Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 aprile 2016, n. 5142

Tributi - IVA - Operazioni - Cessioni intracomunitarie - Non imponibilità - Cessioni di autoveicoli nuovi - Art.41, D.L. n. 331 del 1993, co.1, lett. a) - Condizione - Trasporto o spedizione dei beni ceduti in un altro Stato membro - Onere probatorio a carico del cedente - Sussistenza - Mancanza di tale prova - Conseguenza - Imponibilità della cessione

 

Svolgimento del processo

 

In relazione ad operazioni intracomunitarie di vendita di autoveicoli nuovi effettuate da B. s.p.a. ai sensi dell’art. 41 DL n. 331/1993, nel corso dell’anno 2003, la Guardia di Finanza con PVC redatto in data 9.6.2005 accertava che i veicoli non erano mai pervenuti a destinazione negli Stati membri di residenza dei privati acquirenti, ma risultavano essere stati immatricolati in Italia subito dopo la cessione.

L’Ufficio di Massa della Agenzia delle Entrate, emetteva, pertanto, avviso di accertamento per la maggiore imposta dovuta dalla società, che aveva illegittimamente fruito del regime fiscale di esenzione dall’IVA previsto a favore dei cedente per le operazioni di cessione intracomunitaria, nonché atto di contestazione dell’illecito tributario con irrogazione della relativa sanzione pecuniaria.

Il ricorso introduttivo della società era accolto in primo grado con decisione n. 133/2006 della CTP di Massa Carrara, riformata in grado di appello dalla Commissione tributaria della regione Toscana che con sentenza 12.3.2009 n. 18, riteneva legittimo l’atto impositivo ed irrogativo di sanzione opposto, rilevando che il Dpr n. 474/2001 consentiva la circolazione dei veicoli oggetto di cessione intracomunitaria, sul territorio nazionale del cedente, mediante utilizzo delle speciali "targhe EE" ed al solo scopo di raggiungere il Paese membro di destinazione, per essere colà immatricolate; mentre nel caso di specie tali veicoli non avevano mai raggiunto il Paese comunitario del cessionario, ma erano stati immatricolati direttamente in Italia. La società cedente, inoltre, non aveva dimostrato la propria buona fede, né di aver diligentemente apprestato le cautele necessarie -richieste ad un esperto operatore del settore- per evitare che le operazioni commerciali fossero utilizzate per realizzare illeciti fiscali, avendo incautamente consegnato i veicoli ceduti a soggetti che utilizzavano "targhe prova", destinate alla circolazione in Italia, e senza compilare i documenti di trasporto.

La sentenza di appello non notificata è stata impugnata dalla società per cassazione deducendo con un unico motivo il vizio di la violazione dell’art. 41 del DL n. 331/1993, al quale resiste la Agenzia delle Entrate con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con l’unico motivo la società ricorrente impugna la sentenza di appello sostenendo che alcun ulteriore controllo gravava sul cedente , essendo stati consegnati i veicoli a soggetti che ritiravano i beni in forza di procure rilasciate dagli acquirenti, per farli circolare con targa prova.

Il motivo è infondato.

Occorre premettere che l’art. 28 quater -rubricato "Esenzioni"- della Direttiva Comunità Europea del 17 maggio 1977 n. 388 (Sesta direttiva del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari. Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme) nel testo modificato dall’art. 1 della Direttiva Comunità Europea del 10/04/1995 n. 7, applicabile "ratione temporis", dispone per quanto concerne le operazioni di cessione di beni che: "Fatte salve altre disposizioni comunitarie e alle condizioni da essi fissate per assicurare una corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste qui di seguito e prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso, gli Stati membri esentano:

a) le cessioni di beni dell'articolo 5, spediti o trasportati, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, fuori dal territorio di cui all'articolo 3 ma all'interno della Comunità effettuate per un altro soggetto passivo o per un ente che non è soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza delle spedizione o del trasporto dei beni" (la disposizione è stata riprodotta ora nell’art. 138 paragr. 1 della direttiva 2006/122/CE del Consiglio del 28.11.2006 che ha abrogato e sostituito, a far data dall’1.1.2007, la precedente direttiva n. 388/77).

