Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 aprile 2016, n. 6882

Tributi - IRAP - Avvocato - Attività professionale - Rimborso - Prova dell'assenza delle condizioni relative al requisito dell'autonoma organizzazione

 

Svolgimento del processo

 

1. La controversia riguarda l'impugnazione del silenzio-rifiuto, relativo a un istanza di rimborso IRAP, avanzata dall'avv. A. S. I. per gli anni d'imposta dal 1999 al 2002, per un ammontare complessivo di € 14.988,88. In particolare, il contribuente deduceva di svolgere la propria attività forense senza dipendenti e/o collaboratori, utilizzando capitali modesti, di talché, non potendo individuarsi una organizzazione autonoma, mancava il presupposto per la determinazione della base imponibile IRAP. L'ufficio nel costituirsi, ha evidenziato, (a) in via preliminare, l'inammissibilità della domanda, per intervenuta decadenza, ai sensi dell'art. 38 del DPR n. 602/1973, per i pagamenti effettuati fino al 31 ottobre 2001; (b) sempre, in via preliminare, l'inammissibilità del rimborso delle chieste somme, in quanto il contribuente aveva beneficiato della definizione agevolata, ex art. 9 della legge n. 289/2002; (c) nel merito, la sussistenza del presupposto per l'applicazione dell'imposta IRAP, in quanto essa, pur svolgendosi con limitate attrezzature di fatto, consisteva nell'esercizio abituale di un'attività professionale, da doversi considerare per le modalità di svolgimento, autonomamente organizzata.

2. La C.t.p. di Milano ha rigettato il ricorso, ravvisando la sussistenza dell'elemento organizzativo e produttivo, la presenza di costi gestionali, la collaborazione di terzi, e la presenza di cospicui investimenti in mezzi e strumenti. Il contribuente ha proposto appello, con il quale ha descritto la struttura della propria organizzazione, dalla quale poteva evincersi la presenza di una forma organizzativa minima indispensabile per svolgere l'attività professionale. La C.t.r. della Lombardia, con sentenza del 1° luglio 2009, ha accolto l'appello, sulla base del criterio che non costituisce struttura organizzata ai fini impositivi, quell'attività connotata solo da una minima presenza di strumenti e collaborazioni, senza la quale non sarebbe possibile lo stesso svolgimento dell'attività professionale.

3. Per la cassazione di tale decisione, l'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi corredati da quesiti di diritto, mentre il contribuente si è costituito al solo fine di poter partecipare alla discussione orale.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso, l'ufficio denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 9 della legge n. 289/2002, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., in quanto il contribuente, per le somme corrisposte per gli anni d'imposta per cui è causa (e di cui chiede il rimborso), ha beneficiato della definizione agevolata, ai sensi della norma testé citata, che, al comma 9, statuisce: "La definizione automatica, limitatamente a ciascuna annualità, rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione con riferimento alla spettanza di deduzioni e agevolazioni indicate dal contribuente o all'applicabilità di esclusioni".

Con il secondo motivo di ricorso, l'ufficio ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell'art. 38 comma primo del DPR n. 602/1973, in relazione all'art. 360 primo comma, n. 3 cod. proc. civ., in quanto il contribuente sarebbe decaduto dal diritto al rimborso per le imposte indebitamente versate, decorso il termine dì quarantotto mesi dal versamento. Infatti, per gli anni d'imposta per cui è causa, l'ufficio riferisce che il contribuente ha presentato distinte istanze di rimborso il 29 dicembre 2003, il 16 luglio 2004 e il 28 novembre 2005, di guisa che sarebbe evidente la decadenza intervenuta in riferimento ai versamenti effettuati in data 15 ottobre 1999, 16 settembre 1999, 16 agosto 1999, 20 luglio 1999 (per quanto attiene alla prima istanza del 29 dicembre 2003) e di quelli del 31 ottobre 2001, per quanto concerne la seconda istanza del 28 novembre 2005, e ciò, in quanto, l'istanza di rimborso sarebbe stata presentata, ben oltre il termine decadenziale di quarantotto mesi dal giorno del pagamento.

2. Entrambi i motivi difettano di autosufficienza.

Infatti, in riferimento al condono, lo stesso non risulta riportato in ricorso, nelle sue parti salienti, né indicata la relativa collocazione nell'incarto processuale afferente ai giudizi di merito, ex art. 366, primo comma, n. 6 cod. proc. civ., di talché questa Corte non è messa in condizione di verificare, l'effettivo prodursi dell'estinzione della pretesa di rimborso a seguito dello stesso, ex art. 9 della legge n. 289/2002 (Sez. Un. n. 22726/11, §6).

