Prassi - NORMA DI COMPORTAMENTO 01 aprile 2016, n. 195

Modalità di addebito dell'IVA accertata e di rettifica in caso di mancato pagamento

 

1) IVA accertata in aumento relativa ad operazioni per le quali vi era obbligo di emettere fattura

L'IVA accertata in aumento a carico del soggetto passivo relativa ad operazioni per le quali era originariamente previsto l’obbligo di emettere fattura e da questi corrisposta all'Erario, può essere oggetto di rivalsa nei confronti del suo cessionario o committente.

In caso di mancato pagamento da parte del cliente dell’importo di IVA accertata addebitatagli dal soggetto passivo a titolo di rivalsa, quest’ultimo ha diritto di operare la rettifica in diminuzione rispettando le condizioni indicate dall'art. 26, 2 comma e segg., del d.P.R. 633/1972, in riferimento all’importo non corrisposto e nei limiti dell’IVA compresa nell’importo non pagato.

La differenza tra l’importo dell’IVA rettificata in diminuzione e l’importo addebitato a titolo di rivalsa e non corrisposto dal cliente rappresenta un costo che è deducibile in capo al soggetto passivo ai fini delle imposte sul reddito nel rispetto delle ordinarie regole, quale perdita su crediti.

 

2) IVA accertata in aumento relativa ad operazioni per le quali non vi era obbligo di emettere fattura

L'IVA accertata a carico del soggetto passivo relativa ad operazioni attive per le quali non è stata emessa la fattura in quanto l’emissione non era obbligatoria non può essere oggetto di rivalsa.

In tal caso, l’importo dell’IVA dovuta, compresa nel maggior corrispettivo accertato, rappresenta un costo di esercizio ed è deducibile ai fini della determinazione del reddito nel rispetto delle ordinarie regole, quale perdita su crediti.

 

1. Inquadramento del tema

1.1. Principio generale di neutralità dell’IVA

Il sistema dell’IVA è basato sul principio che l’imposta debba gravare sul consumatore finale e non sul fornitore. Di conseguenza, l’amministrazione tributaria non può riscuotere IVA per un importo superiore a quello che il soggetto passivo ha diritto di percepire (NOTA 1).

Conformemente a tale principio, la normativa italiana attribuisce il diritto di rivalsa non solo in via ordinaria, ai sensi dell’art. 18, D.P.R. n. 633/1972, ma anche in seguito ad accertamento, ai sensi del successivo art. 60. In particolare, dopo la modifica introdotta con il D.L. 1/2012, l'art. 60, 7° comma, del D.P.R. n. 633/1972, consente l'esercizio del diritto di rivalsa della maggiore imposta accertata, ponendo quale condizione che il soggetto passivo abbia definitivamente corrisposto le somme dovute all'Erario in dipendenza dell'importo controverso (NOTA 2).

 

1.2. Rivalsa nel caso di operazione non soggetta ad obbligatoria fatturazione

Ancorché il fornitore abbia diritto di rivalsa anche in caso di accertamento, potrebbe essergli preclusa l’effettiva possibilità di esercitare il proprio diritto e di recuperare l’imposta dovuta dal suo cliente: è questa l’ipotesi in cui la fattura non è stata emessa nel momento di effettuazione dell’operazione, non essendo obbligatoria la sua emissione, e conseguentemente, non sia possibile individuare il cliente cui addebitare per rivalsa la maggiore imposta (NOTA 3).

In tal caso, la maggiore imposta dovuta a seguito di accertamento deve essere determinata mediante scorporo dell'IVA dal maggiore corrispettivo accertato (NOTA 4)che deve intendersi "IVA compresa", dato che, in caso contrario, prendendo, cioè, in considerazione i corrispettivi complessivi quale base su cui applicare l’IVA, si farebbe gravare sul fornitore un’imposta che esso non ha percepito, con conseguente contrasto rispetto al principio secondo cui l’IVA è un’imposta sul consumo che deve essere sopportata dal consumatore finale (NOTA 5).

