Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE ROMA - Ordinanza 07 luglio 2014

Riscossione delle imposte - Remunerazione del servizio - Aggio percentuale pari al nove per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora - Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, art. 17, comma 1, come sostituito dall'art. 32, comma 1, lett. a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2

Premessa

Con ricorso proposto nei confronti dell'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale I di Roma e nei confronti della società Equitalia Gerit S.p.a. in data 9 settembre 2010 e depositato alla segreteria di questa commissione tributaria provinciale il 24 settembre 2010, la società Centro Storico R.E. S.r.l., rappresentata e difesa come in atti, ha impugnato la cartella di pagamento indicata in epigrafe con la quale viene richiesto il pagamento dell'importo di € 574.913,86 iscritto a ruolo per l'anno 2006 a titolo di Iva, Ires, Irap, sanzioni, interessi, nonché dell'importo di € 51.742,23 a titolo di compensi di riscossione e diritti.

L'iscrizione a ruolo consegue ad un avviso di accertamento ritualmente impugnato e pendente, ed è eseguita pertanto a titolo provvisorio.

Parte ricorrente contesta la cartella deducendo diversi profili di illegittimità, richiedendo altresì di sollevare innanzi alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell'art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999, riguardante i compensi di riscossione, per violazione degli articoli 3, 24, 42 e 111 della Costituzione, e di porre innanzi alla Corte di Giustizia la questione della compatibilità del medesimo articolo con l'ordinamento comunitario per violazione del principio della proporzionalità.

La Direzione Provinciale I di Roma dell'Agenzia delle Entrate e la società Equitalia Gerit S.p.A. si sono costituite in giudizio con note depositate, rispettivamente, in data 28 ottobre 2010 ed in data 24 febbraio 2011.

Il ricorso è stato discusso nella pubblica udienza del 28 gennaio 2014. Il Collegio riservava la decisione ex art. 35, del decreto legislativo n. 546/92; detta riserva veniva sciolta nella camera di consiglio del 25 marzo 2014 dove veniva dichiarata la sospensione del processo e la rimessione degli atti alla segreteria della Corte costituzionale.

Ancor prima di prendere in considerazione la dedotta incostituzionalità e l'eccepita incompatibilità con l'ordinamento comunitario dell'art. 17, del decreto legislativo n. 112/1999, relativo ai compensi addebitati in cartella dal concessionario per la riscossione, deve il Collegio pregiudizialmente evidenziare che per i primi due motivi, nella delibazione consentita senza anticipazione delle soluzioni, non può escludersi che si verta in ipotesi di infondatezza (quanto meno parziale); per modo che la sollevata questione di legittimità costituzionale si appalesa evidentemente rilevante ai fini della decisione sul terzo motivo.

In particolare, osserva il Collegio che parte ricorrente, invocando in parte qua la nullità della impugnata cartella, contesta i compensi di riscossione che la società Equitalia ha addebitato nella misura prevista dall'art. 17, del decreto legislativo n. 112/1999 come modificato dall'art. 32, comma 1, del d.l. n. 185/2008. Specificamente ha sul punto denunciato l'illegittimità costituzionale di tale articolo per lesione degli articoli 3, 24, 42 e 111 della Costituzione nonché per violazione del principio generale dell'ordinamento comunitario, direttamente applicabile nell'ordinamento interno, della proporzionalità, concludendo per la rimessione degli atti agli organi competenti.

Posto che la questione di compatibilità comunitaria ha la precedenza logica e giuridica rispetto alla questione di costituzionalità (cfr. sentenza n. 170 del 1984, Granital) che pure, come detto, è stata sollevata davanti a questo giudice, deve il Collegio innanzitutto pronunciarsi sulla prima questione, e pertanto respinge la domanda di parte ricorrente di rimessione alla Corte di Giustizia.

Ciò per la assorbente considerazione che le motivazioni addotte a sostegno della tesi secondo cui l'art. 17 del citato decreto legislativo n. 112/1999 violerebbe il principio comunitario della proporzionalità sono del tutto generiche e sostanzialmente tautologiche, e dunque prive di forza tale da consentire l'innesco, ex art. 234 del Trattato CE, del richiesto rinvio pregiudiziale.

