Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 12 aprile 2016, n. 7147

Tributi - Accertamento sintetico - Indici sintomatici di maggiore capacità contributiva - Condizioni di non congruità - Devono essere presenti in maniera autonoma ed indipendente per ciascun anno preso a riferimento - Applicazione "per trascinamento" dei presupposti riferiti ad diverso (e successivo) anno d’imposta - Essclusione

 

Osserva

 

La CTR di Roma ha respinto l’appello di A.R. - appello proposto contro la sentenza n. 49/01/2010 della CTP di Latina che aveva già respinto il ricorso della parte contribuente avverso avviso di accertamento (di genere "sintetico"), ai fini IRPEF e Addizionali per l’anno 2003, a mezzo del quale è stato rideterminato in aumento il reddito dichiarato per il periodo indicato, alla luce degli indici sintomatici di maggiore capacità contributiva quali il pagamento di premi di polizze assicurative nonché incrementi patrimoniali, come acquisti di fabbricati o versamenti per aumenti di capitale sociale e simili. La predetta CTR - dopo avere premesso che le censure alla sentenza di primo grado (esse stesse carenti del requisito di specificità) erano rimaste prive di adeguato supporto probatorio - ha motivato la decisione nel senso che il contribuente non aveva giustificato i versamenti effettuati sul proprio libretto di deposito, così eludendo l’onere della prova che gli incombeva ed a mezzo del quale avrebbe potuto vincere la presunzione contraria.

L’Ufficio d’altronde aveva preso correttamente in esame il periodo dei quattro anni precedenti l’acquisto dell'immobile, tra cui appunto l’anno 2003 che è oggetto di esame.

La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

La parte intimata non si è difesa, se non con atto finalizzato alla conservazione della facoltà di partecipazione all’udienza di discussione.

Il ricorso - ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore - può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c.

Con il primo motivo ed il secondo motivo di impugnazione (entrambi centrati sulla violazione dell’art. 38 del DPR n. 600/1973 e dell’art. 2697 cod civ) la parte ricorrente si duole in sostanza del fatto che il giudice del merito abbia omesso un esame più approfondito della documentazione dimessa in causa (gli estratti conto bancari dei depositi del ricorrente e della madre di quello) ed una lettura di questa "più coerente con la citata normativa di riferimento", a mezzo di che avrebbe potuto "giustificare, con un pò di buon senso, le manifestazioni di spesa" e si duole ancora che il giudicante abbia ritenuto necessaria la giustificazione dei versamenti effettuati sul conto di deposito bancario, per quanto il ridetto art. 38 non preveda la dimostrazione "del nesso eziologico tra le spese sostenute ed i mezzi monetari che il contribuente sostenga essere nella sua disponibilità".

D’altronde, alla presunzione legale di cui all’art. 32 del DPR n. 600/1973 può essere contrapposta anche solo una presunzione semplice e non necessariamente una prova.

I motivi - da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione - sono infondati e da disattendersi.

II primo (che non contiene alcuna comprensibile indicazione di come il giudicante avrebbe violato la disciplina di legge) va esaminato alla luce delle considerazioni contenute nel secondo, donde si intende che la parte ricorrente ha equivocato in ordine agli argomenti valorizzati dal giudicante, da cui non si trae affatto la ritenuta necessità di una specifica correlazione tra singolo esborso e singolo incremento patrimoniale ma di una chiara identificazione delle fonti della provvista pecuniaria contenuta nei conti di deposito.

D’altronde, il menzionato art. 38 prevede che:"Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell'accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta.

L'entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione".

E perciò non è sufficiente dimostrare di avere la disponibilità di una provvista economica ma occorre anche individuare le fonti di detta provvista (siccome redditi esenti o già assoggettati a ritenuta alla fonte), poiché altrimenti sarebbe agevole disinnescare l’efficacia dell’indagine lasciando transitare i proventi attraverso un deposito bancario e tirando in tal modo un velo sull’origine del reddito.

Con il terzo motivo (centrato sulla violazione dell’art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché art. 36 del D.Lgs. 546/1992) la parte ricorrente formula una censura manifestamente infondata di assoluto difetto di motivazione della sentenza che - invece, per quanto già si è sinteticamente evidenziato- appare adeguatamente e coerentemente argomentata.

Con il quarto motivo (centrato sulla violazione degli art. 2727, 2729, 2697 cod civ) la parte ricorrente si duole della violazione dei canoni normativi sulla ripartizione dell’onere probatorio, gravando sull'ufficio l’onere di "dimostrare i fatti costitutivi della pretesa".

Si tratta di censura manifestamente infondata e che non tiene conto che il sistema di accertamento qui in parola è dichiaratamente fondato sull’esistenza di presunzioni legali relative che compete al contribuente sovvertire a mezzo della dimostrazione di specifiche circostanze (dianzi già menzionate) che valgono a sottrarre alla imponibilità le fonti di finanziamento degli incrementi patrimoniali o delle spese correnti da lui effettuati.

Con il quinto motivo di impugnazione (fondato ancora sulla violazione dell’art. 38 del DPR n. 600/1973) la parte ricorrente si duole che il giudicante abbia ritenuto corretto che l’Amministrazione abbia fatto gravare sul computo dei redditi per l’anno 2003 un incremento patrimoniale verificatosi nel 2005/2006, a mezzo del criterio di ripartizione nei quattro anni antecedenti, dell’esborso a ciò correlato, mentre l’art. 38 richiede che si tenga conto dei soli incrementi patrimoniali realizzati nell’anno sottoposto ad accertamento, da "spalmarsi" anche sui quattro anni precedenti.

