Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 aprile 2016, n. 6764

Licenziamento - Condotta dolosa - Prova - Proporzionalità della sanzione - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 5/12/2012, ha confermato la decisione del giudice di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento comminato a V.M. da A. Spa il 12/12/2008, disponendo la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

2. I giudici del merito ponevano a fondamento del decisum il rilievo che, sulla base dell'istruttoria espletata, non era emersa la prova della condotta dolosa addebitata al lavoratore, che ricopriva il ruolo di capo reparto, consistita nella sottrazione di alcune rondelline metalliche del valore complessivo di £ 2,90, che erano state riposte dal predetto nella tasca della giacca e non erano state mostrate al momento del pagamento alla cassa. Di conseguenza, tenuto conto del contesto di assoluta esclusione di pregressi precedenti disciplinari, avevano ritenuto non proporzionata la sanzione espulsiva.

3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione A. Spa sulla base di due motivi. Il lavoratore resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il, ricorrente deduce travisamento delle risultanze istruttorie l’errata ricostruzione della vicenda; omesso esame di elementi decisivi alla risoluzione della controversia, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 5 I. 15/7/1966 n. 604 e dell'art. 2697 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva che la sentenza impugnata da un lato attribuisce verosimiglianza sul piano della logica ad elementi che secondo l'id quod plerumque accidit devono ritenersi tutt'altro che verosimili, dall'altro non prende in considerazione altri elementi indiziari rispetto a quelli addotti dal ricorrente, questi ultimi connotati da caratteri di minore genuinità. Rileva che la configurazione della fattispecie illecita posta a base dell'atto di recesso era sufficiente a provare il possesso e l'illegittimità del medesimo.

2. Deduce, ancora, violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Rileva che la sentenza valuta in maniera erronea i principi generali in materia di giusta causa di recesso desumibili dall’art. 2119 c.c., in relazione ai quali non è richiesta una prova del fatto illecito nei termini previsti dal processo penale, ma esclusivamente una valutazione anche solo di ragionevole probabilità che gli accadimenti si siano sviluppati in modo che conducano al coinvolgimento del lavoratore.

3. Entrambi i motivi, al di là del richiamo in rubrica a profili di violazione di legge, concernono in realtà vizi motivazionali, contenendo una valutazione diversa da quella offerta dai giudici del merito riguardo agli elementi di fatto sui quali si fonda la ritenuta insussistenza dei presupposti del licenziamento. Gli stessi motivi sono inammissibili in un contesto (applicabile ratione temporis) di nuova formulazione dell'art. 360 n. 5 e di doppia decisione di merito conforme.

Va premesso che nella formulazione vigente ratione temporis, l'art. 360 n. 5 c.p.c., nel testo novellato ex I. 134/2012, non consente la denuncia, come si legge nel ricorso, di "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio", ma, piuttosto, di "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti". In proposito, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5) introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); l'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; la parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto stesso.

4. Gli indicati parametri non risultano rispettati nella specie. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile.

5. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € 100,00 per esborsi e in € 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.