Quanto alla eccepita incostituzionalità della norma in discussione, non può tralasciarsi di dire che sui compensi per le attività di riscossione dovuti al concessionario ai sensi dell'art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999 sono stati sollevati, anche da questa Commissione Tributaria Provinciale, alcuni dubbi di costituzionalità e che le ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale non hanno ancora avuto esito. E, tuttavia, il Collegio sul punto ritiene che anche nel caso di specie ricorrano i presupposti per la sospensione del processo e che dunque debba richiedersi alla Ecc.ma Corte l'esame di legittimità della norma, richiamando invero, in quanto condiviso, anche ciò che è sostenuto dai giudici precedenti rimettenti.

Ad avviso della società ricorrente, l'art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999 laddove pone a carico del contribuente l'onere di corrispondere l'intero aggio della riscossione determinato in misura proporzionale all'importo iscritto a ruolo, senza tenere conto del costo effettivamente sostenuto dal concessionario per la riscossione, determinerebbe: a) una violazione dell'art. 3 della Costituzione, perché lo strumento apprestato dall'ordinamento per evitare che il costo della riscossione si riversi sulla collettività, appare del tutto irragionevole; b) una violazione degli articoli 24 e 111 della Costituzione derivandone un aggravamento della situazione debitoria del contribuente con inopinata difficoltà per l'attivazione della tutela giurisdizionale;

c) una violazione dell'art. 42 della Costituzione perché comporta una ingiustificata lesione del patrimonio del contribuente, costretto a sostenere l'onere economico derivante dalla concessione ad un terzo soggetto del servizio della riscossione.

Per parte ricorrente, dunque, la cartella di pagamento dovrebbe essere annullata in relazione ai compensi di riscossione:

a) per l'evidente sproporzione rispetto alla modesta attività effettuata dal concessionario. Se lo scopo dello strumento in esame è quello di assicurare che il costo sostenuto dal concessionario per la riscossione del credito erariale sia sopportato unicamente dal soggetto che lo ha provocato, evidente che il medesimo effetto ben potrebbe essere raggiunto adottando misure meno gravose per il contribuente; ad esempio, prevedendo un meccanismo che tenga conto del tipo di attività posta in essere dal concessionario, in modo da riversare sul contribuente soltanto il costo effettivamente sostenuto per la riscossione del credito, senza gravarlo di oneri economici aggiuntivi;

b) per l'onerosità dell'accesso alla tutela giurisdizionale.

In caso di esito sfavorevole del giudizio (è ciò perché il contribuente è costretto a corrispondere l'intero aggio di riscossione anche qualora paghi gli importi richiesti con la cartella di pagamento impugnata immediatamente dopo la sentenza, senza che il concessionario abbia posto in essere alcuna ulteriore attività di riscossione);

c) per gli effetti di riportare in capo al contribuente un onere proprio dell'erario, (l'aggio, rappresentando la remunerazione per l'attività svolta dal concessionario, attiene al rapporto tra l'ente impositore ed il concessionario del servizio e non può dunque essere addossato ad un soggetto estraneo a tale rapporto).

Il Concessionario per converso, in sede di costituzione in giudizio non ha formulato alcuna controdeduzione sul punto.

Posto che la Commissione ritiene di sospendere la decisione sul ricorso e rimettere gli atti alla Corte costituzionale affinché si pronunci sulle questioni che saranno appresso specificate, valgano a sostegno le seguenti riflessioni, desumibili dal progressivo dibattito sulla materia.

Equitalia, società a totale capitale pubblico, è incaricata dell'esercizio dell'attività di riscossione dei tributi, contributi e sanzioni, con previsioni di corrispettivo costituito, secondo legge dall'aggio e dagli altri meccanismi compensativi vigenti.

Tutto ciò che il cittadino paga a Equitalia viene interamente restituito agli enti creditori, ad eccezione dell'aggio e delle spese di riscossione stabilite dal legislatore.

La percezione dell'aggio nella misura del 9% viene criticata aspramente dagli operatori, in quanto nel sistema dei nuovi avvisi di accertamento esecutivi emessi dall'Agenzia delle Entrate dal 1° ottobre 2011, il contribuente deve versare le somme entro il termine per il ricorso e, in tal caso non sono previsti gli aggi da corrispondere (per contro attraverso le cartelle di pagamento, se il contribuente non adempie al pagamento delle somme dovute entro il termine di presentazione del ricorso, l'aggio deve essere pagato interamente nella misura del 9% esclusivamente in capo al contribuente anche se fino a quel momento l'agente della riscossione non ha svolto nessuna funzione al servizio in quanto il ruolo e la cartella di pagamento sono state assorbite dall'avviso di accertamento esecutivo (tutto ciò, anche se, attraverso il d.l. n. 201/2011, il legislatore è intervenuto rivisitando radicalmente il sistema della remunerazione dei costi necessari per la riscossione dei tributi, sostituendo integralmente il primo comma dell'art. 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999 n. 112, rinunciando all'utilizzo del termine "aggio" e preferendo il più appropriato termine "rimborso").