 

1.3. Rivalsa nel caso di operazione soggetta ad obbligatoria fatturazione

Quando il cliente sia identificato o identificabile sin dall’effettuazione dell’operazione, il fornitore ha la possibilità di esercitare il diritto di rivalsa. In tal caso l’atto di accertamento può legittimamente calcolare l’IVA dovuta sulla base del corrispettivo concordato tra le parti, ovvero del maggior corrispettivo accertato.

Il primo caso (corrispettivo concordato fra le parti) è rappresentato da:

- un’operazione originariamente considerata esente o non imponibile, documentata come tale dalla fattura emessa dal fornitore, ovvero

- un’operazione considerata non soggetta ad IVA, in quanto sottoposta alla tassazione alternativa dell’imposta di registro, che sia successivamente accertata come soggetta ad IVA ed imponibile, ovvero, ancora,

- un’operazione assoggettata ad un’aliquota inferiore a quella successivamente accertata.

Il secondo caso (maggiore corrispettivo accertato) è rappresentato da un’operazione originariamente considerata imponibile, per la quale successivamente venga accertato un maggiore imponibile a seguito, ad esempio, della contestazione di sottofatturazione.

In entrambi i casi, l’Agenzia ha diritto di calcolare la maggiore imposta dovuta in aggiunta al corrispettivo dell’operazione originaria (primo caso) o al maggiore corrispettivo (secondo caso) (NOTA 6).

 

2. Valutazione giuridica

2.1. Modalità di esercizio della rivalsa della maggiore IVA accertata

L'addebito a valle della maggiore imposta accertata avviene mediante emissione di nota di variazione ex art. 26, 1° comma, della legge IVA, nel caso in cui l'accertamento si riferisca ad operazioni originariamente fatturate, ovvero mediante emissione di una fattura ai sensi dell’art. 21, 1° comma, ove l’operazione accertata non sia stata originariamente fatturata (NOTA 7).

L’emissione della fattura o della nota di variazione in aumento può riferirsi all’imponibile ed all’imposta, ovvero alla sola imposta oggetto di accertamento.

Il primo caso (fatturazione integrativa dell’imponibile e dell’imposta) si manifesta quando:

- l’operazione originaria, ancorché effettuata, non sia stata fatturata o sia stata fatturata solo in parte (in tal caso il soggetto passivo provvede alla emissione di una nota di variazione ex art. 26, co 1, d.P.R. 633/1972, ancorché tardivamente);

- l’operazione originaria sia stata considerata come irrilevante ai fini IVA per carenza di uno dei requisiti di imposta (soggettivo, oggettivo o temporale), come, ad esempio, nel caso in cui siano state corrisposte somme a titolo di contributo, considerate irrilevanti ai fini dell’IVA per carenza del presupposto oggettivo, e ritenute, in sede accertativa, imponibili in quanto corrispettive di un’operazione economica;

- la cessione o prestazione originaria sia stata assoggettata ad un regime di tassazione alternativo, ad esempio, all’imposta di registro, come nel caso di cessione di beni immobili sottoposta ad imposta di registro e riqualificata, in sede accertativa, come soggetta ad IVA.

In tutte le situazioni sopra evidenziate, la ratio dell’obbligo di emissione della fattura ex art. 21, D.P.R. 633/1972, consiste nel riportare l’operazione nel sistema impositivo dell’IVA.

Il secondo caso (fatturazione integrativa riferita alla sola imposta mediante emissione di una nota di variazione ex art 26, comma 1, D.P.R. 633/1972) presuppone che l’operazione sia stata originariamente fatturata e trattata come imponibile, ma detassata parzialmente, mediante applicazione di un’aliquota inferiore a quella oggetto dell’accertamento definito, ovvero totalmente, come operazione non imponibile o esente da imposta.