In relazione alla indicata disciplina normativa comunitaria delle operazioni intracomunitarie la Corte di giustizia ha fissato alcune coordinate dalle quali il Giudice dello Stato membro non può prescindere e che possono essere di seguito riassunte:

- gli elementi costitutivi della fattispecie della "operazione intracomunitaria" di cessione di beni vanno individuati: a) nel trasferimento all’acquirente del potere di disporre del bene come proprietario; b) nella spedizione o trasporto del bene in un altro Stato membro (diverso da quello del soggetto cedente); c) nell’effettiva fuoriuscita della merce dal territorio dello Stato membro del soggetto cedente. Quest’ultimo elemento comporta "un movimento fisico di un bene da uno Stato membro verso un altro" e non consente alcuna ipotesi surrogatoria di tipo virtuale, quale, ad esempio, l’intenzione delle parti espressa in un accordo o convenzione di effettuare detto trasferimento: in proposito viene ripetutamente affermato dal Giudice comunitario che le nozioni di cessione ed acquisto nelle operazioni intracomunitarie "hanno un carattere obiettivo e si applicano indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi", essendo contrario al principio di certezza dei diritto ed agli scopi della direttiva ogni indagine psicologica sulla "effettiva volontà" del soggetto passivo (cfr. Corte giustizia 27.9.2007, causa C-409/07, Teleos, punti 38 e 39 e 40; Corte giustizia 16.12.2010, causa C- 430/09 Euro Tyre Holding BV, punto 29)

- la direttiva comunitaria non disciplina "le condizioni" alle quali possono ritenersi provati gli elementi costitutivi della fattispecie, demandando agli Stati membri di fissarle, in funzione della esigenza tanto della semplicità applicativa del sistema di esenzione, quanto della prevenzione delle frodi, risultando peraltro delimitata la autonomia delle soluzioni normative adottate dagli ordinamenti interni dai principi generali di certezza del diritto, di proporzionalità delle misure, di neutralità fiscale (ossia di parità di trattamento dei soggetti passivi)

- non deborda dai principi generali dell’ordinamento comunitario sopra indicati una regolamentazione dell’onere della prova, da parte degli Stati membri, che faccia gravare sul soggetto che "chiede di fruire di una deroga o di una esenzione fiscale" la prova del trasferimento della merce, spettando in tal modo al "fornitore di beni la prova che siano soddisfatte le condizioni per la esenzione" (cfr. Corte giustizia 27.9.2007, causa C-184/05, Twoh International BV, punto 26)

- tuttavia se, da un lato, è conforme al principio di certezza del diritto che gli operatori siano posti in grado di conoscere i loro obblighi fiscali prima di concludere una operazione, rendendosi necessario "al fine di assicurare la semplice e corretta applicazione delle esenzioni, che le autorità azionali fissino i requisiti ai fini delle cessioni intracomunitarie, (cfr. Corte giustizia, Teleos, punto 49; Corte giustizia 6.9.2012 causa C-273/11, Mecsek Gabona Kft, punti 39 e 39), dall’altro viene, realisticamente, dato atto che l’abolizione dei controlli doganali alle frontiere tra gli Stati membri non consente di reintrodurre le precedenti od analoghe limitazioni, sia pure al solo fine di effettuare il controllo del transito della merce, ed impone, pertanto, di ricercare "altri mezzi di prova" del perfezionamento della cessione o dell’acquisto intracomunitari (cfr. Corte giustizia, Teleos punto 63), mezzi che il cedente potrà fornire -specificamente nel caso in cui sia lo stesso acquirente ad incaricarsi della esecuzione del trasporto della merce: ad esempio nella ipotesi di vendita con clausola ‘franco fabbrica"- esclusivamente in dipendenza "degli elementi che egli riceve a tal fine dall’acquirente" (cfr. Corte giustizia Euro Tyre Holding, punto 37; Corte giustizia Mecsek, punto 42): al riguardo è stato quindi considerato violativo del principio di certezza del diritto e di proporzionalità (in relazione alla corretta ripartizione tra cedente ed Amministrazione finanziaria del rischio connesso al mancato adempimento dell’obbligo di trasferimento del bene assunto dall’acquirente) pretendere dal cedente la prova dell’effettivo trasporto della merce ove questi abbia adempiuto correttamente a tutte "le condizioni" stabilite dallo Stato membro espressamente in funzione dell’accertamento degli elementi costitutivi della fattispecie (cfr. Corte giustizia, Teleos punti 50 e 51 -nella specie lo Stato membro aveva determinato puntualmente "l’elenco dei documenti da presentare alle autorità competenti per ottenere il diritto alla esenzione-, punto 58; Corte giustizia, Mecsek, punto 41 che richiama la precedente sentenza estrapolando tuttavia l’affermazione dallo specifico caso concreto)

