Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 aprile 2016, n. 7038

Verbali di accertamento INPS - Omissioni contributive - Illecita interposizione di manodopera - Sussistenza - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso in opposizione ex art. 24 comma 5. d.lgs. n. 46/99, depositato presso la cancelleria del Tribunale di Livorno, la società La T.I. s.r.l. (di seguito LTI) impugnava la cartella esattoriale n. 061 2002 00026086 15, notificatale in data 15 marzo 2002, relativa all'iscrizione a ruolo Inps della somma complessiva di €. 3.566.990,62. Tale somma veniva richiesta alla società ricorrente in forza dei verbali di accertamento INPS del 22.12.1999, nei quali l'Ente le contestava omissioni contributive relative ad un presunto utilizzo di manodopera alla stessa fornita dalle società I. s.r.l. e M. s.r.l. rispettivamente nei periodi intercorrenti tra il gennaio 1997 e febbraio 1999 per I. e tra l'ottobre 1998 e l'agosto 1999 per M., in violazione del disposto di cui all'art. 1 L. n. 1369\60.

Espletata prova testimoniale e disposta c.t.u. contabile, il Tribunale, nella contumacia degli enti di previdenza, dichiarava dovuti da La T.I. all’INPS la somma di €.170.166,22 per la posizione M. ed €.1.510.343,26 per la posizione I.

Avverso tale sentenza proponeva appello LTI; resistevano l’INPS e la S., mentre l’INAIL restava contumace.

Con sentenza depositata il 5 dicembre 2013, la Corte d'appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza impugnata, rettificava il secondo importo in €. 1.340.177,04, condannando LTI a pagare la complessiva somma di €.1.510.343,26, oltre al pagamento della metà delle spese di primo grado, compensando quelle di appello.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso LTI s.r.l., affidato a quattro motivi.

Resiste l’INPS con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. - Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 L. n. 1369\1960, lamentando che il giudice d'appello dichiarò non genuino il contratto di appalto vigente tra le società, valutando solo parzialmente l'istruttoria di primo grado, di cui la società riporta diversi brani delle deposizioni testimoniali.

Il motivo è inammissibile.

Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ulti ma censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa. Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394.

Nella specie è evidente che la società lamenta un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, risolvendosi in un vizio motivo inammissibile alla luce del novellato n. 5 dell'art. 360, comma 1, c.p.c., avendo la sentenza impugnata esaminato il fatto storico decisivo (l'esistenza o meno di una illecita interposizione di manodopera tra la ricorrente e le società M. e I.).

2. - Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l'omesso esame di un punto decisivo del giudizio: la sussistenza o meno della cessione del credito tra INPS e S., conditio sine qua non del ritenuto sussistente litisconsorzio necessario.

Lamenta di aver più volte eccepito l’illegittimità dell'estensione del contraddittorio disposta d'ufficio dal Tribunale in favore della S. s.p.a., ritenuta litisconsorte necessario dell’lNPS ex art. 13 L. n. 488\1989 (ndr art. 13 L. n. 448\1998), stante l'insussistenza di alcuna prova circa l'effettiva intervenuta cessione del credito per cui è causa antecedentemente all’instaurazione del giudizio. Ciò aveva comportato una vera e propria remissione in termini nei confronti dell’INPS quanto alle decadenze istruttorie in cui l'Istituto era incorso ed espletate su istanza della S. s.p.a.