E’ il caso ad esempio della cessione di un bene immobile o di prodotti energetici, originariamente assoggettata ad aliquota ridotta e successivamente accertata come soggetta ad aliquota superiore (operazione originariamente soggetta ad IVA e detassata parzialmente) o delle cessioni di beni in regime di non applicazione dell’imposta, ai sensi dell’art. 8, 1° comma, lett. c), della legge IVA (cessioni ad esportatori abituali), che vengono poi ritenute soggette ad IVA, o le forniture di beni o servizi considerate esenti ex art. 10 della legge IVA, successivamente accertate come imponibili ad IVA.

In questo caso, la ratio dell’obbligo di emissione del documento integrativo (ex art. 26, 1° comma, della legge IVA) si fonda sull’esigenza di adeguare l’operazione originaria alla situazione definita a seguito dell’accertamento della maggiore imposta.

 

2.2. Comportamento in caso di mancato incasso della maggiore IVA accertata e addebitata al cliente a titolo di rivalsa e deducibilità ai fini delle imposte dirette

L’art. 60, 7° comma, del d.P.R. 633/1972 nulla prevede in riferimento all’obbligo del cliente di corrispondere l’ammontare oggetto di rivalsa, sottoponendo, anzi, il diritto di detrazione del cliente, ove ad esso spettante, al previo pagamento al fornitore delle somme addebitategli a posteriori.

Può, dunque, verificarsi che il cliente, cui la maggiore IVA sia stata addebitata a titolo di rivalsa, rinunciando alla detrazione, non proceda al pagamento al fornitore della maggiore imposta oggetto della rivalsa successiva (NOTA 8): di conseguenza, il fornitore, per non rimanere inciso da quanto versato all’Erario, deve poter procedere a rettifica in diminuzione della maggiore imposta accertata, oggetto di rivalsa ma non corrisposta dal cessionario o dal committente.

In considerazione dell'assimilazione delle note di variazione ex art 26, 1° comma alle fatture ex art. 21 (NOTA 9)della legge IIVA, in entrambi i casi sopra evidenziati sub 2.1., cioè:

- Emissione di fattura ovvero

- Emissione di nota di variazione integrativa di una fattura già emessa

si rende applicabile il principio di rettifica in diminuzione dipendente dal mancato pagamento delle somme addebitate, alle condizioni stabilite della norma nazionale (art. 26, 2° comma) e dalle disposizioni euro unionali (artt. 90 e 185 della dir. 2006/112/CE), seguendo le indicazioni normative in punto di effettività del mancato pagamento (NOTA 10).

Pertanto, nel caso di emissione sia di fattura per imponibile ed imposta, che di nota di variazione per sola imposta, considerando che le norme di riferimento (art. 26, comma 2, d.P.R. 633/1972, e artt. 90 e 185 dir. 2006/112/CE) non regolano specificamente la variazione di sola imposta (NOTA 11), il mancato pagamento delle somme addebitate a titolo di IVA refluisce nel caso ordinario previsto e regolato dall’art. 26, comma 2 e segg., del d.P.R 633/1972. Di conseguenza, l’emittente del documento ha diritto, al verificarsi delle condizioni previste dello stesso art. 26, comma 2 e segg., di emettere una nota di variazione ai fini IVA. Poiché la riqualifica dell’operazione, a seguito di accertamento, si manifesta con efficacia ex tunc, cioè, con effetto retroattivo al momento della sua effettuazione, l’importo addebitato al cliente, quale derivante dall’atto di accertamento, seppur riferito all’IVA, deve essere trattato come integrazione del corrispettivo originariamente pattuito.

A titolo di esempio, si ipotizzi un’operazione effettuata per il corrispettivo di Euro 100.000,00, considerata esente nel momento originario e successivamente accertata dall’Agenzia come imponibile ai fini IVA. Il soggetto passivo addebita al suo cliente, a titolo di rivalsa IVA, l’importo di Euro 22.000,00, pari all’imposta dovuta ad aliquota 22%, sicché l’ammontare del corrispettivo dell’operazione lievita da Euro 100.000,00 ad Euro 122.000,00, a fronte del quale il cliente ha già corrisposto Euro 100.000,00 che, per effetto della riqualifica ex tunc dell’operazione, deve intendersi "IVA compresa", cioè, come se il cliente avesse versato Euro 81.967,00 di imponibile e Euro 18.033,00 per IVA.

