Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 aprile 2016, n. 6881

Tirbuti - Accertamento - Determinazione reddito d’impresa - Deducibilità dei costi - Condizioni

 

Svolgimento del processo

 

1. L'Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione avverso l'epigrafata sentenza della CTR Marche che, in accoglimento dell'appello della contribuente F.G. s.r.l. ed in riforma della decisione di primo grado, ha giudicato infondata la ripresa a tassazione di alcuni costi dedotti dalla parte dal proprio reddito d'impresa dichiarato per l'anno 2006.

La CTR, motivando l'accoglimento del gravame, ha in dettaglio affermato, quanto alle note di credito per premi alla clientela, che il "rilievo non ha procurato alcun danno all'erario"; quanto alle note di credito a clienti irregolari, che, in disparte dalla loro accettazione da parte dell'ufficio in sede di adesione, la circostanza che esse non rechino il numero della fattura a cui si riferiscono, "non fa venire meno la motivazione per cui sono state emesse, cioè la regolarizzazione della contabilità sociale"; quanto ai costi indeducibili per difetto di documentazione, che, riferendosi essi alla spesa per il gasolio destinato all'alimentazione di un generatore di corrente, "non si è potuto compilare la scheda carburanti", essendo necessaria a questo fine l'indicazione della targa; quanto ai costi relativi alle spese per ristoranti et similia, che "le stesse debbono essere considerate deducibili" in ragione della struttura unipersonale della società, che dispensa da un formale conferimento di incarico; quanto ai canoni di leasing, riferendosi essi ad un autocarro, che si tratta di "un'attrezzatura più specifica ai fini produttivi della società"; e quanto infine all'errata determinazione dell'aliquota IVA sulla vendita di alcuni prodotti a base di ortaggi, che è "corretta l'applicazione dell'aliquota del 4%".

Il mezzo ora proposto dall'Agenzia ricorrente si vale di tre motivi.

Resiste con controricorso la parte.

 

Motivi della decisione

 

2.1. Con il primo motivo di ricorso, l'Agenzia deduce per gli effetti dell’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c. la nullità dell'impugnata sentenza attesa, sotto un primo profilo, l’inammissibilità del proposto atto di gravame per difetto di specificità dei motivi, avendo controparte, come già evidenziato dall'ufficio nelle proprie controdeduzioni, riproposto pedissequamente le doglianze esposte in ricorso addirittura con l'utilizzo delle medesime frasi ed espressioni, nonché, sotto un secondo profilo, la ricorrenza nella specie di un vizio di omessa pronuncia, avendo la CTR omesso di pronunciarsi sull'eccezione di giudicato che l'ufficio aveva opposto in relazione al capo della decisione di primo grado non oggetto di impugnazione.

2.2.1. La prima censura espressa con il motivo in esame è infondata.

2.2.2. Invero, ricordato che l’art. 53 D.lg. 546/92 sotto la rubrica "Forma dell'appello" recita espressamente al primo comma, sul filo della corrispondente previsione recata dall’art. 342 c.p.c. nel testo risultante dall'art. 50 L. 26 novembre 1990 n. 353, e prima dell’ulteriore modifica di cui all'art. 54, comma 1, lett. a), D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in L. 7 agosto 2012 n. 134, che "il ricorso in appello contiene l’indicazione della commissione tributaria a cui è diretto, dell'appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, l’esposizione sommaria dei fatti, l'oggetto della domanda ed i motivi specifici dell'impugnazione. Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto a norma dell'art. 18, comma 3", è noto che secondo questa Corte i motivi di appello, che possono essere espressi anche in forma sintetica o concisa, possono definirsi specifici quando alle argomentazioni svolte nella sentenza vengano contrapposte argomentazioni dell’appellante volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime e tale criterio può ritenersi soddisfatto quando in base ad un giudizio ex ante l'eventuale fondatezza dell’argomentazione priverebbe di base logica la sentenza (3200/15; 22781/14; 15936/03). Più in dettaglio si osserva che "nell'atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame, rilevabile d'ufficio e non sanabile per effetto dell'attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è sufficiente che l'atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata" (23553/14; 12801/14; 8771/10). Questo tuttavia non esclude, come hanno precisato le SS.UU. (28057/08), che le ragioni dell’appello possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, a condizione però che "ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice".

