Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 12 aprile 2016, n. 7137

Tributi - Accertamento cd. "a tavolino" - Contraddittorio endoprocedimentale - Notifica avviso di accertamento - Osservanza del termine dilatorio di sessanta giorni - Non applicabile

 

In fatto

 

L'Agenzia delle Entrate ricorre, affidandosi ad un motivo, per la cassazione della sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale, nel rigettare l’appello dell’Ufficio, ha confermato la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso presentato dai contribuenti avverso due avvisi di accertamento emessi ai fini IRES, IVA ed IRAP in relazione agli anni 2005 e 2006; la CTR, in particolare, ha evidenziato che detti avvisi erano stati notificati in violazione dell’art. 12, comma 7, L. 212/00, in quanto emessi senza essere preceduti da pvc e chiusura delle operazioni di controllo e senza il rispetto del termine di 60 gg dal rilascio del predetto verbale.

Il contribuente resiste con controricorso, illustrato anche da successiva memoria ex art. 378 cpc.

 

In diritto

 

Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia denunziando - ex art. 360 n. 3 cpc - violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 12, comma 7, L. 212/2000, ha evidenziato, in primo luogo, che il detto art. 12, comma 7, concerne i diritti e le garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali riguardanti esclusivamente gli accessi, le ispezioni e le verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio dell’attività di impresa in relazione alla quale è eseguito l’accertamento; detta disposizione non può quindi applicarsi nel caso di specie, in cui l’avviso di accertamento non è stato preceduto da alcuna operazione di accesso, ispezione o verifica fiscale presso i locali dell’impresa in questione; l’Agenzia ha, inoltre, rilevato l’erronea applicazione del menzionato art. 6, posto che, allo stato attuale della legislazione, non può ritenersi esistente un principio generale di contradditorio in ordine alla formazione della pretesa fiscale.

Il motivo è fondato.

E’ vero che, come già statuito da questa Corte, "in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento - termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni - determina di per se, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell'atto impositivo emesso "ante tempus", poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva"(Cass. sez. unite 18184/2013); la stessa Corte, tuttavia, nella successiva sentenza, sempre a sez. unite, 24823/2015, nell’affrontare la questione ad essa rimessa (e cioè se le garanzie di carattere procedimentali predisposte dall’art. 12, comma 7 si applichino soltanto agli accertamenti emessi in esito ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente ovvero se esse - in quanto espressione di un generalizzato obbligo di contradditorio nell’ambito del procedimento amministrativo di formazione dell’atto fiscale - operino pure in relazione agli accertamenti conseguenti ad ogni altro tipo di verifica fiscale e, in particolare, in relazione agli accertamenti derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio, in base alle notizie acquisite da altre P.A., da terzi ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio - c.d. verifiche a tavolino), ha dapprima precisato che le dette garanzie procedimentali trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente, tanto anche per la peculiarità di tali verifiche, caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli; peculiarità che giustifica, quale contro bilanciamento, il contradditorio; la Corte ha poi escluso, sulla base della normativa nazionale, resistenza di una clausola generale di contradditorio endoprocedimentale, e cioè di un principio generale per il quale l’Amministrazione, anche in assenza di specifica disposizione, sia tenuta ad attivare, pena la nullità dell’atto, il contradditorio endoprocedimentale ogni qualvolta debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente; la Corte, inoltre, sulla base dell’ordinamento europeo (in particolare: art. 41 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), ha invece ritenuto principio fondamentale dell’ordinamento europeo il rispetto del contradditorio nel procedimento tributario, la cui violazione tuttavia può determinare l’annullamento dell’atto soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, il detto procedimento "avrebbe potuto comportare un risultato diverso"; di conseguenza, secondo la Corte, per i "tributi non armonizzati" (cioè per i tributi soggetti solo alla disciplina nazionale ed estranei quindi alla sfera di competenza del diritto dell’Unione Europea; in particolare: i tributi diretti), l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il detto contradditorio, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi in cui tale obbligo sia previsto da specifica norma di legge; per i tributi "armonizzati" (in particolare: l’IVA), che, inerendo alle competenze dell'Unione, sono investiti dalla diretta applicazione del relativo diritto, l’obbligo del contradditorio procedimentale assume, invece, un rilievo generalizzato, e la sua violazione determina l'annullamento del provvedimento solo se, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento "avrebbe potuto comportare un risultato diverso", e cioè ove risulti che il contraddittorio, ove vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragione d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e dunque non puramente fittizi o strumentali; nello specifico: il contribuente ha l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contradditorio fosse stato tempestivamente attivato; ragioni che, valutate al momento del mancato contradditorio, devono rilevarsi non puramente pretestuose e, come tali, da determinare uno sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale per le quali l'ordinamento lo ha predisposto.