Se il cliente non provvede al pagamento, il fornitore ha diritto di recuperare l’IVA inglobata in tale importo, pari ad Euro 3.967,00 (derivante dallo scorporo: Euro 22.000,00 diviso 122%).

In definitiva, in tale situazione, la variazione in diminuzione, quale conseguenza del mancato pagamento, è riferita e limitata al solo importo dell’imposta implicitamente compresa nella somma addebitata e non corrisposta dal cliente.

 

3. Deducibilità dell’importo non riscosso ai fini delle imposte sul reddito

La deducibilità dell’IVA non riscossa ai fini delle imposte sul reddito deve essere esaminata in relazione alla fattispecie da cui deriva il mancato incasso delle somme corrisposte all’Erario in dipendenza dell’accertamento.

 

3.1. Ipotesi di rivalsa esercitata

Per effetto dello scorporo dell’imposta dalla somma addebitata in via di rivalsa successiva, residua a carico del fornitore una differenza, rispetto all’ammontare corrisposto all’Erario a seguito dell’accertamento.

Nell’esempio formulato sub 2.2., la differenza di Euro 18.033,00, tra l’ammontare versato all’Erario (Euro 22.000) e quanto oggetto di rettifica, ai sensi dell’art. 26, 2° comma, d.P.R. 633/1972 (Euro 3.967,00) rimane, dunque, a carico del fornitore.

Tale importo è deducibile ai fini delle imposte sul reddito, secondo le regole ordinarie, come perdita su crediti vantati nei confronti del proprio cliente.

 

3.2. Comportamento in caso di rinunzia alla rivalsa della maggiore IVA accertata

Nell’ipotesi in cui la mancata rivalsa della maggiore IVA definitivamente accertata e corrisposta sia volontaria, per rinunzia all’esercizio del relativo diritto, in ragione di meditate valutazioni comparative di convenienza dell’azione di recupero, risulta impossibile procedere alla variazione in diminuzione ai sensi dell’art. 26, 2° comma, d.P.R. 633/1972 (NOTA 12).

Di conseguenza, l’importo dell’IVA imputata a conto economico risulta fiscalmente non deducibile ai fini Ires ai sensi dell’art. 99, comma 1, del Tuir.

 

---

Note:

1) In particolare, con la sentenza 24.10.1996, causa C-317/94, Elida Gibbs, la Corte di giustizia ha precisato (punto 19): "II principio di base risiede nel fatto che il sistema dell'IVA mira a gravare unicamente il consumatore finale. Di conseguenza la base imponibile dell'IVA che deve essere riscossa dalle autorità fiscali non può essere superiore al corrispettivo effettivamente pagato dal consumatore finale e sul quale è stata calcolata l'IVA dovuta in definitiva da tale consumatore."

Tale principio è stato ripreso dall’ordinanza 9.12.2011, causa C-69/11, Connoisseur Belgium, ove la Corte, ai punti 20 e 21, ha chiarito: "Il se déduit clairement de cette jurisprudence que, en vertu de l’article 11, A, paragraphe 1, sous a), de la sixième directive, la base d’imposition de la TVA ne comprend pas les montants qui auraient pu être contractuellement facturés par l’assujetti à son cocontractant, mais qui ne l’ont pas été. Cette interprétation est conforme au principe de neutralité fiscale inhérent au système de la TVA qui vise à grever uniquement le consommateur final et tend à garantir aux assujettis une égalité de traitement. En vertu de ce principe, la base d’imposition de la TVA à percevoir par les autorités fiscales ne peut pas être supérieure à la contrepartie effectivement payée par le consommateur final et sur laquelle a été calculée la TVA qui pèse en définitive sur ce consommateur (voir arrêt du 24 octobre 1996, Elida Gibbs, C-317/94, Rec. p. I-5339, point 19). Ledit principe serait en effet méconnu, dans des circonstances telles que celles de l’affaire au principal, si l’assujetti était redevable de la TVA sur des montants qui n’ont pas été facturés à son client.".

