Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 aprile 2016, n. 7095

Lavoro - Conducente di autobus di linea - Rivalutazione indennità cd. agente unico - Calcolo TFR

 

Svolgimento del processo

 

G. La M., dipendente della società convenuta con mansioni di conducente di autobus di linea, adiva il giudice del lavoro chiedendo accertarsi il diritto alla rivalutazione dell'indennità cd. agente unico, alla relativa erogazione in relazione a ciascun turno di servizio espletato, anche se nel corso della medesima giornata, ed al computo dell’emolumento nel calcolo del TFR. La società convenuta si è costituita ed ha chiesto il rigetto del ricorso; ha spiegato contestuale domanda riconvenzionale con la quale ha chiesto la condanna di controparte alla restituzione delle somme asseritamente versate in eccedenza rispetto a quanto dovuto per il medesimo titolo.

Il Tribunale, ritenuto il difetto di giurisdizione in relazione alle pretese afferenti il periodo antecedente al 1.7.1998, in relazione al periodo successivo ha accolto la domanda del lavoratore limitatamente al riconoscimento del diritto alla indennità di agente unico per il secondo turno di servizio svolto nella medesima giornata; ha respinto la domanda di rivalutazione della indennità e la domanda riconvenzionale della società.

La Corte d’appello di Napoli, pronunziando sugli appelli riuniti proposti dal La M. e dalla società datrice (allora Circumvesuviana s.r.l.), avverso la decisione di primo grado, in riforma dell’impugnata sentenza ha condannato l’Ente Autonomo Volturno s.r.l. (da ora EAV), quale società incorporante Circumvesuviana s.r.l. a pagare al lavoratore la somma di € 1.030,38 a titolo di rivalutazione dell’indennità di agente unico, oltre accessori come per legge.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso l’EAV sulla base di due motivi. La parte intimata non ha svolto attività difensiva. Parte ricorrente ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli accordi aziendali del 15.3.1988 e del 18.11.1988 e violazione e falsa applicazione della regola di diritto di diritto di cui all’art. 1363 cod. civ. Assume che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, dagli indicati accordi non emergeva la volontà delle parti contrattuali di volere determinare un meccanismo di adeguamento automatico per il futuro, agganciando l'indennità alle dinamiche salariali ovvero agli incrementi che avrebbero interessato la retribuzione di base. Il rinvio ricettiziamente operato dagli accordi alla Delibera di Giunta del 1986 costituiva l'esternazione della volontà di corrispondere la predetta indennità tenuto conto dei soli adeguamenti intervenuti nel tempo attraverso l'adozione di specifiche delibere della giunta regionale.

Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 8 dell'accordo nazionale degli Autoferrotranvieri del 2 ottobre 1989 e violazione della regola di diritto cui agli artt. 1362 e seg cod. civ., a suffragio dell'insussistenza del preteso diritto all'incremento dell'indennità per essere stato l'emolumento oggetto di rivendicazione "cristallizzato" in cifra fissa.

Preliminarmente, deve darsi atto che il secondo morivo di ricorso è improcedibile. Come di recente chiarito dalle sentenze di questa Corte di legittimità, nn. 6335 e 7385 del 2014 (seguite da numerose decisioni conformi), la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei "contratti o accordi collettivi di lavoro" è stata aggiunta D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 (sostitutivo del precedente testo dell'art. 360 cod. proc. civ. cd in particolare modificativo del suo comma 1, n. 3) a quella delle "norme di diritto": cosi parificando i primi alle seconde sul piano processuale. Tale disposizione, che sì accompagna all’introduzione dell'art. 420-bis cod. proc. civ (ad opera dell'art. 18 d.lgs. cit.), in coerente simmetria con quanto già previsto dal d.lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 5 e art. 64, in materia di controversie nel lavoro pubblico contrattualizzato, segna il punto di approdo del movimento di distacco (sul piano processuale) del contratto collettivo dallo schema del negozio giuridico con conseguente allontanamento dall' "assolutismo legislativo" ed estensione della funzione nomo filattica della Corte di cassazione a quella che è stata definita quale "tutela dello svolgimento ragionevole e ragionevolmente prevedibile dell'intero ordinamento della collettività, in tutte le sue espressioni normative".