Tutto ciò, a vantaggio del contribuente e per evitare "che l’imputazione al solo anno di accertamento determinasse una tassazione eccessivamente elevata".

Il motivo appare fondato e da accogliersi.

Il menzionato art. 38 prevede che l’Ufficio "può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta", e con ciò si riferisce inequivocabilmente agli elementi indicativi di capacità contributiva che sono emersi negli anni concretamente oggetto di accertamento (e non anche di quelli che sono emersi negli anni successivi), perché altrimenti il metodo diverso posto in atto dall’amministrazione precluderebbe al contribuente vuoi di dimostrare di avere goduto appunto degli anni successivi di redditi idonei a giustificare da sé soli gli incrementi patrimoniali realizzati nel corso di detti anni successivi (e senza necessità di operare la somma dei redditi complessivi dei periodi tra loro combinati e perciò senza necessità di "spalmare" negli anni antecedenti la prova dell’esistenza di una adeguata provvista), vuoi di dimostrare l’inesistenza di una continuità sufficiente, siccome condizione per l’esercizio della modalità induttiva dell’accertamento (e cioè appunto la non congruità del reddito per almeno un quarto di differenza e per almeno due periodi di imposta).

Con il metodo "parcellizzato" utilizzato nel presente caso (tale da ricondurre ad autonomia la singola frazione annuale derivante alla "spalmatura" della spesa effettuata) si realizzerebbe, invece, la esorbitante potestà per l’Amministrazione di tenere in considerazione elementi indiziari di capacità contributiva anche riferiti a periodi di imposta non connotati da indizio di non congruità e comunque di prescindere da un criterio di "continuità" tra i periodi considerati che -per quanto non necessariamente "consecutivi" (in termini si veda Cass. Sez, 5, Sentenza n. 237 del 09/01/2009)- non possono ovviamente essere così distanti tra loro (anche cinque anni, ove si legittimasse il metodo di cui qui si tratta) da elidere completamente la sintomaticità della "non congruità plurima" che il legislatore ha voluto considerare come necessaria condizione.

E d’altronde, la consapevolezza che l’Amministrazione abbia - al momento di effettuare l’accertamento - di incrementi patrimoniali intervenuti in anni successivi consentirebbe senz’altro il coinvolgimento nell’accertamento anche detti anni successivi, ai quali l’indagine dovrebbe inevitabilmente estendersi ove ne sussistano i presupposti richiesti dalla norma. La circostanza che l’Amministrazione non lo faccia non può che lasciare indurre che manchino i presupposti richiesti dalla norma (la non congruità, in primo luogo) e che - perciò- il metodo della "spalmatura" a ritroso costituisca un sistema per far confluire negli accertamenti dei periodi presi in considerazione i soli elementi favorevoli all’Amministrazione stessa e non anche quelli che (grazie al metodo della sommatoria dei redditi conseguiti nel periodo in corso ed in quelli antecedenti) siano favorevoli alla parte contribuente.

In altri termini, sembra logico interpretare siffatto aspetto del meccanismo della metodologia di accertamento qui in discorso (che è stato abolito dal D.L. n. 78/2010, in relazione ai periodi successivi all’emanazione, evidentemente per la sua dubbia coerenza sistematica) nel senso che le condizioni di non congruità devono essere presenti in maniera autonoma ed indipendente per ciascun anno preso a riferimento e non come riflesso di un calcolo fittizio effettuato "per trascinamento" dei presupposti riferiti ad diverso (e successivo) anno d’imposta.

Una conferma delle validità delle conclusioni che precedono deriva dalla considerazione del riflesso che sull’esercizio della potestà di accertamento si genererebbe per l’ipotesi di una diversa ricostruzione del meccanismo; volendosi far retrocedere agli anni antecedenti le conseguenze degli incrementi patrimoniali generatisi negli anni successivi anche in termini di sussistenza dei presupposti (nell’ottica della non congruità) e non semplicemente di identificazione degli elementi di giustificazione della provvista, sarebbe anche inevitabile (pena l’introduzione di un limite automatico alla "spalmabilità" pluriennale) consentire la accertabilità a ritroso dei periodi di imposta nei quali il presupposto della non congruità si genera esclusivamente per effetto della "spalmatura" pro quota del valore dell’incremento.

Con l’effetto di consentire il superamento del limite del termine di decadenza della potestà accertativa (per l’inevitabilmente coinvolgimento di un arco temporale più ampio di quello ordinario quinquennale, considerando a ritroso dal momento di adozione dell’accertamento) nella prospettiva del recupero di periodi di imposta "ex se" carenti del requisito di non congruità.

Alla luce della ritenuta fondatezza del quinto motivo di impugnazione, appare conseguente cassare la decisione impugnata e restituire la lite al giudice del merito, affinché provveda al riesame dell’intera materia controversa (per gli effetti combinati che nel meccanismo del redditometro si generano per effetto della sottrazione di uno degli indici considerati), nell’ottica della corretta applicazione di detto meccanismo di computo presuntivo, così come dianzi esplicata.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza del solo quinto motivo e per manifesta infondatezza ed inammissibilità degli altri.

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;

che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta gli altri.

Cassa la decisione impugnata in relazione a quanto accolto e rinvia alla CTR Lazio che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese dì lite del presente giudizio.