- nel caso in cui siano stati dettagliatamente predeterminati gli adempimenti che debbono essere posti in essere dal cedente per fornire la prova del proprio diritto alla esenzione, verrebbe, pertanto, a contrastare con il ridetto principio di certezza del diritto (in quanto si tradurrebbe in un ostacolo alla realizzazione della esigenza semplice e corretta applicazione del sistema della esenzione delle operazioni intracomunitarie) consentire allo Stato membro di ritenere, con valutazione "ex post" (dopo la operazione effettuata dal cedente), insufficienti od inidonee "tali condizioni", affermando che -nonostante il corretto ed integrale adempimento delle stesse da parte del cedente- non sarebbe stato comunque dimostrato l’effettivo trasporto della merce nello Stato di destinazione: ciò infatti determinerebbe un trasferimento sul cedente del rischio oggettivo connesso al fatto illecito commesso dall’acquirente, in palese contrasto con il principio di proporzionalità. Il punto di equilibrio viene quindi indicato dalla Corte di giustizia nel duplice elemento riferibile alla condotta del cedente: 1- della "buona fede" (che deve desumersi non soltanto dalla oggettiva estraneità del soggetto alla frode fiscale ma anche dalla ignoranza incolpevole delle intenzioni frodatone attuate dall’acquirente o da terzi) che rimane, invece, esclusa laddove, dalle circostanze concrete, emergano indizi tali per cui il cedente, secondo una efficace sintesi verbale, "sapeva o avrebbe dovuto sapere" che l’operazione intracomunitaria veniva ad iscriversi in una frode fiscale; 2- della "preventiva" (rispetto alla operazione intracomunitaria) adozione da parte del cedente di tutte le misure ragionevolmente esigibili al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione tributaria: tale secondo elemento è all’evidenza strumentale alla dimostrazione della incolpevole ignoranza del fatto illecito altrui e non coincide con il mero esatto adempimento degli obblighi formali di legge richiesti dallo Stato membro (come la emissione della fattura o le annotazioni nei registri contabili) che costituisce, invece, il presupposto necessario (in difetto della regolarità formale della operazione la condotta del terzo non riveste carattere decettivo) per procedere all’accertamento della condotta diligente prestata nel caso concreto (cfr. Corte giustizia Teleos, punti 65-66; Corte giustizia Euro Tyre, punto 38; Corte giustizia Mecsek, punti 48-50).

La Corte di Lussemburgo ha compendiato tali enunciati nel principio secondo cui "qualora il fornitore abbia adempiuto i suoi obblighi relativi alla prova di una cessione intracomunitaria, laddove l’obbligo contrattuale di spedire o trasportare i beni fuori dello Stato membro di cessione non sia stato assolto dall’acquirente, è quest’ultimo che dovrebbe essere considerato debitore dell’IVA in tale Stato membro " ( cfr. Corte giustizia sentenze Teleos, punto 67 -è la decisione capostipite-; Euro Tyre, punto 38; Mecsek punto 43).

L’apparente "contradictio in terminis" (il fatto del trasporto della merce -oggetto di prova- è stato provato dal cedente-fornitore, ma, al tempo stesso, non risulta essersi verificato per l’inadempimento dell’acquirente-cessionario) deve essere risolta non in astratto ma avendo ben preciso lo specifico caso concreto esaminato dalla Corte di giustizia: nella specie il cedente aveva prodotto tutti i documenti ritenuti idonei a fondare il diritto ed indicati in un apposito elenco dell’autorità nazionale. In tal caso, pertanto, era lo stesso Stato membro che aveva ritenuto di dover attribuire efficacia probatoria a tali documenti in quanto idonei a giustificare "prima facie" i fatti costitutivi del diritto. In seguito ad ulteriori accertamenti "tali prove si rivelano essere false senza che risulti tuttavia provata la partecipazione del fornitore medesimo alla frode fiscale": in tal caso la Corte di Lussemburgo ha reputato che non possa farsi gravare sul cedente la imposta evasa "se quest’ultimo abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere al fine di assicurarsi che la cessione intracomunitaria effettuata non lo conducesse a partecipare ad una frode siffatta" (cfr. Corte giustizia sentenza Teleos punto 68): occorre quindi distinguere il caso in cui siano predeterminate dallo Stato membro le "condizioni" il cui adempimento è espressamente ritenuto idoneo a fornire la prova dei fatti costitutivi del diritto alla esenzione (in tal caso il cedente -ove risulti estraneo alla frode- una volta osservate dette condizioni non è tenuto a dimostrare altro, rimanendo assorbito nell’adempimento di tali condizioni anche il grado di diligenza che deve essere prestato nella specifica operazione), dal caso in cui invece tali "condizioni" non siano predeterminate, nel senso che gli adempimenti formali previsti dalla legge non sono stabiliti espressamente in funzione della dimostrazione della uscita delle merci dallo Stato membro del cedente e del trasporto delle stesse nello Stato membro di destinazione: in quest’ultima ipotesi il cedente -ove il trasporto della merce non risulti eseguito- non può beneficiarie della esenzione limitandosi ad allegare il fatto illecito altrui, ma deve dimostrare gli ulteriori elementi della propria "buona fede" e di aver adottato tutte le misure possibili per controllare che la merce fosse effettivamente spedita fuori del territorio dello Stato membro.