Con la memoria ex art. 378 cpc il contribuente solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, L. 212/2000 (come interpretato dalla su menzionata decisione delle sez. unite 24823/2015, ritenuta costituire "diritto vivente"), per violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. nonché del canone di ragionevolezza intrinseca ex art. 97 Cost. e del diritto di difesa ex art. 24 Cost., anche in riferimento all’art. 111 Cost.; lo stesso contribuente, inoltre, fa presente che analoga questione di costituzionalità è stata sollevata dalla CTR Toscana con ordinanza 736/1/15 in data 21-12-2015/18-1-2016. La questione è manifestamente infondata.

Come evidenziato, invero, dalla stessa su esaminata sentenza 24823/2015 delle sez. unite, il dato testuale del detto art. 12, comma 7, L. 212/2000, univocamente tendente alla limitazione della garanzia del contradditorio procedimentale alle sole "verifiche in loco", è da ritenersi "non irragionevole", in quanto giustificato dalla peculiarità stessa di tali verifiche, "caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli, peculiarità che giustifica, quale controbilanciamento, il contradditorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali"; siffatta peculiarità, differenziando le due ipotesi di verifica ("in loco" o "a tavolino"), giustifica e rende non irragionevole il differente trattamento normativo delle stesse, con conseguente manifesta infondatezza della sollevata questione di costituzionalità con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost..; ne una questione di costituzionalità, sempre con riferimento all’art. 3 della Cost. può porsi per la duplicità di trattamento giuridico tra "tributi armonizzati" e "tributi non armonizzati", atteso che, come anche in tal caso evidenziato dalla su menzionata sentenza delle sez. unite 24823/2015, l’assimilazione tra i due trattamenti è preclusa in presenza di un quadro normativo univocamente interpretabile nel senso dell’inesistenza, in campo tributario, di una clausola generale di contradditorio procedimentale l’affermata insussistenza, nell’ordinamento tributario nazionale, di una clausola generale di contradditorio endoprocedimentale non viola, inoltre, né l’art. 24 Cost. né l’art. 111 Cost., atteso che, come espressamente affermato da questa Corte nella su richiamata sentenza a sez. unite 24823/2015, le garanzie di cui all’art. 24 "attengono, testualmente, all’ambito giudiziale", né l’art. 111 Cost., in quanto il giudizio tributario pur nella sua particolarità, è comunque rispettoso del principio della c.d, "parità delle armi", giacché, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale sancito dall’art. 7 d.lgs. 546/1992, il potere di introdurre in giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, compete non solo all'Amministrazione finanziaria, che tali dichiarazioni abbia raccolto nel corso d'indagine amministrativa, ma, altresì, con il medesimo valore probatorio, al contribuente.

In conclusione, quindi, l’impugnata sentenza, dichiarando, senza alcuna distinzione, l’illegittimità degli avvisi in questione (concernenti IVA 2006 ed IRES e IRAP anni 2005 e 2006, e relativi pacificamente a verifica "a tavolino) per violazione dell’art. 12, comma 7, L. 212/2000 ed affermando la sussistenza di un generale principio di rispetto del contradditorio endoprocedimentale, appare non rispettosa dei su menzionati principi e va, pertanto cassata, con rinvio per nuova valutazione alla CTR Piemonte, diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e rinvia per nuova valutazione alla CTR Piemonte, diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.