Ciò comporta, come è stato precisato, la necessità di ascrivete la doglianza all'errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione senza (più) la necessità di indicazione, a pena di inammissibilità della doglianza stessa, del criterio ermeneutico violato (artt. 1362 ss. cod.civ.), cosi come analoga indicazione non è necessaria per le altre norme di diritto (con riferimento, in particolare, all'art. 12 disp. prel. cod. civ.) - cfr. le citate sentenze nn. 6335 e 7385 del 2014, che, con un percorso argomentativo coerente con l'allontanamento dall' "assolutismo legislativo" di cui sì è detto, si pongono, invero, in contrasto rispetto al diverso orientamento espresso da Cass. nn. 9070 e 9054 del 2013, n. 17168 del 2012 e n. 13242 del 2010, secondo cui l'interpretazione di una norma contrattuale, com'è quella contenuta in un contratto collettivo di diritto comune, è operazione che si sostanzia in un accertamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito cd incensurabile in cassazione se non per vizi attinenti ai criteri legali di ermeneutica o ad una motivazione carente o contraddittoria.

Di certo la parificazione, sul piano processuale, dei "contratti o accordi collettivi di lavoro" alle "norme di diritto" ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 comporta, per la cassazione della sentenza impugnata per violazione del c.c.n., l'enunciazione del principio di diritto ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1, e la decisione della causa nel merito, ai sensi del comma 2, quando non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.

A tale enunciazione la Corte di legittimità può pervenire anche esaminando altre clausole (diverse da quella specificamente oggetto di rilievo) del c.c.n.l. ovvero attraverso una interpretazione mediante collegamento con altri contratti collettivi, conclusi in tempi diversi.

Il suddetto materiale interpretativo è tuttavia conoscibile d'ufficio dalla Corte di legittimità solo in quanto ufficialmente pubblicato (così i c.c.n.l. del pubblico impiego). Per il resto è necessario che la norma pattizia (oggetto di diretta interpretazione ovvero elemento interpretativo esterno) non solo risulti ritualmente acquisita al fascicolo di parte nel giudizio di merito ma, laddove il ricorso per cassazione si fondi su di essa, che venga anche prodotta in uno con il ricorso stesso (art. 369, n. 4, c.p.c.; cfr., da ultimo, Cass. 4350/2015).

Nel ricorso all'esame, pur avendo la parte ricorrente fornito adeguata indicazione, nell'illustrazione del mezzo d'impugnazione, dei dati necessari al reperimento, nelle pregresse fasi dì merito, dell'invocato accordo nazionale, per vero l'allegato al fascicolo di merito consta di un mero stralcio dell'accordo predetto, risultandone così precluso, alla Cotte di legittimità, la disamina.

Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è infondato alla luce dell'orientamento di questa Corte già espresso nelle decisioni nn. 3775 e 4257 del 2004 (citate nella sentenza impugnata) e, nella recente Cass. n. 13406 del 2013 e Cass. n.21382 del 2014, (ed altre numerose successive conformi).

Il thema decidendum è se l'Accordo regionale del 15 marzo 1988 abbia offerto un parametro per determinare il compenso spettante al conducente unico o invece abbia indicato una cifra determinata, incrementabile ma solo con una nuova deliberazione ad hoc.

La Corte di appello, ricostruita l'evoluzione del sistema contrattuale e retributivo del settore a seguito dell'introduzione della figura dell'agente unico" (eventualmente con mansioni anche di bigliettaio) e ricordato che la L.R. n. 13 del 1983 e la Delib. Giunta campana 2 dicembre 1986, istituenti limiti di bilancio (da tenere in considerazione), non potevano incidere nella determinazione, in concreto, dell'ammontare dell'indennità concessa all'agente unico demandata alla contrattazione collettiva, ha poi riprodotto il tenore letterale del citato Accordo regionale del 15 marzo 1988 nel quale era stato pattuito che "l'equiparazione della indennità agente unico nei limiti massimi ammissibili in base alla L.R. 15 marzo 1984, n. 13 sarà realizzata a partire dal 1 gennaio 1990, pari a corrispettivi di 20 minuti di paga oraria dell'autista livello 7A con 3 scatti".

Per la Corte territoriale le parti collettive non potevano non sapere (anche per l'incontro del 2 marzo 1986 presso il Ministero dei trasporti e per l'Accordo nazionale del 24 aprile 1987 che disciplinava in sede di prima applicazione il passaggio alla qualifica di agente d movimento di quinto livello) del mutamento degli inquadramenti in atto con la soppressione della qualifica di bigliettaio: se pure si era utilizzata la terminologia contrattuale recepita dalla Giunta regionale nel 1986 era evidente che si fosse voluto far riferimento ai nuovi inquadramenti ormai maturati ed operativi al momento dell'Accordo.

La Corte territoriale ha, così, sottolineato che le somme erogate dal 1990 non erano computate sul compenso di L, 2397 previsto dalla Delib. del 1986, ma sul compenso di L. 3280 "corrispondente esattamente ai venti minuti di retribuzione del lavoratore che, precedentemente inquadrato come autista del 7° livello con tre scatti di anzianità, alla data dell'1/1/1990 percepiva la maggiore retribuzione relativa all'anno in corso".