2.2.3. Ora, come il resistente si dà precipuamente cura di rammentare nel controricorso, la riproposizione in sede di appello dei medesimi motivi fatti valere con il ricorso di prima istanza era diretta conseguenza del rigetto di essi pronunciato dal giudice di primo grado, di talché, oltre a correlarsi logicamente con il dictum adottato in quella sede, la loro riproposizione, in guisa di rinnovata confutazione della pretesa e, riflessamente, delle ragioni che avevano indotto il primo giudice, rigettando il ricorso, a confermarne la legittimità, era propriamente intesa a contestare il fondamento giuridico della decisione impugnata, soddisfacendo in tal modo puntualmente il requisito in questione.

Ne deriva perciò l’inconsistenza dell’addebito che si muove in parte qua all’impugnata sentenza.

2.3.1. La seconda censura condensata nel motivo in disamina si espone ad un preliminare rilievo di inammissibilità per difetto di autosufficienza.

2.3.2. E’ noto infatti, secondo un consolidato insegnamento di diritto vivente, che ai fini della configurazione del vizio denunciato è, tra l’altro, richiesto che le istanze asseritamente inevase, "siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l'una o l'altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne 'in primis', la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi" (26070/15; 25404/15; 15367/14).

2.3.3. Nella specie, l’Agenzia ricorrrente, pur lamentando un vizio di omessa pronuncia in capo alla sentenza in esame in ordine all'eccezione di giudicato, ha omesso tuttavia di dare di essa una compiuta rappresentazione, limitandosi a denunciare il vizio senza tuttavia indicare in che termini il giudice territoriale fosse stato sollecitato all'adozione della pronuncia asseritamente omessa ed in pari tempo in quale specifico luogo processuale la detta eccezione fosse stata portata al suo esame.

E dunque anche sotto questo aspetto il motivo non merita alcuna adesione.

3.1. Il secondo motivo del ricorso erariale si sofferma a rilevare ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., l’errore di diritto consumato dal giudice d’appello, che, pronunciandosi nel merito delle singole riprese nei riferiti termini, ha violato, nell’ordine, l'art. 109, primo comma, Tuir ovvero "il principio della competenza economica" in relazione alle note di credito per premi alla clientela; l'art. 26 D.P.R. 633/72, in quanto nelle note di credito per regolarizzare la contabilità "non è stato riportato il benché minimo riferimento alle fatture che si intendevano annullare"; l'art. 21 D.P.R. 633/72, in quanto, in merito alle spese di gasolio, "la norma in parola impone che i documenti di costo siano dotati di un contenuto minimo in questo caso mancante"; l'art. 108, comma secondo, Tuir, in relazione alle spese di ristorazione et similia, risultando "la documentazione prodotta dalla parte insufficiente", non riportando le ricevute esibite il nome dei fruitori, ma la generica intestazione alla società; l'art. 164, comma primo, lett. b), Tuir, in relazione ai canoni di lesasing, dal momento che la statuizione pronunciata nell'occasione, laddove non ha tenuto conto dei limiti di deducibilità imposti dalla norma richiamata, "è evidentemente svincolata da qualsiasi riferimento giuridico".

3.2.1. La prima (imputazione delle note di credito in violazione del principio di competenza) e la seconda censura (redazione delle note di credito in violazione dei requisiti di legge) espresse con il motivo in esame sono entrambe fondate.

3.2.2. In ragione della loro natura di costo indiretto le note di credito ricadono tra le componenti negative che concorrono alla formazione del reddito di impresa, sicché, coerentemente con il principio di competenza stabilito dall'art. 109, primo comma, Tuir, la loro imputazione al conto economico non è rimessa alla libera discrezionalità della parte, ma deve uniformarsi al detto principio ed è perciò è conseguentemente errata la impugnata statuizione che ha reputato invece legittima la deduzione nell'anno di contestazione (2006) di note di credito venuta ad esistenza l'anno precedente (2005).

