adottata in violazione delle regole di riparto dell'onere probatorio che nei giudizi aventi ad oggetto l'accertamento del rapporto contributivo pongono a carico dell'ente previdenziale l'onere di provare i fatti costitutivi di tale obbligo e sulla controparte l'onere di contestare i fatti costitutivi del credito (v., tra le altre, Cass. n. 23600 del 2009).

Il giudice di appello ha dimostrato di fare corretta applicazione della regola di cui all'art. 2967 cod. civ. laddove ha fondato il proprio accertamento su elementi offerti dall'INPS che ha ritenuto non contraddetti da elementi di valenza probatoria opposta offerti dalla M.

In merito alla denunzia attinente alla violazione dell'art. 115 cod. proc. civ. si rileva che dalle argomentazioni a sostegno della ricostruzione di fatto operata in sentenza non è dato evincere l'utilizzazione da parte del giudice di appello del "notorio", inteso come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo, il quale, come criterio legale di giustificazione del giudizio di fatto è destinato a individuare le premesse di fatto che possono assumersi per vere anche in mancanza di prova.

Nel caso di specie, invece, le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di appello in merito alla presenza in sede della M. quando l'altro socio era assente, risultano frutto di presunzioni desunte da circostanze di fatto (riferite alla concreta fattispecie) acquisite al giudizio ed, in particolare, dall'assenza di dipendenti, dall'essere la società formata da soli due soci dei quali l'uno, sul quale gravava la maggior parte del lavoro, impegnato in attività esterna per cui si rendeva necessaria la presenza dell'altro presso la sede aziendale per ricevere i clienti.

In tema di presunzioni questa Corte ha chiarito che spetta al giudice di merito valutare l'opportunità di farvi ricorso, di individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all'utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo. ( v. Cass. n. 8023 del 2009, n. 157373 del 2003).

Nel caso di specie il ricorso a presunzioni da parte del giudice di appello non appare viziato da alcuna intrinseca illogicità e si sottrae pertanto al sindacato di legittimità.

Infine il terzo motivo di ricorso risulta inammissibile alla luce della nuova configurazione del motivo di cui all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, nella lettura data da questa Corte.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. per tutte Cass. ss.uu. n. 8053 del 2014) il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza la parte ricorrente sarà tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni .di cui agli artt. 366, primo comma , n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. - il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l'esistenza, il conte e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso. L'odierna ricorrente non ha sviluppato il motivo di ricorso in termini coerenti con tali prescrizioni. In particolare ha omesso di indicare il dato testuale o extratestuale dal quale risulterebbe il fatto storico (attività in concreto svolta dalla società) non potendo lo stesso evincersi dalle mere allegazioni contenute nel ricorso di primo grado (richiamato nel corpo del ricorso per cassazione); deve comunque evidenziarsi che il tema della concreta attività svolta dalla società è stato affrontato nella sentenza impugnata che ha a tal fine richiamato quanto risultante dalla visura camerale.

In conclusione, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere respinto in quanto manifestamente infondato. Si chiede che il Presidente voglia fissare la data per l'Adunanza camerale".

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Ritiene questo Collegio che le considerazioni svolte dal Relatore sono del tutto condivisibili siccome coerenti alla ormai consolidata giurisprudenza in materia. Tali conclusioni non risultano inficiate dalle deduzioni formulate in memoria dalla parte ricorrente, deduzioni incentrate sull'assenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza degli elementi indiziari utilizzati dal giudice di appello; il Collegio ritiene, infatti, di ribadire la insindacabilità della valutazione del giudice di merito, in assenza di palese illogicità del ragionamento presuntivo alla base dell'accertamento di fatto operato in sentenza nella ricostruzione dell'attività della M.

Consegue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione all'INPS delle spese del presente giudizio che liquida in € 3.000,00 per compensi professionali, € 100,00 per esborsi, oltre spese forfetarie determinate nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.