Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 aprile 2016, n. 7037

Verbale ispettivo - Cartella di pagamento - INPS - Prescrizione contributi

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 9348/06 il Tribunale di Taranto accoglieva per quanto di ragione l'opposizione proposta dalla F. s.p.a. nei confronti dell’INPS, anche quale mandatario della SCCI, e della S.P.R.G. s.p.a., avverso la cartella di pagamento n. 048-2002-00061491-28, notificata alla società opponente il 20.9.02 e recante l'importo complessivo di €.150.003.882,84, reclamato dall'istituto previdenziale per due inadempienze (nn. 0524 e 0525) accertate con verbali ispettivi del 23.7.98 ed a titolo di sanzione una tantum e somme aggiuntive per il ritardato pagamento in sede di regolarizzazione spontanea per l'anno 1997 (inadempienza n. 0526).

Dichiarata l'illegittimità di tutte le iscrizioni a ruolo di cui alla cartella opposta, ad eccezione di quella per euro 197,80, relativa all'inadempienza n. 0526, il Tribunale compensava interamente fra le parti te spese del giudizio ed anche quelle della espletata consulenza tecnica.

Avverso tale sentenza proponevano appello principale l'Inps ed incidentale la F. spa.

Rimaneva contumace, come già in primo grado, la S.P.G.R.

Con sentenza depositata il 26 giugno 2013, la Corte d'appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, rigettava l'appello principale ed accoglieva l'incidentale; per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava prescritti tutti i crediti (inerenti il periodo sino al 31.12.89) di cui alla cartella di pagamento n. 048-2002- 00061491-28, relative alle inadempienze nn. 0524 e 0525; dichiarava nel merito non dovuta la somma di €.197,80 relativa all'inadempienza n. 0526; compensava le spese del grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’INPS, affidato ad unico motivo.

Resiste la F. con controricorso, poi illustrato con memoria, mentre Equitalia Nord s.p.a. è rimasta intimata.

 

Motivi della decisione

 

1. - L’INPS denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 19, del d.l. n. 463/1983, convertito in L. n. 638/1983; 3, commi 9 e 10, della L. n. 335/1995; 252 disp. att, cod.civ., in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).

Dopo aver esposto che gli importi richiesti attenevano: a) al periodo gennaio 1974-dicembre 1985 (inadempienza n. 0524); b) al periodo gennaio 1986-dicembre 1991 (inadempienza n. 0525), contribuzione ritenuta prescritta dalla sentenza impugnata sino al 31.12.89 e non dovuta quanto al periodo successivo, l’Istituto evidenzia che il punto nodale dell'intera vicenda era costituito dal regime prescrizionale applicabile, considerato che l'Istituto aveva provveduto ad interrompere la prescrizione con lettere del 7.7.83 e del 29.12.95.

Lamenta che la sentenza impugnata ritenne al riguardo che la prima lettera Inps avesse interrotto la decorrenza del termine decennale di prescrizione per i crediti relativi al periodo 1.1.74-9.7.83, determinando l'inizio del nuovo termine decennale, scaduto il 9.7.93.

Tale termine, prolungato sino al 9.7.96 per effetto della sospensione triennale ex L. n. 638/83, non avrebbe impedito di esigere ancora i contributi in questione soltanto nell'ipotesi in cui l'Istituto avesse medio tempore posto in essere ulteriori atti interattivi o se fossero state in corso procedure sì da restare integrata la previsione di cui all'ultima parte del comma 10 dell'art. 3 L. n. 335/95.

Ipotesi nella fattispecie non verificatasi. Quanto alla lettera del 29.12.95, essa, pur intervenuta nell'intervallo di tempo (17 agosto-31 dicembre 1995) fissato dal Legislatore per consentire agli istituti previdenziali di attivarsi nell'adozione di iniziative utili a sottrarre i propri crediti al nuovo termine quinquennale (in vigore dal 1.1.96), non valeva comunque a prolungare da dieci a tredici anni il termine di prescrizione, essendo intervenuta solo successivamente all'entrata in vigore della L. n. 335/95 che aveva, con effetto immediato (e dunque dal 17.8.95) soppresso la sospensione triennale.