3.2.3. Parimenti, quanto alla seconda censura, va qui ribadito a conforto della ritenuta illegittimità della statuizione impugnata - come questa Corte ha già avuto occasione di affermare - che "ai sensi del combinato disposto dei commi secondo e terzo dell'art. 26 d.P.R. 633/1972, il soggetto passivo dell’IVA, che abbia rilasciato note di credito, è vincolato, ove desideri avvalersi della riduzione normativamente prevista, a preordinare, in sede di registrazione delle operazioni, la prova che la riduzione si realizzi entro un anno dall'effettuazione dell'operazione imponibile. Tale prova può legittimamente essere fornita soltanto attraverso l'indicazione di quei dati che risultino idonei a collegare le due operazioni - essendo lo scopo perseguito dalla legge quello di impedire pericolose forme di elusione degli obblighi del contribuente, ed essendo tale scopo perseguibile attraverso il principio di immodificabilità, sia unilaterale, sia concordata tra le parti, delle registrazioni obbligatorie, fatto salvo il caso di successive variazioni dell'imponibile o dell'imposta, ex art. 26 citato - mercé dimostrazione, da parte del contribuente, dell'identità tra l'oggetto della fattura e della registrazione originarie, da un canto, e l’oggetto della registrazione della variazione, dall'altro, sì da palesare inequivocabilmente la corrispondenza tra i due atti contabili" (9188/01).

3.3. La terza (indeducibilità delle spese di gasolio) e la quarta censura (indeducibilità delle spese di ristorazione et similia), espresse sempre con il secondo motivo di ricorso, sono affette da pregiudiziale inammissibilità per difetto di autosufficienza.

Ricordato che alla stregua del detto principio, di cui è espressione l'art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c. la redazione del ricorso per cassazione deve racchiudere in sé tutti gli elementi di cognizione che consentano alla Corte di poter adempiere l'ufficio decisionale ex actis senza la necessità di procedere alla consultazione del fascicolo processuale e senza perciò operare alcuna selezione inerpretativa del materiale conoscitivo che in essi vi è riversato, non si può qui non rilevare che l'illustrazione di entrambe lagnanze si riveli generica ed obiettivamente lacunosa, non riproducendosi neppure sinteticamente il contenuto delle fatture oggetto di contestazione.

3.4. La quinta censura (indeducibilità del canoni di leasing) è fondata e merita perciò di essere accolta.

Invero l’art. 35, comma 11, d.l. 223/06 convertito in l. 248/06 - con decorrenza dall’anno di imposta in contestazione - ha previsto l’estensione del regime di deducibilità stabilito dall’art. 164 Tuir per le spese e gli altri componenti negativi relativi ai mezzi di trasporto a motore utilizzati nell’esercizio di imprese, arti e professioni ai c.d. finti autocarri, stabilendo testualmente che "al fine di contrastare gli abusi delle disposizioni fiscali disciplinanti il settore dei veicoli, con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, sentito il Dipartimento per i trasporti terrestri del Ministero dei trasporti, sono individuati i veicoli che, a prescindere dalla categoria di omologazione, risultano da adattamenti che non ne impediscono l'utilizzo per il trasporto privato di persone. I suddetti veicoli devono essere assoggettati al regime proprio degli autoveicoli di cui al comma 1, lettera b), dell'articolo 164 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente delle Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 ai fini delle imposte dirette, e al comma 1, lettera c), dell'articolo 19-bis 1 del decreto del Presidente delle Repubblica n. 633 del 1972, ai fini dell'imposta sul valore aggiunto".

Poiché l’art. 164, nella disposizione richiamata, adotta un regime di speciali limitazioni ai fini della deducibilità delle spese concernenti determinate categorie di veicoli utilizzati quali beni strumentali nell’esercizio delle attività di impresa e delle attività professionali ("Le spese e gli altri componenti negativi relativi ai mezzi di trasporto a motore utilizzati nell'esercizio di imprese, arti e professioni, ai fini della determinazione dei relativi redditi sono deducibili secondo i seguenti criteri: ... b) nella misura del 50 per cento ...") ne discende che è manifestamente errato il diverso convincimento fatto proprio dal giudice d’appello con la statuizione qui censurata, in quanto la deducibilità delle spese relative al veicolo in questione, rientrando esso nella categoria dei finti autocarri, non è consentita per l’intero ma solo nei limiti richiamati dal citato art. 35, comma 11, d.l. 223/06.