Per la Corte, dunque, non vi era stata alcuna cristallizzazione del compenso con riferimento a quanto stabilito dalla Delibera del 1986, avendo voluto le parti aggiornare il compenso con decorrenza 1/1/1990 tenuto conto dei mutamenti intervenuti nella contrattazione collettiva e del paramento scelto già nel 1986 (venti minuti di retribuzione di un agente), con quella determinata qualifica e quella determinata anzianità di servizio.

Ad avviso dei giudici partenopei, si era insomma consentito al compenso di lievitare, tenuto conto della fisiologica dinamica salariale, ma solo nei limiti stabiliti dal parametro già ricordato, e non diversamente, ed anzi in modo ancor più chiaro, doveva leggersi la pattuizione dell'accordo del 18 novembre 1988 per la quale restava inteso, sia pure sulla base del computo di lire 1120, che l'indennità sarebbe stata adeguata "a quanto previsto dalla normativa regionale, secondo le date dalla stessa previste" e dunque la somma di lire 1120 doveva incrementarsi alle date oggetto di riesame del compenso in sede regionale.

La Corte territoriale ha anche ricordato le due già citate sentenze di questa Corte (nn. 3775 e 4257 del 2004) che hanno affermato principi rafforzativi dell'orientamento come sopra espresso in una controversia in cui conducenti che svolgevano mansioni anche di bigliettaio reclamavano il compenso di 20 minuti più un altro compenso di venti minuti per il "doppio incarico".

In tali decisioni questa Corte di legittimità ha affermato che il riferimento a venti minuti di paga oraria è un tipico criterio di determinazione parametrica sensibile alle variazioni della retribuzione parametro, al pari di quello espresso in misura percentuale.

Pertanto l'interpretazione della clausola dell'accordo accolta dalla Corte di appello è congruamente e logicamente motivata e risponde ai canoni ermeneutici codicistici posto che parte da una interpretazione di natura letterale cui aggiunge una valutazione di natura sistematica che tiene conto dell'evoluzione contrattuale derivata da fasi di ristrutturazione produttiva che aveva portato alla creazione dell'"agente unico" e da ultimo è sorretta da elementi direttamente tratti dalla prima applicazione dell'Accordo del 1988 che portò ad una commisurazione del compenso riferito al parametro scelto ma aggiornato alla luce dell'evoluzione salariale e di inquadramento intervenuta dal 1988 al 1990.

A ciò si deve aggiungere che la soluzione offerta appare coerente con i principi già fissati da questa Corte in controversie di natura analoga riguardanti l'istituzione dell'agente unico e la determinazione del suo compenso (nel caso in cui avesse operato anche da bigliettaio).

La soluzione interpretativa adottata secondo la quale si è scelto un riferimento parametrico per stabilire il compenso e non si è invece stabilito un mero dato empirico da rinegoziare e rideterminare ha, quindi, alla base clementi di natura letterale, sistematica, legati alla prassi applicativa dell'Accordo in parola ed infine trova conforto in principi già affermati da questa Corte perfettamente applicabili alla fattispecie (molto simile nei suoi contenuti) in esame.

Inoltre, come rimarcato dalla Corte territoriale, l’Accordo regionale del 1988 ha introdotto un riferimento parametrico per il compenso che trova riscontro nella prima applicazione dell'Accordo stesso determinandosi l'importo già riferito al valore dei "20 minuti", come stabilito nel 1986 sulla base di un inquadramento non più operante, secondo un principio di adeguamento automatico (al pari di quanto riscontrato da questa Corte nei precedenti già citati e che riguardano la medesima vicenda di un nuovo inquadramento professionale del personale addetto alla guida di automezzi - ed al soppresso servizio di biglietteria -), globalmente considerato.

Del resto la lettera della clausola contrattuale dell'accordo del 15 marzo 1988 - ha correttamente osservato la Corte - milita senz’altro per l'indicazione di un parametro piuttosto che di una mera cifra fissa in quanto, se davvero le parti contrattuali avessero voluto indicare un compenso in cifra fissa e cristallizzarlo sino a successive determinazioni, l'avrebbero indicato direttamente in una certa somma senza passare attraverso formule di più complessa e inevitabilmente controversa lettura.

Da tanto consegue il rigetto del primo motivo e la declaratoria di improcedibilità del secondo.

Nulla per le spese essendo la lavoratrice rimasta intimata.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).

Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) da rigettarsi integralmente, deve provvedersi in conformità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il primo motivo di ricorso e dichiara improcedibile il secondo. Nulla per le spese.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 qua ter del d.p.r n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.