 

Diritto

 

La Commissione, conclusivamente prende atto della richiesta di remissione sollevata dalla ricorrente secondo cui l'art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 112/1999, così come modificato dall'art. 32, comma 1, del decreto-legge n. 185/2008 presenta profili di incostituzionalità essendo in contrasto con la Carta Costituzionale relativamente agli articoli 3, 24, 42 e 111 della Costituzione; ed osserva: l'eccezione sollevata dal ricorrente del controllo di costituzionalità dell'art. 17, decreto legislativo n. 112/1999 appare rilevante e pertinente ai fini della decisione da parte di questa Commissione e non manifestamente infondata per cui non può essere respinta l'istanza di remissione alla Corte Costituzionale della sollevata questione di legittimità costituzionale per l'aperto e radicale contrasto denunziato, in particolare, con il principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, nonché, ad avviso di questo giudice, con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione. Inoltre il contrasto del citato art. 17, 1° comma, con il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. resta individuato dalla disparità di trattamento riservato al cittadino che sia in grado di effettuare il pagamento e di quello del quale può usufruire il contribuente sprovvisto di mezzi sufficienti a riguardo, onerato di ingiustificati e di irragionevoli e maggiori carichi finanziari.

L'opzione normativa così contrasta con quanto previsto nell'art. 3 della Costituzione il quale afferma che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

In punto di non manifesta infondatezza della questione, il Collegio rileva che codesta Ecc.ma Corte con la sentenza n. 480 del 30 dicembre 1993 ha già stabilito che la misura dell'aggio deve ritenersi ragionevole (e quindi costituzionalmente legittima) se essa è contenuta in un importo minimo e massimo che non superi di molto la soglia di copertura del costo della procedura (nello stesso senso Consiglio di Stato 29 gennaio 2008 n. 272).

La Commissione ritiene che la norma debba essere nuovamente valutata sotto un altro profilo.

Appare assolutamente ingiustificata la fissazione della misura dei compensi di riscossione a carico del contribuente nella percentuale fissa del nove per cento delle somme riscosse nel caso in cui il pagamento sia effettuato oltre sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, anziché in misura corrispondente ai costi del servizio di riscossione.

I dubbi in ordine alla ragionevolezza della misura dell'aggio sono alimentati, oltre che dalla considerazione che la legge non fissa un importo massimo prestabilito dello stesso, anche dalla constatazione che l'agente, nell'ambito della nuova procedura di riscossione delle somme risultanti dagli atti di cui alla lett. a) dell'art. 29, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, non avrà più neppure l'onere di notificare la cartella di pagamento senza aggravio di relativi costi. Se a ciò si aggiunge, che a seguito dell'abrogazione a decorrere dal 26 febbraio 1999 dell'obbligo del non riscosso come riscosso (art. 2, comma 1, decreto legislativo 22 febbraio 1999, n. 37), l'agente della riscossione non subisce più alcun danno patrimoniale da riparare per effetto dell'inadempimento del contribuente e che il servizio di riscossione coattiva non è più gestito da concessionari privati, ma da un ente pubblico economico, emergono con chiarezza i profili di dubbia legittimità costituzionale dell'attuale disciplina sul punto.

Le considerazioni contenute nella giurisprudenza di codesta Corte, sul costo del servizio pubblico di riscossione tanto più inducono questa Commissione a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, del decreto legislativo n. 112/1999 richiamato dal concessionario nelle sue controdeduzioni.

