Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 aprile 2016, n. 7039

Esposizione all'amianto - Maggiorazione contributiva - Riscontri probatori - Documentazione

 

Svolgimento del processo

 

1. - La Corte d'appello di Venezia, con sentenza emessa in data 14/2/2012, ha rigettato gli appelli proposti da R.L. e da altri litisconsorti, tutti lavoratori alle dipendenze della M. s.p.a. presso lo stabilimento di Porto Marghera, contro la sentenza del Tribunale di Venezia di rigetto delle loro domande, aventi ad oggetto il riconoscimento della maggiorazione contributiva prevista dall'art. 13, comma 8°, L. n. 257/1992 e successive modifiche, in conseguenza dell’esposizione all'amianto subita nei periodi indicati in ricorso.

2. - La Corte territoriale ha fondato il rigetto sul convincimento che non fosse stata provata per ciascuno dei ricorrenti un'esposizione all'amianto qualificata nei sensi di legge.

3. - Contro la sentenza, R.L., G.S., S.P., V.M., M.P., R.B., G.P. e G.C. propongono ricorso per cassazione sostenuto da sette motivi, cui resiste con controricorso l’Inps.

I ricorrenti depositano memoria ex art. 378 cod.proc.civ.

 

Motivi della decisione

 

A. - In via preliminare deve darsi atto della tardività del deposito della memoria ex art. 378 cod.proc.civ. da parte dei ricorrenti.

Essa infatti è stata depositata in vista dell'udienza del 14 gennaio 2016 il giorno 11 gennaio, come risulta dal timbro apposto dalla cancelleria sull'originale dell'atto, e dunque tre giorni prima dell'udienza di discussione.

Deve altresì darsi atto che il 9 gennaio, ultimo giorno utile per il deposito della memoria, - dovendosi ormai ritenere ferma la tesi che II termine ex art. 378 cod. proc.civ. sia non "libero", sì che deve ritenersi sottoposto alla disciplina dell'art. 155, comma 1°, cod.proc.civ., secondo cui non vanno conteggiati il giorno e l'ora iniziali bensì quelli finali (v. fra le altre, di recente, Cass., 18 settembre 2015, n. 18346; Cass. n. 11302 del 2011) - cadeva di sabato.

Ora, con la locuzione "non oltre cinque giorni prima dell'udienza" contenuta nell'art. 378 cod.proc.civ., il legislatore ha previsto un termine cosiddetto "a ritroso", ossia l’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta l'attività di deposito e ciò al fine di consentire alle controparti di avere il tempo necessario per preparare la difesa in vista della discussione (in tal senso, Cass., 4 agosto 2006, n. 17726; Cass., 30 luglio 1997, n. 7104): tale scopo risulterebbe frustrato se al termine dovesse applicarsi l'art. 155, commi 4° e 5° cod.proc.civ., diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine cadente rispettivamente in giorno festivo o di sabato.

L'art. 155, nei commi indicati, opera con esclusivo riguardo ai termini a decorrenza successiva, in quanto, altrimenti, si produrrebbe l'effetto contrarlo di un'abbreviazione dell'intervallo, in pregiudizio con le esigenze garantite con la previsione del termine medesimo (Cass., ord., 4 gennaio 2011, n. 182; Cass., 7 maggio 2008, n. 11163; Cass., 7 ottobre 2005, n. 19530; Cass., 12 dicembre 2003, n. 19041). Ne consegue che non può tenersi conto dei rilievi anche in fatto contenuti nella indicata memoria,

B. - Sempre in via preliminare, deve rigettarsi l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’lNPS e fondata sull'asserita violazione dell'art. 366, comma 1°, n. 3 c.p.c., per avere la parte ricorrente redatto il ricorso ripetendo pedissequamente gli atti delle fasi di merito, in violazione del disposto della norma, la quale richiede a pena di inammissibilità l'esposizione sommaria dei fatti di causa.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza del 17 luglio 2009, n. 16628, hanno affermato che, nel ricorso per cassazione, una tecnica espositiva dei fatti di causa realizzata mediante la pedissequa riproduzione degli atti processuali non soddisfa il requisito di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1°, n. 3, che prescrive "l’esposizione sommaria dei fatti della causa" a pena di inammissibilità.