1.2 - Ad avviso dell’lNPS tale soluzione contrasterebbe con la ratio delle disposizioni contenute nei commi 9 e 10 dell'art. 3 L. n. 335/1995: nel comma 9 è ribadito che le contribuzioni di pertinenza del f.p.l.d. e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie si prescrivono nel termine di dieci anni; nel secondo periodo è tuttavia precisato che a decorrere dal 1.1.96 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti, o di atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa precedente.

Nel secondo periodo del medesimo comma 10, poi, è disposto che, agli effetti del computo del termine di prescrizione, non si deve tenere conto della sospensione prevista dall’art. 2, comma 19, d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito in L. 11 novembre 1983 n. 638, "fatti salvi gli atti interruttivi e le procedure in corso".

Si duole l’INPS che l'interpretazione offerta dalla Corte leccese ha finito per ritenere gli atti compiuti dall’Inps entro il 31.12.1995, ma dopo il 17.8.95, inidonei a ricomprendere la sospensione triennale del termine di prescrizione, di cui all'art. 2 del d.l. n. 463/83, "...atteso che mentre nella prima parte del comma 10 dell'art. 3 è contenuto il riferimento alla normativa preesistente, nella seconda parte, relativa alla sospensione triennale, tale riferimento manca ed è anzi sostituito da quello agli atti e alle procedure in corso".

Tale soluzione, ad avviso dell’INPS, sarebbe lesiva della disciplina in materia, da interpretarsi alla luce del principio costituzionale di garanzia dell'effettività del diritto (artt. 3 e 24 Cost.), in quanto si introdurrebbe nel sistema una palese lesione del principio che le parti conoscano il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro pregiudizievoli, in quanto si contemplerebbe un'applicazione delle regole disciplinanti l'atteggiarsi dell’Istituto della prescrizione in maniera differente rispetto a situazioni del tutto identiche.

Soprattutto con la previsione del comma 10 dell'art. 3 (secondo cui agli effetti del computo del termine di prescrizione, non si deve tenere conto della sospensione prevista dall'art. 2, comma 19, d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito in L. 11 novembre 1983 n. 638, "fatti salvi gli atti interruttivi e le procedure in corso"), il creditore INPS verrebbe privato a sorpresa di un congruo termine per compiere atti di esercizio del proprio diritto, mentre una soluzione più equa imporrebbe di integrare le disposizioni in esame con la norma di cui all'art. 252 disp. att. c.c. in forza del quale i nuovi termini prescrizionali trovano applicazione anche ai crediti maturati anteriormente, ma con un nuovo dies a quo, costituito dal giorno in cui, entra in vigore la nuova legge, salvo che non residui un termine minore, così come del resto stabilito da Cass. sez. un. n. 6173/08.

1.3 - Il motivo è infondato, dovendo peraltro escludersi che sul punto della insussistenza della sospensione triennale dei termini di prescrizione (di cui sopra) si sia formato giudicato interno, come eccepito dalla F., avendo l’INPS, come visto, ampiamente censurato tale statuizione.

Premesso allora che il comma 10 dell’art. 3 L. n. 335/1995 ha stabilito che: "I termini di prescrizione di cui al comma 9, si applicano anche alle contribuzioni relative a periodi precedenti la data di entrata in vigore della presente legge, fatta eccezione per i casi di atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente.

Agli effetti dei computo dei termini prescrizionali non si tiene conto della sospensione prevista dal D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, fatti salvi gli atti interruttivi compiuti e le procedure in corso, osserva la Corte che la sentenza impugnata ha fatto buon governo della disciplina in materia, soprattutto alla luce dei chiarimenti, anche recenti, forniti dalla giurisprudenza di questa Corte.

La sentenza impugnata, come riferito dall'INPS, ha ritenuto correttamente che la prima lettera dell'Istituto (7.7.83) avesse interrotto la decorrenza del termine decennale di prescrizione per i crediti relativi al periodo 1.1.74-9.7.83, determinando l’inizio del nuovo termine decennale, scaduto il 9.7.93.

Tale termine avrebbe poi potuto ritenersi prolungato sino al 9.7.96 (per effetto della sospensione triennale ex L. n. 638/83) solo qualora l'Istituto avesse medio tempore posto in essere ulteriori atti interruttivi o se fossero state in corso procedure di recupero, così come previsto dal comma 10 dell’art. 3 L. n. 335/95.