2) Sul tema si v. la denunzia presentata in data 1.12.2013 dalla Commissione AIDC - di studio della Compatibilità di Leggi e Prassi Tributarie italiane con il Diritto dell’unione Europea.

3) Per i casi di non obbligatoriatorietà di emissione della fattura si v. l’art. 18, 2° comma, decreto IVA: "Per le operazioni per le quali non è prescritta l'emissione della fattura il prezzo o il corrispettivo si intende comprensivo dell'imposta. Se la fattura è emessa su richiesta del cliente il prezzo o il corrispettivo deve essere diminuito della percentuale indicata nel quarto comma dell'art. 27.". Questa situazione si manifesta anche per le rettifiche dipendenti da accertamenti induttivi, per le quali l’Agenzia delle Entrate (probabilmente contravvenendo ai principi euro - unionali che garantiscono la neutralità dell’imposta), ha testualmente indicato (si veda la circolare 35 del 17.12.2013 che tratta della rivalsa dell’IVA accertata ex art. 60, comma 7, d.P.R. 633/1972, punto 1.1., ultimo cpv.):

"Diversamente va esclusa l’applicazione della rivalsa ai sensi dell’articolo 60 settimo comma del DPR n. 633 del 1972, laddove l’imposta recuperata non sia riferibile a specifiche operazioni effettuate nei confronti di determinati soggetti (trattasi, ad esempio, dell’IVA dovuta a seguito di accertamento induttivo).".

4) Occorre notare che l’Agenzia delle entrate, anche nel caso di accertamento di operazioni per le quali non sia identificata la controparte e, dunque, non sia possibile esercitare la rivalsa, applica normalmente l’IVA sull’imponibile determinato in base all’ammontare dell’operazione accertata. Il che determina una differenza tra la somma reclamata dall’Autorità fiscale e quella ammessa alla rivalsa, che rimane a carico dell’operatore, in spregio al principio di neutralità indicato dalla Corte di giustizia nelle sentenze sopra richiamate. Esattamente al contrario di quanto preteso dall’Agenzia, nel caso di accertamento di operazioni attive non dichiarate, con riferimento alle quali sia stato accertato il relativo incasso (es. Euro 100,00), ma non siano identificabili gli acquirenti, l’amministrazione fiscale deve recuperare l’IVA mediante scorporo sull’incasso contestato, accertando, nell’esempio, una maggiore IVA (ad aliquota ordinaria) di Euro 18,03 su una base imponibile di Euro 81,97. Similmente, nel caso in cui si contesti la mancata emissione di scontrini nei confronti di consumatori non più identificabili per un ammontare superiore (ad es., Euro 222,00) rispetto all’incasso dichiarato (ad es. Euro 122,00), l’IVA deve essere scorporata dal maggiore incasso di Euro 100,00, per una maggiore IVA di Euro 18,03 (d aliquota ordinaria) su una base imponibile di Euro 81,97.

5) In applicazione del principio stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza 7.11.2013, cause riunite C-249/12 e C- 250/12, Corina-Hrisi Tulicã, ove viene precisato (punti 35-37): "Orbene, quando un contratto di compravendita è stipulato senza alcuna menzione riguardo all’IVA, nel caso in cui il fornitore, secondo il diritto nazionale, non possa recuperare presso l’acquirente l’IVA successivamente riscossa dall’amministrazione tributaria, la presa in considerazione del prezzo complessivo, senza detrazione dell’IVA, come base sulla quale applicare l’IVA, comporterebbe che l’IVA graverebbe su tale fornitore e, pertanto, contrasterebbe con il principio secondo cui l’IVA è un’imposta sul consumo che deve essere sopportata dal consumatore finale. Una siffatta presa in considerazione contrasterebbe, peraltro, con la regola secondo cui l’amministrazione tributaria non può riscuotere a titolo dell’IVA un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo (v., in particolare, sentenze Elida Gibbs, cit., punto 24; del 3 luglio 1997, Goldsmiths, C-330/95, Racc. pag. I-3801, punto 15, nonché Balkan and Sea Properties e Provadinvest, cit., punto 44). Ciò non avverrebbe, invece, qualora il fornitore avesse, secondo il diritto nazionale, la possibilità di aggiungere al prezzo concordato un supplemento pari all’imposta applicabile all’operazione e di recuperare quest’ultimo presso l’acquirente del bene.".