È stato infatti osservato che quella prescrizione è preordinata a rendere agevole la comprensione dell'oggetto della pretesa, l'esito dei gradi precedenti con eliminazione delle questioni non più controverse, ed il tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura.

Con la successiva ordinanza del 9 settembre 2010, n. 19255 è stato ribadito che l'assolvimento del requisito in questione è considerato dal legislatore come un'attività di narrazione del difensore che, in ragione dell'espressa qualificazione della sua modalità espositiva come sommaria, postula un'esposizione finalizzata a riassumere sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio sia lo svolgimento del processo.

Il principio è stato confermato con la pronuncia delle Sezioni Unite dell'11 aprile 2012, n. 5698, in cui si è ribadito che in tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1°, n. 3, la pedissequa riproduzione dell'intero, letterale contenuto degli atti processuali, per un verso, è del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia Informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso.

Nella specie - pur dovendosi segnalare che l'esposizione dei fatti di causa è affidata ad ampi stralci del ricorso di primo grado, ivi comprese le richieste istruttorie, alla dettagliata narrazione dello svolgimento del processo, con indicazione delle attività svolte nelle varie udienze, alla trascrizione pressoché integrale del ricorso in appello -, ritiene questo Collegio che si tratti di atti indubbiamente Inutili e ridondanti ma in stretta connessione con i motivi di ricorso e, quindi, rilevanti ai fini della decisione, essendo peraltro evidente, come di seguito si specificherà nell'esame dei motivi, il momento di sintesi Idoneo ad illustrare la ricostruzione del fatto storico e lo svolgimento della vicenda processuale nei punti essenziali.

1. - Con il primo motivo la parte ricorrente censura la sentenza per "insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia relativo alla mancata ammissione delle prove dedotte dall'appellante", lamentando che a fronte dello specifico motivo di appello con cui si era chiesta l'ammissione della prova per testi già articolata in primo grado e un supplemento di c.t.u., la Corte veneziana aveva rigettato le istanze istruttorie ritenendo che fossero stati acquisiti certi elementi probatori "di carattere testimoniale e documentale" e che "le istanze di approfondimento delle indagini peritali (fossero) state accolte e disposte nel giudizio di primo grado", laddove, come emergeva dalla sentenza di primo grado, il Tribunale non aveva sentito alcun testimone né disposto un supplemento di c.t.u.

2. - Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 132, comma 2°, n. 4, cod. proc. Civ., e 111 Cost. lamentando che la motivazione della corte era meramente apparente, essendosi la Corte limitata a riportare apoditticamente e acriticamente quanto già espresso dal Tribunale di Venezia.

3. - Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia la violazione degli artt. 421 e 437 cod.proc.civ., 2697 e 2724 cod.civ. per la mancata ammissione della prova testimoniale diretta ad integrare - attraverso la specificazione delle caratteristiche dell'ambiente di lavoro e delle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa per ciascuno dei ricorrenti - la documentazione prodotta in giudizio e le testimonianze raccolte in altro procedimento.

4. - Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia la violazione degli artt. 61, 62, 210, 213, 421 e 437 cod.proc.civ., per la mancata emanazione dell'ordine di esibizione in giudizio dei documenti richiesti (informazioni e documenti provenienti dall'INAIL, dalla Usl e dalla ex datrice di lavoro riguardanti l'attività svolta presso lo stabilimento di Porto Marghera), nonché per la mancata disposizione di un supplemento di c.t.u. o di chiamata a chiarimenti del consulente, considerato che per altri lavoratori impiegati nel medesimo reparto e con le medesime mansioni INAIL aveva rilasciato la certificazione di esposizione all'amianto.

5. - Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 111 Cost. sul giusto processo, nonché la violazione e la falsa applicazione degli artt. 134, 257, 421 e 437 cod.proc.civ., nella parte in cui il giudice aveva rigettato le domande in quanto dalla prova testimoniale assunta nel diverso procedimento conclusosi con la sentenza n. 787 del 2000 non sarebbe emersa la prova delle mansioni espletate dagli odierni ricorrenti, senza attivare i propri poteri istruttori, né ammettere le prove richieste nel ricorso ex art. 442 cod.proc.civ. e d'appello, e tanto sul falso presupposto che in primo grado erano stati sentiti testimoni ed effettuato un supplemento di c.t.u.

6. - Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano il difetto di motivazione in ordine al mancato esercizio dei poteri istruttori.

7. - Con il settimo motivo denunciano la violazione e l'errata applicazione dell'art. 2697 cod.civ. e dell'art. 116 cod.proc.civ., in quanto in relazione ai ricorrenti M., L. e P. non aveva ottemperato al suo obbligo di verificare se la documentazione prodotta dei ricorrenti confermasse le loro mansioni e l'esposizione qualificata, siccome identiche alle mansioni e all'esposizione di altri lavoratori per i quali l'INAIL aveva rilasciato la certificazione.

8. - I motivi che si affrontano in un unico contesto perché involgono questioni connesse, sono infondati, oltre a presentare profili di inammissibilità.

8.1. - E' doveroso premettere che è la stessa parte ricorrente ad ingenerare confusione circa l'effettiva attività istruttoria svolta in primo grado, in quanto, da un lato, assume che non vi è stata assunzione di prova testimoniale e, dall'altro, si esprime come se tale prova fosse stata espletata; nelle note dell'1/6/2009, depositate nel giudizio di primo grado e trascritte per stralcio nel ricorso per cassazione, richiede infatti un'integrazione dell'istruttoria, "mediante l'audizione di altri testimoni o il riesame dei medesimi testi già sentiti" (pag. 6 e 8 del ricorso per cassazione) e reitera tale richiesta nel ricorso in appello nei medesimi termini (pag. 10 e 11 del ricorso per cassazione) nonché nelle conclusioni rassegnate in quel grado e riportate nella sentenza impugnata ("integrazione della prova per testi raccolta in primo grado, mediante l'audizione ... di testimoni": pag. 4 della sentenza impugnata). Deve peraltro convenirsi che anche la sentenza impugnata difetta di chiarezza là dove afferma che "le istanze di approfondimento della indagine peritale sono state accolte e disposte nel giudizio di primo grado" (pag. 8 della sentenza), senza specificare se vi sia stato un supplemento di perizia o semplici chiarimenti, e che vi sarebbe stato un "supplemento di consulenza tecnica, in replica alle osservazioni svolte dai consulenti di parte" (pag. 10), senza tuttavia chiarire l'oggetto e l'ambito delle indagini supplementari, mentre il riferimento alla "replica" sembra piuttosto alludere a chiarimenti del c.t.u., richiamati dalla stessa parte ricorrente (v. pag. 6 del ricorso in cui riferisce di "controdeduzioni" del c.t.u. e di una relazione "definitiva").

Tuttavia, tali rilievi non sono decisivi, nel senso che non conducono ad un giudizio di fondatezza delle censure (in particolare quelle illustrate con il primo motivo), giacché ciò che occorre verificare è se la Corte, al di là delle improprietà lessicali, abbia esaminato le singole posizioni dei lavoratori alla luce del materiale probatorio raccolto, pervenendo ad un giudizio complessivo immune da vizi logici e giuridici.

E' infatti principio ripetutamente affermato da questa Corte che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito accogliere o rigettare l’istanza di riconvocazione del consulente d'ufficio per chiarimenti o per un supplemento di consulenza, senza che l'eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l’irrilevanza o la superfluità dell'indagine richiesta, non sussistendo la necessità, ai fini della completezza della motivazione, che il giudice dia conto delle contrarie motivazioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, si hanno per disattese perché incompatibili con le argomentazioni poste a base della motivazione (Cass., 10 novembre 2011, n. 23413; Cass., 15 luglio 2011, n.15666; Cass., 10 marzo 2006, n. 5277; Cass., 25 novembre 2003, n. 17906).

Tali principi valgono anche con riguardo alla mancata ammissione della prova testimoniale, relativamente alla quale il vizio di motivazione può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l'omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la "ratio decidendi" venga a trovarsi priva di fondamento (cfr, per tutte, Cass., 17 maggio 2007, n. 11457). Nella specie, alla luce di quanto in seguito si esporrà, non si ravvisano i deficit o le incongruità motivazionali denunciate.