Ed infatti, posto che il nuovo termine quinquennale di prescrizione stabilito da detta legge si applica anche alle contribuzioni relative a periodi precedenti la data della sua entrata in vigore (17.8.95), salvi gli atti interruttivi compiuti o le procedure iniziate "nel rispetto della normativa preesistente" e che la sospensione di cui all'art. 2 comma 19 del d.l. n. 463/83 va esclusa dal computo del termine prescrizionale, salvi gli atti interruttivi compiuti e le procedure in corso, la successiva lettera dell’Inps del 29.12.95, pur intervenuta nell'intervallo di tempo (17 agosto-31 dicembre 1995) fissato dal Legislatore per consentire agli istituti previdenziali di attivarsi nell'adozione di iniziative utili a sottrarre i propri crediti al nuovo termine quinquennale (in vigore dal 1.1.96), non valeva comunque a prolungare da dieci a tredici anni il termine di che trattasi, essendo intervenuta solo successivamente all’entrata in vigore della L. n. 335/95 che aveva, con effetto immediato (e dunque dal 17.8.95) soppresso la sospensione triennale, in conformità di quanto ritenuto da questa Corte, secondo cui gli atti compiuti dall'istituto previdenziale entro il 31.12.95 ma dopo il 17.8.95 non consentono di tenere conto della sospensione triennale del termine di prescrizione, atteso che mentre nella prima parte del comma 10 dell'art. 3 è contenuto il riferimento alla normativa "preesistente", nella seconda parte, relativa alla sospensione triennale, tale riferimento manca ed è sostituito "dagli atti ed alle procedure in corso" (Cass. n. 73/2009).

Nella specie deve poi considerarsi che la sentenza impugnata ha correttamente osservato che i contributi dovuti alle gestioni non pensionistiche (quali quelli per la disoccupazione volontaria o per sgravi contributivi di cui qui si discute), la prescrizione è divenuta, immediatamente e senza altre condizioni, quinquennale dal 17.8.95, ex art. 9, lett. b) L. n. 335/1995, sicché tali contributi erano già prescritti senza che la lettera INPS del 29.12.95 potesse riesumare alcun termine di prescrizione decennale in base alla citata L. n. 335/1995.

Quanto alla diversa ed ulteriore contribuzione richiesta (riferita agli anni 1990-1991), la sentenza impugnata ne ha escluso nel merito la debenza, risultando così irrilevante la censura dell’INPS oggi in esame, inerente il regime prescrizionale applicabile.

La correttezza della sentenza impugnata è poi confermata dal recente arresto, delle sezioni unite di questa Corte (sent. 4.7.2014 n. 15296), secondo cui in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, per i contributi dovuti agli enti previdenziali dai lavoratori e datori di lavoro, relativi a periodi anteriori all'entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335 (che ha ridotto il termine prescrizionale da dieci a cinque anni) e per i quali, a tale data, non sia ancora integralmente maturato il quinquennio dalla scadenza, il precedente termine decennale di prescrizione può operare solo nel caso in cui la denuncia (e lo stesso dicasi per i vari altri atti a valenza interruttiva ivi indicati) prevista dall’art. 3, della legge n. 335 del 1995 sia intervenuta nel corso del quinquennio dallo loro scadenza, non potendo operare il prolungamento dello stesso termine una volta che il credito contributivo risulti già prescritto (cfr. Cass. n.73/2009, n. 948/2012, n. 2417/2012), né potendosi applicare l’art. 252 disp. att. c.c.

Ed infatti, la ricostruzione sopra delineata della "netta cesura tra vecchio e nuovo" con "effetti estintivi automatici sugli interessi contrapposti considerati dalla norma" ("da una iato quello dell'ente creditore alla riscossione dei contributi, dall'altro quello del lavoratore assicurato alla tutela della propria posizione previdenziale") e con la decorrenza dal 1.1.1996 della introduzione del nuovo termine ridotto, con "effetto annuncio" idoneo a salvaguardare gli interessi sia dell'istituto previdenziale sia del lavoratore, integrando una disciplina speciale transitoria, compiuta e coerente, prevale sulla regola generale di cui all'art. 252 disp. att. c.c., escludendone l'applicazione per il principio di specialità.

2. - Il ricorso deve pertanto rigettarsi.

Le spese di lite tra le parti costituite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Nulla per le spese quanto alla parte rimasta intimata.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna l’INPS al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, in favore della F. s.p.a., che liquida in €.100,00 per esborsi, €. 6.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Nulla per le spese quanto ad Equitalla Nord s.p.a.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.