6) Per formulare un esempio, l’operazione viene fatturata originariamente per Euro 100,00 come esente (o non imponibile) e poi accertata come imponibile. In questo caso, l’Ufficio accerta una maggiore imposta sul corrispettivo concordato (Euro 22,00, su una base imponibile di Euro 100,00). Similmente, per un’operazione sulla quale sia stata applicata l’aliquota del 10%, (Euro 100,00 + Euro 10,00) che venga poi accertata come imponibile al 22% (Euro 100,00 + Euro 22,00), l’Ufficio accerta una maggiore imposta sul corrispettivo concordato (Euro 12,00, su una base imponibile di Euro 100,00).

7) In tal senso si esprime la circ. n. 35 del 17.12.2013, punto 4.1..

8) Situazione che si manifesta possibile in tutti i casi in cui il cliente non sia d’accordo sulla riqualificazione dell’operazione effettuata in sede accertativa ed accettata dal fornitore, oltre che, ovviamente, quando il cliente non sia nelle condizioni economiche di procedere al pagamento dell’imposta addebitata in rivalsa.

9) L’assimilazione è normativamente prevista dall’art. 219 della Dir. 2006/112/CE: "Sono assimilati a una fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale.".

10) Cioè, seguendo le indicazioni dell’art. 26, 4° comma e segg. D.P.R. 633/1972. Sul tema si v. la Norma di Comportamento n. 192.

11) Seppur non prevista normativamente, la variazione di sola imposta è ammessa dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate (cfr. circ. 19.2.2015, n. 4/E, punto 3.1.2., ove, con richiamo al Circ. 1 del 2.3.1994 e ris. 187 del 7.12.2000, si precisa che " (...) è sempre possibile operare una variazione (in aumento o in diminuzione) dell’imposta, ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972, senza alcun limite temporale rispetto al momento di effettuazione dell’operazione (...)" e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (si v. sentenza 19.9.2000, causa C-454/98 Schmeink & Cofreth e Strobel, punto .. ove si stabilisce che " (...) allorché colui che ha emesso la fattura ha, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di entrate fiscali, il principio della neutralità dell'IVA richiede che l'imposta indebitamente fatturata possa essere regolarizzata, senza che una tale regolarizzazione possa essere subordinata alla buona fede di colui che ha emesso tale fattura." (punto 63). L’assenza di rischio fiscale è, nel caso di specie, determinato dalla condizione normativamente imposta dall’art. 60, 7° comma, legge IVA, che subordina il diritto di detrazione da parte del cliente al preventivo pagamento della maggiore imposta addebitata. Sicché, ove esso non abbia pagato l’IVA esposta nella nota di variazione di sola imposta, non può detrarre il corrispondente importo, il che determina l’assenza di rischio fiscale e consente, secondo la giurisprudenza euro - unionale sopra richiamata, di procedere al recupero integrale dell’imposta addebitata. Il principio stabilito dalla sentenza C-454/98 Schmeink & Cofreth e Strobel è ripreso e confermato dalla successive sentenze: 18.6.2009, C-566/07 Stadeco, punti 36-40; 10.10.2013, C-622/11 Pactor Vastgoed, punti 33 e 34; 11.4.2013, C-138/12 Rusedespred, punti 25-30; 23.4.2015, C-111/14 GST Sarviz, punti 32-34.

12) In applicazione dei principi indicati nella Norma di Comportamento n. 192.