Nella sentenza n. 59/1987 codesta Ecc.ma Corte ritenne che la scelta del legislatore "seppure discrezionale, non può sottrarsi al sindacato sotto il profilo del buona andamento secondo i canoni della non arbitrarietà e della ragionevolezza della disciplina rispetto al fine indicato nell'art. 97, primo comma della Costituzione, di talchè in "sede di un giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi, la violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione può essere invocata allorché si assuma l'arbitrarietà o la manifesta irragionevolezza della disciplina impugnata rispetto al fine indicato nell'art. 97, primo comma, Costituzione (C. Cost. n. 10/1980): per modo che sempre emergono profili di irragionevole applicazione dell'aggio di riscossione anche sugli interessi di mora, sol che si consideri che l'agente della riscossione, in relazione agli importi non pagati tempestivamente dal contribuente, non ha anticipato alcuna somma all'erario. In sintesi si ripete che: la Commissione rileva che la prospettata questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, 1° comma, del decreto legislativo n. 112/1999 è rilevante e non manifestamente infondata atteso che nel caso in esame il pagamento dell'aggio è stabilito in misura fissa anziché in misura corrispondente ai costi effettivi del servizio di riscossione;

l'irrazionalità normativa deriva dalla circostanza che detta misura non assicura che la gestione del servizio sia volta soltanto alla copertura dei costi;

il dubbio di incostituzionalità si consolida poi laddove viene configurato l'obbligo del pagamento pur in assenza di specifici criteri di determinazione del costo di tale servizio;

l'obbligo dell'aggio può ritenersi ragionevole e coerente allorché la misura corrisponda al costo della prestazione, mentre deve ritenersi ingiusto, penalizzante e costituzionalmente illegittimo per l'assenza di un tetto minimo e massimo alla misura dei compensi;

tale sistema fa risaltare l'incostituzionalità della previsione di una qualche forma di riequilibrio per effetto del d.l. n. 201/2011;

la disciplina previgente appare quanto mai irragionevole poiché il compenso di riscossione costituisce il corrispettivo di una specifica prestazione di servizi: deve ritenersi del tutto arbitraria la determinazione della misura di tale compenso a carico del contribuente nella percentuale fissa del nove per cento delle somme iscritte a ruolo, non essendo quest'ultima in alcun modo ancorata ai costi di gestione sostenuti dall'agente della riscossione (e ciò contrasta ad avviso di questo giudice tributario con l'art. 97 per la manifesta irrazionalità).

La questione di legittimità costituzionale involge, dunque, l'art. 17, 1 comma, del decreto legislativo n. 112/199 per contrasto con l'art. 3 per la violazione del principio di eguaglianza del cittadino di fronte alla legge laddove il compenso viene correlato al valore della lite e con l'art. 97 relativo al principio di buon andamento della P.A., difettando di quei criteri di trasparenza e correlazione con l'attività richiesta e congruità con i costi medi di gestione del servizio (che rappresentano i corollari necessari del principio di buon andamento sancito dall'art. 97, primo comma, Costituzione), per manifesta illogicità.

Mentre l'impossibilità di accedere a correttivi interpretativi "costituzionalmente orientati" tanto più rende necessario l'approdo della questione all'esame di costituzionalità riservata a codesta ecc.ma Corte. Se infatti tra i poteri del giudice tributario vi è quello, riconosciuto dall'art. 7, comma 5, del decreto legislativo n. 546/92 di disapplicare un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, cionondimeno, detto potere non può estendersi a norme di rango ordinario per cui il doveroso tentativo di individuare una interpretazione della norma costituzionalmente corretta non offre altra soluzione se non quella di un intervento del giudice delle leggi per l'impossibilità di individuare una interpretazione adeguatrice che possa correggere (in sede interpretativa ed applicativa) l'art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999.

Così condividendo i dubbi della parte ricorrente, questo Collegio ritiene pertanto che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, come modificato dall'art. 32, comma 1, lett. a), del decreto-legge 29 novembre 2008 n. 185, convertito dalla legge 28 gennaio 2009 n. 2, in vigore dal 29 novembre 2008, per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, sia rilevante nel presente giudizio (in quanto esso non può essere definito in assenza di una risoluzione della questione di legittimità costituzionale) e che tale questione non sia manifestamente infondata alla luce delle considerazioni suesposte.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 134 Cost., 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87:

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, dell'art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999 testo unico delle disposizioni concernenti il sistema della remunerazione per la riscossione dei tributi per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione;

Sospende il giudizio in corso sino all'esito della decisione sulla questione;

Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, alla quale rimette l'anzidetta questione di legittimità costituzionale ritenuta la sua rilevanza ai fini del decidere;

Manda alla segreteria per gli adempimenti di legge affinché la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 13 aprile 2016, n. 15