Ne consegue che, nel caso in cui sia accertato che la merce venduta non ha subito movimentazione intracomunitaria, la disciplina dell’art. 28 quater della direttiva 77/388/CEE, e successivamente dell’art. 138 paragr. 1 della direttiva 2006/112/CE, relativa alle operazioni intracomunitarie, non osta a che "il beneficio del diritto all’esenzione di una cessione intracomunitaria sia negato al venditore purché sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che quest’ultimo non ha adempiuto gli obblighi ad esso incombenti in materia di prova (e dunque non ha fornito alcun documento "prima facie" attestante l’eseguito trasferimento materiale dei beni dallo Stato membro di partenza quello di destinazione) o che sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione da esso effettuata rientrava in un’evasione posta in essere dall’acquirente (estraneità alla frode ed ignoranza incolpevole indispensabili per comprovare la buona fede) o non ha adottato tutte le misure cui poteva ragionevolmente ricorrere (idest: non ha osservato il grado di diligenza richiesto nel caso concreto ad un operatore "eiusdem generis ac professionis") per evitare la propria partecipazione a detta evasione" (cfr. Corte giustizia sentenza Mecsek, punto 55).

Orbene la sentenza della CTR della Toscana non si è discostata dai criteri indicati dal Giudice comunitario quando ha affermato

- che in mancanza di prova che i veicoli fossero stati recapitati presso gli Stati membri degli acquirenti comunitari, non trovava applicazione il regime di esenzione IVA per il cedente

- che la buona fede della società cedente rimaneva esclusa in quanto alcuna verifica era stata effettuata al momento della consegna dei veicoli a soggetti non identificati, e che per di più utilizzavano "targhe prova" destinate alla circolazione in Italia , non essendo stato neppure controllato se tali soggetto fossero stati autorizzati all’uso della targa prova o fossero "delegati" dal soggetto autorizzato.

Ed infatti il cedente che chiede di fruire della esenzione deve "comunque" offrire le prove di cui dispone e che appaiono "astrattamente" idonee -indipendentemente dall’illecito perpetrato dalla società concessionaria- a rappresentare la fuoriuscita della merce dallo Stato membro cedente, e non può invece limitarsi a dimostrare che il rapporto giuridico si è perfezionato producendo gli effetti giuridici propri dello schema negoziale adottato nella vendita di beni mobili -cfr. artt. 1476, 1510, 1527 c.c.: in particolare nella ipotesi di vendita con clausola "franco fabbrica" il cedente non assolve al proprio onere probatorio con la mera presentazione della lettera di vettura, ma per provare il diritto alla esenzione IVA deve produrre un diverso documento rappresentativo della effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione (come ad esempio il documento di scarico della merce, redatto secondo i modelli predisposti per il trasporto internazionale, sottoscritto dal destinatario) o la prova anche di "fatti secondari" dai quali desumere la presenza fisica delle merci in territorio diverso da quello dello Stato membro in cui è residente il cedente (come ad esempio, nel caso di trasporti stradali, le ricevute di pagamento -recanti data, timbro ed indicazione del chilometraggio dell’automezzo- sottoscritte dal titolare della stazione di rifornimento carburante che risulti ubicata fuori del territorio di partenza ovvero nel territorio di destinazione delle merci). E’ certo che la disponibilità di tali documenti dovrà essere acquisita dai soggetti terzi contraenti, ove il cedente non intenda eseguire la spedizione od il trasporto in proprio, ed è ben possibile che tali soggetti -tanto più se partecipi della frode- non collaborino, rendendo indisponibile detta documentazione probatoria, ma in tal caso il cedente dovrà allora fornire adeguata prova 1 -di aver espressamente dedotto in obbligazione nei contratti stipulati con il vettore, spedizioniere, cessionario, l’obbligo di consegna del documento in questione; 2-di aver richiesto inutilmente l’adempimento di tale obbligazione, esperendo ove necessario le opportune iniziative giudiziarie; 3-di non essere stato in grado di acquisire alcun altra documentazione neppure da soggetti diversi dal vettore e cessionario (la società assicuratrice con la quale ha eventualmente stipulato polizza assicurativa del carico).

Orbene nella specie la società ricorrente non ha dedotto alcun elemento di prova attestante tali adempimenti e dunque non ha fornito prova della sua buona fede.

La sentenza impugnata deve ritenersi in conseguenza conforme a diritto e quindi immune dal vizio di legittimità denunciato.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

- rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 15.000,00 per compensi oltre le spese prenotate a debito.