8.2. - Questa Corte ha più volte affermato che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 cp.c., comma 1°, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame dì punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione; tali vizi non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l'apprezzamento dei fatti (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24148; Cass., 18 marzo 2011, n. 6288; Cass., 2 luglio 2008, n. 18119; Cass., 11 luglio 2007, n. 15489).

8.3. - li vizio di violazione di legge invece consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione.

Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. al riguardo, Cass., 26 marzo 2010, n. 7394).

Si aggiunge inoltre che il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360, n. 3, c.p.c., deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di "errori di diritto" individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia (cfr. Cass., 8 marzo 2007, n. 5353; Cass., 19 gennaio 2005, n. 1063; Cass., 6 aprile 2006, n. 8106).

9. - Alla luce di queste premesse, deve ritenersi che, nonostante la formale intestazione, i motivi proposti sono essenzialmente incentrati nella denuncia di difetti di motivazione, e se ne ha indiretta conferma nel rilievo che non si rinvengono nella loro illustrazione le specifiche affermazioni della Corte territoriale contrasto con te norme che si assumono violate.

9.1. - L'accertamento della sussistenza di una esposizione significativa all'amianto idonea ad attribuire il diritto alla rivalutazione contributiva ai sensi dell'art. 13, comma 8°, L. n. 257/1992 e successive modificazioni, deve essere compiuto dal giudice di merito avendo riguardo alla singola collocazione lavorativa, verificando cioè, nel rispetto del criterio di ripartizione dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c., se colui che ha fatto richiesta del beneficio abbia non solo indicato e provato la specifica lavorazione praticata, ma abbia anche dimostrato che l'ambiente nel quale questa si svolgeva presentava una concentrazione di polveri di amianto superiore ai valori limiti sopra indicati (vedi per tutte, Cass., 1° agosto 2005, n. 16118).

9.2. - La Corte territoriale, conformandosi a tali principi, ha compiutamente esaminato i fatti di causa e le prove raccolte ed è pervenuto, attraverso un ragionamento congruo, esaustivo e aderente a quanto è emerso dall'istruttoria, al convincimento che i ricorrenti non sono stati esposti all'amianto nella misura e per il periodo indicato dalla legge.

In particolare, ha accertato, sulla base delle dichiarazioni testimoniali raccolte in altro giudizio e acquisite al processo e degli accertamenti peritali disposti in primo grado, che non vi è prova dell'esposizione del lavoratori all'amianto, nella misura superiore alla soglia fissata dal legislatore in 0,1 fibre per centimetro cubo quale valore medio giornaliero di otto ore al giorno, nei reparti denominati OMEC (Officina meccanica), SEGE (Servizi generali) e SG5, presso i quali avevano svolto le loro mansioni, rispettivamente V.M. (nei primi due reparti) e R.L. e S.P. (nel terzo), precisando altresì che la circostanza che altri lavoratori addetti al reparto OMEC avevano ottenuto dall’INAIL certificazione di un'esposizione non era decisiva in mancanza di chiarezza sull'identità delle mansioni.

La Corte ha poi esaminato la deposizione resa dal teste C. con riferimento alla posizione del lavoratore P., addetto al laboratorio di ricerca denominato LR3, e l'ha ritenuta generica in mancanza di elementi certi circa la durata della sperimentazione per la quale si utilizzava amianto ed a cui il lavoratore era addetto, nonché all'entità dell'esposizione, non essendo chiaro come si svolgeva l'attività di comparazione tra l'amianto e l'altra sostanza e se tale ricerca fosse esclusiva o si affiancasse ad altre che non comportassero manipolazione di amianto.

E le stesse considerazioni sono svolte con riguardo a S.G., anche lui addetto al laboratorio di ricerca.

Circa la posizione del ricorrente C., addetto al controllo qualità nel reparto SG20, la Corte ha ritenuto mancante la prova dell'effettivo svolgimento da parte dell'appellante delle mansioni di analista e della sua presenza presso i reparti produttivi per un numero di ore sufficiente a ritenere provata l'esposizione qualificata.