A questo proposito, si rileva come la doglianza non sia stata riproposta in appello, dall'ufficio, pur vittorioso in primo grado, e non è stato documentato cosa abbiano statuito i giudici della C.t.p. sullo stesso condono (se l'eccezione sia stata ritenuta assorbita ovvero respinta, nel qual caso sarebbe maturato il giudicato interno), attraverso la trascrizione delle parti salienti della relativa sentenza. Nel giudizio di legittimità non ci si può limitare alla mera allegazione della vicenda processuale da cui s'intenda trarre un qualche giovamento, ma bisogna dedurre in modo specifico ed autosufflciente, se e come la materia del contendere sia tuttora oggetto del processo in corso. Infatti il giudice di legittimità non può desumere "aliunde", neppure dalla stessa sentenza impugnata, gli elementi di giudizio necessari alla decisione che non risultino dal ricorso stesso (Cass, 16132/05).

Parimenti è a dirsi per la documentazione relativa alla presentazione delle istanze di rimborso, di talché questa Corte non è messa in condizione di verificare, il tempo della presentazione delle stesse, ai fini della decorrenza o meno dei quarantotto mesi quale termine decadenziale per l'ammissibilità della relativa richiesta, tenendo conto che per i pagamenti successivi al 31 ottobre 2001, la decorrenza del termine decadenziale, non sembrerebbe essere maturata (cfr. in generale Cass. n. 15910/05).

3. Con il terzo motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ, in quanto per quanto attiene al fatto costitutivo della pretesa di rimborso, l'onere della prova della mancanza della causa (autonoma organizzazione) che giustifica il prelievo fiscale, sarebbe a carico del contribuente, circostanza non tenuta in conto dalla C.t.r..

Con il quarto motivo di censura viene denunciato il vizio di motivazione, circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., in quanto la sentenza impugnata non avrebbe sufficientemente motivato relativamente alla sussistenza o meno del presupposto impositivo dell'IRAP, cioè, se il contribuente esercitasse, effettivamente, la propria attività in mancanza dell'autonoma organizzazione.

4. Il terzo e il quarto motivo sono logicamente e giuridicamente correlati e meritano trattazione congiunta e contemporaneo accoglimento.

Da una parte, va rilevato come costituisca onere del contribuente che chieda il rimborso dell'imposta IRAP asseritamente non dovuta, dare la prova dell'assenza delle condizioni relative al requisito dell'autonoma organizzazione (Cass. n. 5020/2007, ma vedi anche Cass. n. 8439/2004), mentre la C.t.r. non ha fatto "buon governo" di tali principi, in quanto si è limitata ad affermare l'insussistenza dell'autonoma organizzazione, sulla base delle sole dichiarazioni del contribuente, con ciò, implicitamente disconoscendo la regola del riparto dell'onere della prova, così come chiarita da questa Corte.

D'altra parte, la medesima C.t.r., laddove ha statuito che "nel caso di specie, la contribuente S. A. - come risulta dalla documentazione fiscale prodotta - esercitava la propria attività di avvocato priva di strutture se non quelle minimali necessarie per l'esercizio dell'attività della propria professione", non appare aver tenuto conto che nelle fasi del merito sono proprio i dati contabili emergenti dalle dichiarazioni dei redditi, per gli anni d'imposta in esame, che sono stati contestati dall'ufficio, che ha evidenziato spese per lavoro dipendente, spese per compensi corrisposti a terzi per prestazioni professionali e per altre quote di ammortamento, secondo quanto meglio riportato in ricorso, in virtù dei dati presenti nell'anagrafe tributaria, ed acquisiti al giudizio ed espressamente dedotti dall'ufficio finanziario.

Tale indagine, sotto il profilo motivazionale non risulta essere stata compiuta dal giudice d'appello (in particolare, l'analisi del dettaglio sulla sezione del quadro RE che specifica la composizione dei costi); pertanto, la motivazione della C.t.r., non risulta aver dato conto di tali fatti ed elementi controversi e decisivi, al fine di stabilire la sussistenza o meno, nel caso di specie, dei presupposti impositivi ai fini IRAP.

A tal proposito si ricorda che, ai fini della sufficienza della motivazione della sentenza, il giudice non può, quando esamina i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perché questo è il solo contenuto "statico" della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto "dinamico" della dichiarazione stessa (Cass. n. 1236/2006).

Peraltro, l'accertato vizio giustificazione della decisione d'appello sul fatto non conferisce alla Corte il potere di riesaminare autonomamente il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, le argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, anche in sede di rinvio, d'individuare le fonti del proprio convincimento, di esaminare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le risultanze quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, di dare la prevalenza all’uno o all'altro mezzo di prova (Sez. Un. n. 13045/1997, in motivazione).

5. Va, conseguentemente, accolto il ricorso limitatamente al terzo e al quarto motivo e va cassata l'impugnata sentenza con rinvio alla C.t.r. competente che, in diversa composizione e con adeguata motivazione, dovrà procedere a nuovo esame secondo principi giuridici e regolativi sopra enunciati sub §4 e regolare anche le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo, accoglie il terzo e il quarto motivo, cassa la sentenza d'appello e rinvia, anche per le spese, alla C.t.r. della Lombardia in diversa composizione.