Il motivo è inammissibile non avendo la ricorrente chiarito in quali termini e quando la questione della sussistenza o meno della cessione del credito alla S. s.p.a. sarebbe stata proposta nel giudizio di merito, così come la contestazione della disposta integrazione del contraddittorio. Al riguardo deve anzi evidenziarsi che non risulta che la società, prima della disposta integrazione del contraddittorio (ordinanza del Tribunale dell'8. 11.05), abbia contestato alcunché al riguardo. Deve peraltro osservarsi che l'integrazione del contraddittorio ex art. 107 c.p.c. è stata più volte ritenuta da questa Corte un potere discrezionale ed insindacabile del giudice di primo grado (da ultimo, Cass. n. 1291\2012). In questa sede la ricorrente lamenta di aver contestato in appello (e dunque comunque tardivamente) l'avvenuta cessione del credito alla S., ma parimenti non chiarisce in quale atto ed in quali termini ciò sarebbe avvenuto. A ciò aggiungasi (cfr. Cass. n. 15041\2007, Cass. n. 46\2009) che la cessione può evincersi dallo stesso mandato all’INPS, presupponente l'intervenuta cessione del credito (nella specie la procura - mandato notarile da parte della S. all’INPS, i cui estremi sono indicati nel controricorso, e non contestata dalla società LTI se non attraverso la generica affermazione che da essa risultava che 'solo parte dei crediti INPS erano stati ceduti alla S.', pag. 11 ricorso), e dal tenore del controricorso, in cui il presidente dell'Inps dichiara di agire anche quale mandatario della S..

Resta pertanto fermo che, ex art. 13, comma 8, L. 23.12.1998 n. 448: "La cessione dei crediti di cui al presente articolo (nei confronti delle società di cartolarizzazione) costituisce successione a titolo particolare nel diritto ceduto. Nei procedimenti civili di cognizione e di esecuzione, pendenti alla data della cessione, si applica l'articolo 111, commi primo e quarto, del codice di procedura civile. Il cessionario può intervenire in tali procedimenti ma non può essere chiamato in causa, fermo restando che l'INPS non può in ogni caso essere estromesso. Qualora, successivamente alla trasmissione dei ruoli di cui al comma 6, i debitori promuovano, avverso il ruolo, giudizi di merito e di opposizione all'esecuzione ai sensi dell’articolo 2, commi 4 e 6, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, sussiste litisconsorzio necessario nel lato passivo tra l’INPS ed il cessionario".

3. - Con il terso motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 198 c.p.c. per non avere la sentenza impugnata valutato la nullità della c.t.u. di primo grado perché basata su documentazione irritualmente acquisita agli atti e per la quale LTI non aveva prestato consenso.

Il motivo presenta un evidente profilo di inammissibilità per non avere la ricorrente prodotto la c.t.u. in questione, in contrasto con l'art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c. Inoltre per non aver chiarito né prodotto, in contrasto col principio di autosufficienza del ricorso per cassazione e con l'art. 369 c.p.c., quali sarebbero gli atti, ed il tenore degli stessi, irritualmente acquisiti in primo grado. Per il resto è infondato, avendo la sentenza impugnata evidenziato che la documentazione prodotta dalla S. unitamente alla memoria difensiva del 26.5.06, era rituale e comprendeva tra l'altro l'elenco dei lavoratori interessati; la censura, del resto strettamente connessa col secondo motivo di ricorso di cui non può che seguire le sorti, è infondata anche per non avere la società documentato se, quando ed in qual modo si sarebbe opposta alla produzione documentale, in buona parte fornita, sia pure con ritardo, dalla Guardia di Finanza, come ammette LTI a pag. 4 del ricorso.

4. - Con il quarto motivo la ricorrente denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e cioè se la documentazione posta a fondamento della c.t.u. e prodotta dalla S. dopo nove anni dall'inizio del giudizio fosse effettivamente quella di cui il giudice aveva autorizzato la produzione; ed invero la S. non aveva prodotto al c.t.u. la documentazione richiamata in memoria di costituzione ed autorizzata, bensì altra e differente documentazione.

Il motivo è inammissibile, oltre che per non essere stati chiariti e prodotti i documenti di cui è contestata l'inammissibilità, non riguardando l'omesso esame di un fatto storico decisivo, esaminato come visto dalla Corte di merito, bensì una valutazione da parte del giudice circa la rilevanza ed ammissibilità della documentazione ex adverso prodotta, di cui peraltro la ricorrente non fornisce, in contrasto col principio di autosufficienza, alcun elemento di valutazione.

5. - Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti,, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.100,00 per esborsi, €.10.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.