Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 12 aprile 2016, n. 7150

Tributi - Società a ristretta base sociale e/o familiare - Presunzione di attribuzione "pro quota" ai soci di utili non contabilizzati accertati in capo alla società - Condizioni

 

Osserva

 

La CTC - sezione regionale del Lazio ha accolto il ricorso dell’Agenzia contro la sentenza n. 55511/06/1986 della CT di secondo grado di Roma che (in parziale difformità della locale commissione di primo grado) aveva accolto i ricorsi, già riuniti in primo grado, del contribuente C.M. ad impugnazione di avvisi di accertamento per maggiore IRPEF relativa agli anni 1976 e 1978, avvisi consequenziali a quelli emanati nei confronti della società "L. srl" (nella quale il C. risultava essere stato socio per quota di un terzo del capitale) ai fini del recupero di costi ritenuti inesistenti o non documentati, con conseguente presunzione di utili distribuiti ai soci in proporzione alle quote di partecipazione.

La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che "fondatamente l’Ufficio contesta la genericità dell’assunto della decisione impugnata che ritiene non motivato l’accertamento contestato, senza specificare quali norme dell’ordinamento abbia violato l’Ufficio nell’avvalersi, anche per il socio, dei dati e delle prove utilizzati per l’accertamento del reddito della società, a cui la stessa ha fatto riferimento per beneficiare del condono".

La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’Agenzia si è difesa con controricorso.

Il ricorso - ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore - può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.

Infatti, con il primo motivo di impugnazione (improntato alla violazione dell’art. 2729 cod civ e dell’art. 38 del DPR n. 600/1973) la parte ricorrente si duole per avere il giudicante desunto una presunzione (di distribuzione ai soci degli utili accertati in capo alla società) sulla sola scorta del fatto noto del maggior reddito accertato in capo alla società, senza che abbia costituito oggetto di esame sia la validità dell’accertamento a carico della società, sia il presupposto della ristrettezza della compagine societaria (che non poteva scaturire dal solo fatto che esso contribuente risultava essere socio per quota di un terzo, tutto ignorandosi a proposito dei residui due terzi), siccome dette circostanze erano rimaste non indagate a causa della dichiarata estinzione del ricorso già promosso dalla "L. srl" a riguardo dei menzionati avvisi di accertamento relativi alla società stessa.

Il motivo di impugnazione appare fondato e da accogliersi.

Da un canto, non può prescindersi dal tenere conto del costante l’indirizzo della Suprema Corte (per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20851 del 26/10/2005; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7218 del 28/05/2001) nel senso che: "In tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima la presunzione di attribuzione "pro quota" ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria (nella specie, quattro soci). Tale presunzione - fondata sul disposto dell'art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - induce inversione dell'onere della prova a carico del contribuente e non viene meno in ipotesi di presentazione di domanda integrativa di condono da parte della società, essendo questa ed il socio titolari di posizioni fiscali distinte e indipendenti".

D’altro canto, le doglianze di parte ricorrente appaiono condivisibili e fondate nella parte in cui censurano la decisione del giudice del merito per non avere quest’ultimo fatto specifico e concreto esame (e positivo accertamento) dei presupposti che sono a base dell’estensione presuntiva nei confronti del socio del maggior reddito imputato alla società per quanto concerne la tassazione degli utili a quest’ultimo imputabili e ed in capo ad esso tassabili.

In termini, è consolidato l’indirizzo secondo il quale :"ln tema di imposte sui redditi e con riguardo ai redditi di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale, è ammissibile la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Affinché, però, tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, sia che la ristretta base sociale e/o familiare - cioè il fatto noto alla base della presunzione - abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, sia che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l'accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi" (per tutte si veda Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6780 del 05/05/2003).

Nella specie di causa, i predetti accertamenti non risultano essere stati giudizialmente espletati, da un canto (per ciò che attiene alla validità dell’accertamento) per effetto della pacificamente intervenuta definizione in via breve dell’accertamento afferente alla imposizione del reddito societario e d’altro canto (per quanto attiene alla ristrettezza della base sociale) in ragione delle (dalla parte ricorrente) ricostruite ragioni che sorreggono le decisioni assunte nei primi due gradi di merito, dalle quali è da escludersi che derivino statuizioni facenti stato a questo riguardo.

Non avendo pronunciato sul punto neppure la Commissione Centrale (che si è limitata a censurare la "genericità" della pronuncia del grado precedente), altro non resta che proporre l’accoglimento del primo motivo (con assorbimento del successivo), la conseguente cassazione della decisione qui impugnata e la restituzione della lite al giudice del merito (da identificarsi nella CTR del Lazio) affinché provveda al necessario apprezzamento delle condizioni imprescindibili ai fini dell’eventuale conferma della pretesa tributaria qui fatta valere.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.

Ritenuto inoltre:

- che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

- che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;

- che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;

- che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito l’altro. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Lazio che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.