Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 aprile 2016, n. 15619

Falsità ideologica in atto pubblico per l’amministratore che attesta informazioni non vere alla CCIAA

 

Ritenuto in fatto

 

Il difensore di (...) ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa nei confronti della sua assistita, il 12/03/2012, dal Tribunale di Caltanissetta; l'imputata risulta essere stata condannata alla pena di mesi 5 di reclusione per il delitto di cui all'art. 483 cod. pen., per avere attestato il falso in una comunicazione indirizzata alla Camera di commercio nissena, con la quale segnalava di avere assunto la carica di amministratore unico della società agricola (...) s.r.l., in luogo del precedente amministratore (...), e che tale sostituzione era stata formalmente trascritta sui libri contabili originali della società (quando invece, alla data della comunicazione anzidetta, le scritture in questione erano ancora nella disponibilità dell'amministratore revocato).

La difesa lamenta inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 483 cod. pen. e 192 del codice di rito, nonché vizi di motivazione della sentenza impugnata: rappresenta, in particolare, che la condotta della (...) sarebbe stata priva di idoneità offensiva, essendosi ella limitata a dare immediatamente corso al deliberato di una regolare assemblea circa le variazioni degli organi sociali (mentre il riferimento a particolari ulteriori, come l'avere riportato le modifiche de quibus nei libri contabili, non rispondeva ad alcun interesse dell'imputata, costituendo circostanza del tutto innocua e frutto di inesperienza).

Con un secondo motivo di doglianza, nell'interesse della ricorrente si deduce omessa motivazione in punto di negazione delle circostanze attenuanti generiche: sul punto, la Corte di appello avrebbe completamente ignorato lo specifico motivo di gravame con il quale erano state evidenziate le ragioni a sostegno dell'applicabilità dell'art. 62-bis cod. pen. alla fattispecie concreta.

In una memoria depositata presso la Cancelleria della Settima Sezione di questa Corte, cui il presente procedimento era stato inizialmente rimesso, la difesa dell'imputata sollecita l'applicazione al caso di specie della norma di cui all'art. 131-bis cod. pen.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.

1.1 Con riguardo alla ravvisabilità del delitto contestato, la motivazione delle pronunce di merito appare immune dai vizi lamentati dalla difesa, sia in punto di elemento materiale della ritenuta lesione della pubblica fede, sia quanto alla riferibilità psicologica dell'addebito. L'attestazione trasmessa dalla (...) per via telematica, infatti, fu senz'altro difforme dal vero: il 05/08/2009, quando venne formalizzata la comunicazione alla Camera di commercio in ordine alla nomina del nuovo amministratore, la ricorrente non era certamente in possesso delle scritture contabili, tanto che soltanto all'indomani si recò presso il consulente che ancora le deteneva (invitandolo a mettergliele a disposizione, in forza della sua acquisita veste di organo esecutivo, ma senza neppure ottenerne la consegna). Né può discutersi di condotta inoffensiva, ove solo si consideri il tenore letterale della dicitura in calce alla riproduzione del contenuto del verbale dell'assemblea, secondo cui "la sottoscritta (...) amministratore unico della società agricola (...) s.r.l., dichiara che il presente documento informatico è conforme all'originale documento su supporto cartaceo trascritto e sottoscritto sui libri sociali della società, ai sensi degli artt. 38 e 47 del d.P.R. 445/2000, che si trasmette ad uso Registro Imprese": si trattava perciò, per esplicita indicazione del soggetto da cui proveniva, di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, destinata a fini pubblicistici.

In ordine all'elemento psicologico, la difesa continua a ribadire l'assunto che la (...) non intese ingannare chicchessia, curando soltanto un incombente puramente esecutivo di quanto aveva deliberato l'assemblea: ma, se l'argomento appare condivisibile in ordine alla comunicazione della nomina del nuovo amministratore, non altrettanto è a dirsi quanto alla avvenuta trascrizione del verbale sui registri contabili, come reso evidente dal comportamento stesso della ricorrente, successivo al 05/08/2009. Né, del resto, l'imputata allega di avere fatto propria, per mera disattenzione, una dichiarazione da altri predisposta, sulla falsariga di una modulistica standardizzata per le comunicazioni telematiche da inviare alla Camera di commercio in casi analoghi: come detto, si legge nel ricorso che ella si sarebbe soltanto, «per mera leggerezza [...], superficialmente preoccupata di dare corso alle statuizioni societarie del giorno antecedente».

1.2 In ordine alla negazione delle circostanze attenuanti generiche, tema sul quale vi era stato specifico motivo di appello, la Corte territoriale si limita in effetti ad osservare che «la pena irrogata appare congrua e ben proporzionata al fatto, ai sensi dell'art. 133 cod. pen.». Tuttavia, dal pur sintetico richiamo alla correttezza della determinazione del trattamento sanzionatorio operata dal primo giudice si desume l'evidente volontà di ribadire - al fine di disattendere le doglianze difensive - quanto già diffusamente segnalato dal Tribunale circa:

- il dimostrato, «oggettivo non secondario disvalore di una condotta concretatasi nella falsa attestazione di un fatto concernente l'operatività di una società di capitali, e destinato ad essere trasfuso in pubblici registri»;

- l'esistenza di una precedente condanna della (...), per due reati sanzionati con pena pecuniaria, sia pure considerandone la non ostatività ai fini della concessione del beneficio della sospensione condizionale.

1.3 Quanto infine alla possibilità di rilevare nel caso di specie una ipotesi di particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art. 131 - bis cod. pen., risulta già affermato il principio secondo cui, in assenza di regime transitorio, il giudice di legittimità «può rilevare di ufficio ex art. 609, comma secondo, cod. proc. pen. la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, fondandosi su quanto emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione impugnata e, in caso di valutazione positiva, deve annullare la sentenza con rinvio al giudice di merito» (Cass., Sez. IlI, n. 15449 dell'08/04/2015, Mazzarotto, Rv 263308: in quella fattispecie, non di meno, i presupposti per l'applicazione della norma de qua risultano essere stati esclusi, emergendo dalla sentenza impugnata elementi indicativi della gravità dei fatti addebitati all'imputato, incompatibili con un giudizio di particolare tenuità degli stessi). In linea con tale approccio interpretativo, si è successivamente sostenuto che «il mancato riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entità relativa al porto di oggetti atti ad offendere (nella specie un'ascia ed alcuni bastoni in legno e ferro) di cui all'art. 4, comma terzo legge 18 aprile 1975, n. 110 impedisce la declaratoria di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen.» (Cass., Sez. I, n. 27246 del 21/05/2015, Singh, Rv 263925).

Nel caso oggi in esame, la dosimetria della pena risulta da un computo che si discosta sensibilmente dai minimi edittali, a riprova di una non trascurabile incidenza della condotta criminosa sul bene giuridico in ipotesi leso e - come appena ricordato - i giudici di merito risultano avere escluso la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche: si tratta di elementi certamente indicativi di una valutazione dì gravità non minima della condotta in rubrica.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell'imputata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

La ricorrente deve altresì essere condannata a rifondere alla parte civile le spese sostenute nel presente giudizio di legittimità, che la Corte reputa congruo liquidare - in ragione delle incombenze cui il difensore ha dovuto adempiere e dell'impegno professionale richiesto - nella misura di cui al dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate in euro 1.000,00, oltre accessori di legge.