In merito alla posizione di G.P., la Corte ha ritenuto non provata l'effettiva esposizione all'amianto in relazione alle mansioni svolte nel reparto di appartenenza, mentre riguardo a R.B., addetto al reparto SG3 con mansioni di idraulico e nel reparto SA9 come addetto ai servizi ausiliari, la Corte ha ritenuto non sussistente la prova della frequenza delle operazioni di interventi idraulici comportanti contatto con l'amianto, mentre per le altre mansioni la deposizione del teste C. era generica in punto di entità dell'esposizione in relazione al contenuto effettivo degli interventi richiesti e dell'effettiva durata dell'assegnazione del lavoratore al reparto.

Sulla base di tali elementi, ha quindi ritenuto insussistente il diritto preteso, in difetto di prove circa le mansioni svolte da ciascuno dei lavoratori sotto il profilo delta frequenza e durata delle operazioni che li esponevano personalmente alla manipolazione o al contatto con materiale contenente amianto in misura superiore alla soglia legale, prove che, quand'anche fossero state accolte le richieste istruttorie dei ricorrenti, non sarebbero state comunque raggiunte in ragione della genericità dei relativi capitoli.

L'accertamento della Corte appare dunque compiuto e coerente sul piano logico-giuridico, è incensurabile in sede di legittimità, avendo il giudice accolto le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio - fondate sull'esame dei curricula lavorativi - disattendendo motivatamente le osservazioni della parte ricorrente circa l'utilizzabilità della sentenza emessa in altro giudizio e relativo ad altri lavoratori, in mancanza di "chiarezza sulle identità delle mansioni svolte" e ritenendo superfluo un supplemento di consulenza, in assenza di riscontri probatori su cui fondare un accertamento positivo di esposizione anche solo in termini di elevata probabilità. Risulta così compiutamente assolto l'obbligo di motivazione con l'indicazione della fonte dell'apprezzamento espresso cui ha aderito per le critiche ed argomentate ragioni esposte (da pagg. 7-13 della sentenza).

9.3. Deve aggiungersi che, nel caso in esame, la parte ricorrente non ha indicato specifiche carenze o deficienze diagnostiche riscontrabili nella perizia, né affermazioni illogiche o scientificamente errate in essa contenute, non essendo sufficiente la mera prospettazione di una difformità tra le valutazioni del consulente e quelle auspicate dalla parte.

Al di fuori di tale ambito, infatti, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso diagnostico, non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in una inammissibile richiesta di revisione nel merito del convincimento del giudice (Cass. 21 agosto 2007, n. 17779; Cass. 17 aprile 2004 n. 7341; Cass. 28 ottobre 2003 n. 16223).

9.4. - A ciò deve aggiungersi che la parte non trascrive né deposita unitamente al ricorso per cassazione la consulenza tecnica d'ufficio e le "controdeduzioni" del c.t.u., sui cui pure fonda il ricorso, cosi violando il duplice onere imposto, a pena di inammissibilità del ricorso, dall'art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., e, a pena di improcedibilltà, dall'art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. di indicare esattamente nell'atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d'ufficio o di parte (v. da ultimo, Cass., 12 dicembre 2014, n. 26174; Cass., 7 febbraio 2011, n. 2966).

10. - Anche in merito al mancato esercizio, da parte del giudice di appello, del potere discrezionale di invitare le parti a produrre la documentazione mancante o di ammettere una prova testimoniale non può essere sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi dell'art. 356 cod. proc. civ., salvo che le ragioni di tale mancato esercizio siano giustificate in modo palesemente incongruo o contraddittorio (Cass., 8 febbraio 2012, n. 1754). Ipotesi, quest'ultima, che per le su esposte considerazioni non ricorre nel caso di specie.

10. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Poiché il giudizio è iniziato (con il deposito del ricorso in data 3/10/2002) in data precedente alla riforma dell'art. 152 disp. att. cod.proc.civ. (2 ottobre 2003), nessun provvedimento sulle spese deve essere adottato, non essendo la causa temeraria e manifestamente infondata.

Peraltro, il ricorso è stato notificato in data successiva al 31 gennaio 2013, sicché sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 13, comma 1, del d.p.r. 115/2002. In tema di impugnazioni, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, del gravame (Cass., ord.13 maggio 2014 n. 10306).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1, quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore Importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.