Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 12 aprile 2016, n. 7148

Tributi - Obbligo di ritenute d’acconto su corrispettivi pagati a soggetti non residenti - Prova della tassazione nello stato estero - Sanzioni per omesso versamento ritenute - Esclusione

 

Osserva

 

L’Agenzia propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Milano, con la quale - in controversia concernente impugnazione di avviso irrogazione di sanzioni per il ritardato versamento di ritenute di acconto su corrispettivi pagati a soggetti non residenti, omissione già fatta oggetto di precedente avviso di accertamento con il quale era già stata contestata la sanzione per infedele dichiarazione - la Commissione, confermando la pronuncia della CTP di Milano (n. 90-03-2012), ha rigettato l’appello.

La sentenza impugnata ha ritenuto che - con riguardo alla vicenda processuale relativa all’avviso di accertamento principale - il ricorso per cassazione contro la pronuncia della CTR che aveva accolto il ricorso della parte contribuente era stato tardivamente notificato, sicché non "aveva senso attendere un’ovvia pronuncia di reiezione". Meritava tuttavia osservare che per sfuggire all’obbligo di versamento delle ritenute di cui trattasi, bastava alla società contribuente documentare (con attestati delle autorità estere) che il reddito del lavoratore pagato dalla società contribuente medesima concorre all’imponibile ivi tassato. Poiché risultava che la società avesse dato tale prova, ne conseguiva ritenere che la stessa non dovesse operare la ritenuta fiscale. Perciò, l’atto di irrogazione, delle sanzioni, a riguardo di una violazione inesistente, doveva essere annullato. L’Agenzia ha proposto ricorso affidandolo a due motivi.

La contribuente "F.M.M. srl" non si è difesa.

Il ricorso - ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore - può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.

Il primo motivo di ricorso (rubricato come "Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ....nonché violazione e falsa applicazione della normativa attinente le ritenute d’imposta ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc) appare inammissibile e se ne propone il rigetto.

La ricorrente si è doluta del fatto che i giudicanti abbiano ritenuto intempestivo l’atto di ricorso per cassazione (invece del tutto tempestivo) avverso la decisione della CTR a riguardo dell’avviso di accertamento "principale", così recependo del tutto acriticamente la doglianza della parte contribuente.

La censura non si conforma all’archetipo del vizio richiamato (quale risultante dalla novella dell’art. 360 comma 1 n. 5 introdotta dal D.L. n. 83/2012 a decorrere dall’impugnazione delle pronunce pubblicate trenta giorni dopo l’entrata in vigore della Legge 7 agosto 2012, n. 134 di conversione del detto Decreto Legge), che necessita dell’indicazione del fatto decisivo di cui è stato omesso l’esame, ma si è limitata ad una critica di complessiva inadeguatezza del requisito motivazionale del provvedimento giudiziario che avrebbe dovuto essere - semmai - dedotta sotto altro e diverso profilo di doglianza.

Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art. 25 comma 2 del DPR n. 600/1973) la parte ricorrente - dopo avere evidenziato che l’Ufficio aveva esaminato il modello 770 della ricorrente per il periodo di imposta qui in esame ed in particolare la documentazione prodotta a supporto dell’applicazione della disciplina inerente la ritenuta d’imposta di cui qui trattasi, si che si era evidenziata la carenza della prova delle condizioni necessarie per fruire del regime convenzionale - chiedeva la cassazione della decisione impugnata.

Il motivo di impugnazione appare inammissibile, per difetto di inerenza alla ratio della pronuncia impugnata.

In realtà, nel motivo non è formulata alcuna espressa critica e perciò nessuna formale impugnazione delle ragioni della decisione, atteso che il motivo si limita a passare in rassegna l’attività istruttoria compiuta dall’ufficio, senza che nulla sia detto a proposito delle deduzioni e produzioni giudiziali a riguardo di detta attività istruttoria, sicché il motivo è monco di qualsivoglia riferimento al fatto processuale.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità.

Ritenuto inoltre:

- che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

- che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;

- che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide la proposta del relatore a riguardo delle ragioni di inammissibilità del primo motivo; non condivide invece le ragioni addotte dal relatore a sostegno della proposta di inammissibilità del secondo motivo che appare - invece - inammissibile per una diversa ragione, e cioè per il fatto che la ratio che sorregge la decisione impugnata riposa nella valutazione delle concrete circostanze di fatto (l’integrata prova della concorrenza del reddito del lavoratore alla formazione dell’imponibile già tassato all’estero), sicché appare del tutto distonica la censura centrata sulla violazione della norma di diritto interpretata nell’ottica della impossibilità della parte contribuente di fornire autocertificazione del domicilio fiscale del percipiente, censura che avrebbe dovuto - semmai - risultare improntata all’errore di fatto commesso dal giudicante;

- che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.