4.1. Il terzo motivo del ricorso erariale evidenzia ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c. vizio di motivazione, sotto il profilo nella specie dell’insufficienza di quella adottata dal decidente, posto, nell’ordine, che, quanto alle note di credito per premi alla clientela, "i giudici hanno risolto in modo assolutamente semplicistico la questione"; che, quanto alle note di credito per regolarizzare la contabilità, la CTR è incorsa in un "travisamento dei fatti ... visto che l'affermazione per cui l'ufficio avrebbe accettato tali note è addirittura falsa"; che, quanto ai costi per gasolio, non si dà conto "dell'iter logico-giuridico percorso né degli elementi valutati per giungere alla decisione"; che, quanto alle spese di ristorazione et similia, "nulla rileva il fatto che la società sia unipersonale qualora non sia possibile risalire all'identificazione di chi abbia fruito dei servizi in questione e a quale titolo l’abbia fatto"; che, quanto ai canoni di leasing, sono state "completamente" ignorate le deduzioni dell'ufficio in ordine alle restrizioni intervenute in materia; che, quanto infine alla determinazione dell’aliquota, "non viene data la benché minima spiegazione dei motivi che hanno indotto la Commissione a ritenere applicabile l'aliquota del 4% anziché quella del 20%".

4.2. La prima (insufficiente motivazione in ordine alla riconosciuta deducibilità delle note per premi alla clientela) e la seconda censura (insufficiente motivazione in ordine alla riconosciuta deducibilità delle note di credito emesse per regolarizzare la contabilità) formulate con il motivo in disamina riproducono sotto il profilo del vizio motivazionale le medesime censure espresse in diritto con il secondo motivo di ricorso, di modo che l'accoglimento di esse che si è decretato in quella sede solleva dal loro esame, per cui se ne può dichiarare l'assorbimento.

4.3. La terza (insufficiente motivazione in ordine alla riconosciuta deducibilità delle spese di gasolio) e la quarta censura (insufficiente motivazione in orine alla riconosciuta deducibilità delle spese di ristorazione et similia), oggetto sempre di rilievo con il motivo in esame, sono infondate posto che, configurandosi il denunciato vizio quando nel ragionamento del giudice di merito sia evidenziabile una lacuna nel iter logico-giuridico che lo ha condotto alla decisione, nella specie l'approdo fatto segnare dalla sentenza impugnata in relazione ad entrambe le pretese è immune da vizi quanto al suo sviluppo argomentativo, articolandosi in modo coerente rispetto alle rilevate premesse di fatto e risultando perciò immune da un vulnus motivazionale.

4.4. Anche la quinta censura (insufficiente motivazione in ordine alla riconosciuta deducibilità dei canoni di leasing) riproduce la medesima doglianza sollevata in punto di diritto con il secondo motivo di ricorso, sicché, analogamente a quanto già si è detto in relazione alla prima e alla seconda censura del motivo in esame, l'accoglimento decretato in quella sede ne comporta l’assorbimento.

4.5. La sesta censura (insufficiente motivazione in ordine all’applicazione dell'aliquota del 4% in luogo dell'aliquota ordinaria) è fondata, poiché, tenuto conto di quanto già si è innanzi osservato riguardo alla configurabilità del denunciato vizio motivazionale, la motivazione sviluppata dalla CTR sul punto è frutto di un ragionamento apodittico e puramente assertivo, privo di ogni pur minima rappresentazione del percorso logico-giuridico che ha condotto il decidente ad assumere la statuizione impugnata.

5. Il ricorso va dunque accolto nei limiti anzidetti e, cassata la sentenza, la causa andrà rinviata al giudice territoriale per il doveroso riesame.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie la prima, la seconda e la quinta censura del secondo motivo di ricorso e rigetta le restanti; dichiara assorbite la prima, la seconda e la quinta censura del terzo motivo, accoglie la sesta e rigetta le restanti; cassa nei limiti delle cesure accolte l’impugnata sentenza e rinvia avanti alla CTR Marche che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.